Anna Banti

Anna Banti

Anna Banti, pseudonimo di Lucia Lopresti (Firenze, 27 giugno 1895Ronchi di Massa, 2 settembre 1985), è stata una scrittrice italiana.

È stata critica d'arte (con monografie su Lorenzo Lotto, Diego Velázquez e Claude Monet), romanziera (specializzandosi nel genere storico e biografico), traduttrice (dall'inglese e dal francese) e saggista.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Figlia unica, nata nel capoluogo toscano alla fine del XIX secolo da una famiglia d'origine siciliana spostatasi prima in Calabria e poi in Piemonte, viene incoraggiata sin dall'inizio dal padre Luigi-Vincenzo, avvocato delle Ferrovie, a intraprendere gli studi umanistici. La madre, Gemma Benini, era originaria di Prato.

Dopo il liceo classico e la laurea in lettere con una tesi sullo scrittore d'arte secentesco Marco Boschini, relatore Adolfo Venturi, appare nel 1919 su «L'Arte» (diretta dallo stesso Venturi) un suo primo saggio proprio sul Boschini lodato da Benedetto Croce su «La Critica».

Nel 1924 sposa il critico e storico dell'arte Roberto Longhi (1890-1970), incontrato nel 1914 come professore al Liceo Tasso di Roma, uomo di profonda cultura, sia letteraria che artistica. Non ebbero figli. Insieme danno vita nel 1950 alla rivista Paragone (nella doppia veste "Arte" e "Letteratura"), della cui sezione letteraria Anna Banti tiene la direzione fino alla morte del marito (3 giugno 1970), per poi assumersi l'impegno di seguire entrambe. L'anno dopo viene riconosciuta ufficialmente la Fondazione Longhi, alla quale dona l'edificio di via Fortini. In seguito viene nominata Presidente del Consiglio direttivo della Fondazione, alla quale si dedica con ritrovata alacrità. È sepolta con il marito nel cimitero degli Allori a Firenze.

La carriera letteraria[modifica | modifica wikitesto]

Lo pseudonimo[modifica | modifica wikitesto]

Anna Banti è quindi un nom de plume, come spiegato in un'intervista a Sandra Petrignani nel 1983: «Mi sarebbe piaciuto usare il cognome di mio marito. Ma lui l'aveva già reso grande e non mi sembrava giusto fregiarmene. Il mio vero nome, Lucia Lopresti, non mi piaceva. Non è abbastanza musicale. Anna Banti era una parente della famiglia di mia madre. Una nobildonna molto elegante, molto misteriosa. Da bambina mi aveva incuriosita parecchio. Così divenni Anna Banti. Del resto il nome ce lo facciamo noi. Non è detto che siamo tutta la vita il nome della nostra nascita».

In una lettera del '73 a Giuseppe Leonelli l'autrice aveva spiegato: «Anna Banti? Quella signora velata di bianco che da bambina m'incantava non fu che un pretesto alla mia insicurezza quando dovetti firmare. E poi il mio nome vero è un nome infantile (almeno per me: nelle Marche, a Fontespina, mi chiamavano Luciòla). Avevo bisogno di un nome del tutto diverso che s'imponesse a me stessa, segreto e autoritario. Da "Infanta di Spagna", fantasticavo».

Gli esordi[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1930 esordì dunque nella narrativa come "Anna Banti" con il racconto Barbara e la morte, che confluì dopo alcune modifiche nel libro del '37. Accantonò così, ma non del tutto, gli studi e le aspirazioni giovanili:

«...non ero fatta per la storia dell'arte. Non è stato un male cambiare campo. Anche perché visto che c'era già Longhi a fare il critico così bene, non mi pareva ci fosse bisogno di un'altra a fare la stessa cosa molto meno bene. Lui era un genio della critica d'arte, io sarei stata una normale storica dell'arte. Anche se qualche intuizione, in questo campo, l'ho avuta.»

Sin dai primi «incunaboli narrativi», uno dei tratti caratteristici della scrittura di Anna Banti riguarda il suo porsi come narratrice in un modo particolare di fronte alle storie, capace al contempo di assecondarle e di rifiutarne le suggestioni, per rimanere più libera non solo di immaginare ma anche di creare nuovi rapporti con i personaggi.

Banti mette in luce storie complesse - soprattutto di donne - a sfondo psicologico, analizzando, attraverso la convergenza di vari punti di vista, personaggi colti con grande acutezza nei loro momenti di crisi morale ed esistenziale. Il grande tema è la solitudine della donna alla ricerca di una dignità nel mondo degli uomini, in una dolorosa vicenda di umiliazioni e riscatti. Secondo Gianfranco Contini:

«Il tema fondamentale è quello, per così dire, della condizione femminile, indagata con un pathos che, contenendosi, si converte di continuo in durezza anche sbrigativa. Per questa necessità di allontanare da sé l'oggetto, i suoi riconosciuti capolavori sono quelli in cui le figure hanno il remoto della storia, eventualmente richiamata anche con mezzi stilistici [...] che danno il colore del tempo, e che all'autrice, espertissima frequentatrice di archivi e riesumatrice di documenti importanti (in particolare sul Caravaggio e la sua cerchia), riescono molto felici. Tale è il caso di Artemisia...»

Nel tempo la sua scrittura, memore della più genuina "prosa d'arte" (ad es., quella di Emilio Cecchi e, ovviamente, di Longhi), farà via via a meno - secondo Pier Paolo Pasolini - della propria «rigidezza madreperlacea»:

«la patina di vecchia pergamena, la rifinitura da mirabile opera minore che esclude che nelle proprie superfici possa sopravvivere anche la minima zona non perfettamente elaborata; la pagina ha perduto la compattezza del ricamo, la durezza del damasco. Naturalmente Anna Banti continua a scrivere come sa, com'è sua tradizione linguistica interiore, suo «idioletto». Ma una fretta di dire, [...] di scorrere negli anni per giungere ai giorni importanti, [...] fa sì che il suo stile [...] applichi nel modo più spiccio le proprie inalienabili regole, non badi a qualche trasandatezza, non tema di scendere al servizio di una affabulazione che faccia di esso, così «estremo», una elegante lingua media! [...] d'improvviso, tutto ciò non ha come esito l'immobilità, la fissazione del tempo; al contrario, [...] invece che «fissare» la realtà, pare comunicarle una sua misteriosa ansia di scorrere, di fluire. Forse la pittura si è fatta cinema.»

Anni '30-'40[modifica | modifica wikitesto]

In questi anni pubblicò: Itinerario di Paolina (1937), attento e delicato ritratto di Paola (alter ego dell'autrice) in tredici parti o "capitoli", dalle primissime esperienze dell'infanzia fino alle soglie della giovinezza; Il coraggio delle donne (1940), cinque racconti sulla condizione femminile tra la fine dell'800 e gli inizi del '900; Sette lune (1941), romanzo - «acerbo» a detta della stessa autrice - con protagoniste Maria e Fernanda, che stringono amicizia in vista di un esame universitario; Le monache cantano (1942), undici racconti, in generale collegati dalla figura, più o meno evidente, della studiosa o «visitatrice [...] in cerca di pitture celebri».

Anni '40-'50[modifica | modifica wikitesto]

In questo decennio la Banti fu impegnata nella travagliata composizione di Artemisia (1947). Primo, grande successo di critica, è il libro più famoso e sofferto: Anna Banti dovette scriverlo due volte, avendo perduto la prima stesura in un bombardamento del '44 su Firenze. Assieme alla ricerca del personaggio tra le macerie della Storia (e del cuore) e al rapporto con esso, l'autrice rievoca la vita della pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi, «donna eccezionale, né sposa né fanciulla», narrando la vocazione artistica di una donna in lotta contro i pregiudizi del suo tempo («"Vedranno chi è Artemisia"»). Una vita travagliata (lo stupro, il processo) in cerca dell'affermazione di sé e della propria dignità («"Ma io dipingo" scopre Artemisia, risvegliandosi: ed è salvata»; «[...] una donna che dipinge nel mille seicento quaranta è un atto di coraggio, [...] fino ad oggi»); ma soprattutto alla disperata ricerca di affetto, dell'amore mai goduto fino in fondo per le persone care: il devoto e un po' incompreso fratello Francesco, il tenero e subito perduto marito Antonio, l'ostile figlia Porziella, l'ombroso e irraggiungibile - se non a momenti, in particolare verso la fine - padre Orazio, con cui un giorno riesce a parlare il "suo" (il loro) linguaggio, quello dell'arte, «dei puri, degli eletti».

Scrisse Contini:

«Artemisia («donna, inferno per me, male per gli altri») è il personaggio che si muove nell'intervallo fra le definizioni di «donna forte» [...] e di «donna altera ma debole» [...]. [...] vittima pregiudizialmente dannata (e a questo punto la desinenza in a non dovrebbe celare oltre l'umanità generale del tipo, non limitato a una fisiologica metà della razza), in codesto impasto di fragilità umiliata e repressa che per orgoglio simula la forza, ravvisiamo la dominante, non diremo l'ossessione, che individuava le figure di Anna Banti...»

Nello stesso decennio uscì Le donne muoiono (1951), raccolta di quattro racconti, tra cui spicca Lavinia fuggita: nella Venezia di Vivaldi, tre amiche orfane all'Ospedale della Pietà, Orsola, Zanetta e Lavinia, sognano il proprio futuro; la terza, più di tutte, appare divisa tra la bruciante passione di comporre musica "in incognito " e l'altrettanto forte desiderio di scoprire le proprie radici.

Emilio Cecchi definì Lavinia fuggita «un racconto che sta fra quanto di meglio nella letteratura narrativa in questi anni è stato prodotto, e non soltanto in Italia. [...] Le due meschinelle, Orsola e Zanetta, che discorrono di quando erano all'orfanotrofio, e rievocano la ribelle Lavinia, non meno di costei sono figure di cui sarà difficile scordarsi».

Seguirono Allarme sul lago (1954) e Il bastardo (1953), romanzo "fratello" di Artemisia ovvero anch'esso perduto durante la seconda guerra mondiale e riscritto. Di ambientazione contemporanea, vi si narra la storia della famiglia De Gregorio, «espressione di una società intimamente logorata» (Niccolò Gallo). Indimenticabile è «l'episodio notturno che conclude il primo capitolo del romanzo, dove Cecilia scopre l'esistenza del bastardo, figlio illegittimo di suo padre, il barone De Gregorio»; nel 1951, su "Paragone" tali pagine erano intitolate Luna sull'orto, anticipazione del testo ancora inedito. Nel '61, una nuova edizione del libro reca invece il titolo La casa piccola, «che fa riferimento alla famiglia illegittima del barone De Gregorio (tiene "casa piccola", secondo un'espressione gergale)».

Anni '60[modifica | modifica wikitesto]

Del 1967 è il romanzo storico Noi credevamo, quantunque la Banti precisi che i suoi andrebbero considerati "non" romanzi storici bensì "interpretazioni ipotetiche della storia". Anno 1883: in esilio nella casa torinese, un anziano e sofferente patriota "democratico" mette a fuoco, analizza e giudica un'esistenza vissuta tra ideologia e azione, vergando uno "scartafaccio" ovvero le proprie memorie, sull'attività politica clandestina, la prigionia subita da detenuto politico nelle carceri borboniche, la disillusione postunitaria. Protagonista è il gentiluomo calabrese Domenico Lopresti, «di incrollabile credo repubblicano»,[1] mazziniano e garibaldino, nella cui figura si adombra il nonno paterno della Banti. Prima corriere settario, poi galeotto a Procida e a Montefusco insieme con Carlo Poerio e Sigismondo Castromediano, egli finisce, dopo «l'impresa dei Mille vissuta a fianco di Garibaldi»,[1] per impiegarsi presso le dogane del nuovo Regno d'Italia. Ma si ritirerà, in seguito all'ultimo bruciante disinganno di Aspromonte. Vivendo nel continuo e sfibrante ricordo degli eventi, le "fratture", che ne hanno segnato il passato, don Domenico cerca di darsi delle spiegazioni; amaramente, prenderà atto del crollo degli ideali risorgimentali in cui aveva creduto, mentre scrive con rabbia, di nascosto, quasi vergognandosene, abbandonandosi ai momenti di una vita raminga fatta di amicizie, tradimenti, speranze e delusioni. Una visione disincantata del Risorgimento italiano: «Ma io non conto, eravamo tanti, eravamo insieme, il carcere non bastava; la lotta dovevamo cominciarla quando ne uscimmo. Noi, dolce parola».

Anni '70-'80[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1972 vince il Premio Bagutta, prima donna ad ottenere il riconoscimento nella lunga storia del premio.[2][3]

Nel 1973 pubblica La camicia bruciata, terza grande "interpretazione storica" dopo Artemisia e Noi credevamo. La storia comincia nel 1661 e si conclude nei primi anni del secolo successivo, dopo aver seguito le vicende e analizzato la psicologia di due principesse di casa Medici, Marguerite-Louise e Violante.[4]

Nel 1981 esce Un grido lacerante, ultima «autobiografia trasposta» che si ricollega al primo libro, Itinerario di Paolina (1937), quasi a chiudere idealmente il cerchio.

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Romanzi[modifica | modifica wikitesto]

  • Itinerario di Paolina, Augustea, Roma, 1937.
  • Sette lune, Bompiani, Milano, I ed. 12 luglio 1941.
  • Artemisia, Sansoni, Firenze, 1947; Collana Grandi Narratori Italiani, n.8, Mondadori, Milano, 1953; Collana Il Bosco, n. 158, Mondadori, 1965; apparso insieme a Noi credevamo col titolo Due Storie, Mondadori, 1969; Introduzione di Attilio Bertolucci, Oscar Mondadori, 1974; Collana La Scala, Rizzoli, 1989; Introduzione di Giuseppe Leonelli, Collana Grandi Tascabili, Bompiani, 1994-2001-2005, ISBN 88-452-5099-7; Prefazione di Margherita Ghilardi, Collezione Premio Strega. I 100 capolavori, UTET-Fondazione Goffredo e Maria Bellonci, Torino-Roma, 2007; con uno scritto di Attilio Bertolucci, Milano, SE, 2015, ISBN 978-88-672-3141-6.
  • Il bastardo, Collana Biblioteca di Paragone, Sansoni, Firenze, 1953; col titolo La casa piccola, Collana Narratori italiani/Opere di Anna Banti volume II, Mondadori, Milano, 1961.
  • Allarme sul lago, Collana Grandi Narratori Italiani vol. XX, Mondadori, Milano, 1954.
  • La casa piccola, Collana Opere di Anna Banti volume II, Mondadori, Milano, 1961.
  • Le mosche d'oro, Collana Narratori Italiani n. 96, Opere di Anna Banti, vol. III, Mondadori, Milano, 1962; di prossima ripubblicazione presso l'Editore Hacca, ISBN 88-89920-89-0
  • Noi credevamo, Collana Narratori Italiani n.155/VI volume delle Opere di Anna Banti, Mondadori, Milano, 1967; Introduzione di Giulio Cattaneo, Oscar Mondadori, 1978; Postfazione di Enzo Siciliano, Collana Oscar Scrittori moderni, Mondadori, 2010, ISBN 978-88-04-60384-9.
  • La camicia bruciata, Collana Scrittori Italiani e Stranieri, Mondadori, Milano, 1973; con un'introduzione di Attilio Bertolucci, Oscar Mondadori, Milano, 1979; Collana Evergreen. Grande Biblioteca dei ragazzi, Mondadori/De Agostini, 1987.
  • Un grido lacerante, Prefazione di Cesare Garboli, Collana La Scala, Rizzoli, Milano, 1981, ISBN 88-17-45079-0.

Racconti[modifica | modifica wikitesto]

  • Il coraggio delle donne, Le Monnier, Firenze, 1940.
  • Le monache cantano, Roma, 1942.
  • Le donne muoiono, Collana La Medusa degli italiani n.LXIII, Mondadori, Milano, 1951; riedito nel 1998 da Giunti, con prefazione di Enza Biagini.
  • La monaca di Sciangai e altri racconti, Collana Grandi Narratori Italiani, Mondadori, Milano, 1957; poi nella Collana Narratori Italiani n. 45/ Opere di Anna Banti volume V, Milano, Mondadori, 1963.
  • Campi Elisi, Collana Narratori Italiani/ IV volume delle Opere di Anna Banti, Milano, Mondadori, 1963.
  • Je vous écris d'un pays lointain, Collana Scrittori Italiani e Stranieri, Mondadori, Milano, 1971.
  • Da un paese vicino, Collana Scrittori Italiani e Stranieri, Mondadori, Milano, 1975.
  • Lavinia fuggita, Collana Piccoli Tascabili, La Tartaruga, 1996 ISBN 88-7738-211-2
  • Racconti ritrovati, a cura di Fausta Garavini, Collana Oceani, Milano, La Nave di Teseo, 2017, ISBN 978-88-934-4359-3.

Raccolte complessive[modifica | modifica wikitesto]

  • Romanzi e racconti (contiene: Itinerario di Paolina, Conosco una famiglia..., Felicina, Vocazioni distinte, Artemisia, I porci, Lavinia fuggita, La libertà di Giacinta, Il bastardo, Arabella e affini, Un lungo rancore, Campi Elisi, Noi credevamo, Je vous ècris d'un pays lointain, La camicia bruciata, Tela e cenere, La signorina, Un grido lacerante), a cura e con un saggio introduttivo di Fausta Garavini con la collaborazione di Laura Desideri, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 2013, ISBN 978-88-04-62710-4.
  • Racconti ritrovati, a cura di Fausta Garavini, La Nave di Teseo, Milano, 2017.

Teatro[modifica | modifica wikitesto]

  • Corte Savella, Collana Narratori Italiani n.72, Opere di Anna Banti volume I, Milano, Mondadori, 1960 [riduzione per le scene di Artemisia].

Saggistica[modifica | modifica wikitesto]

  • Lorenzo Lotto, regesti, note e cataloghi di Antonio Boschetto, Biblioteca di Proporzioni, Sansoni, Firenze 1953; Rivelazione di Lorenzo Lotto, Sansoni, Firenze, 1981; Skira, Ginevra-Milano 2011.
  • Fra Angelico, Collana Pinacotheca, Sidera Edizioni, Milano, 1953.
  • Diego Diego Velázquez (1599-1660), Serie Arte n.98, Garzanti, Milano, 1955.
  • Claude Monet (1840-1926), Serie Arte, Garzanti, Milano, 1956.
  • Opinioni, Collana La Cultura, Il Saggiatore, Milano, 1961.
  • Matilde Serao, Collana La vita sociale della Nuova Italia, UTET, Torino, 1965-1979 [biografia].
  • Giovanni da San Giovanni. Pittore della contraddizione, Sansoni, Firenze, 1977.
  • Cinema: 1950-1977, a cura di Maria Carla Papini, Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto Longhi, 2008 ISBN 88-87815-43-7
  • Quando anche le donne si misero a dipingere, Collana Miniature, Abscondita, 2011 (già uscito nella Collana Narrativa n. 2, La Tartaruga, 1982 ISBN 88-7738-042-X).

Traduzioni[modifica | modifica wikitesto]

  • William Makepeace Thackeray, La fiera delle vanità, Longanesi, Milano, 1948; Curcio, Roma, 1982; Newton Compton, Roma, 2005.[5]
  • Virginia Woolf, La camera di Giacobbe, Mondadori, 1950; La camera di Jacob, con postfazione di Anna Banti, Mondadori, Milano 1980.
  • Francis Carco, L'amico dei pittori, Martello, Milano 1955.
  • André Chastel, L'arte italiana, 2 voll., Sansoni, Firenze 1957-1958; Storia dell'arte Italiana, Laterza, Roma 1987.
  • Alain-Fournier, Il grande amico, Mondadori, Milano 1971 (Classici di ieri e di oggi per la gioventù); edizione integrale con prefazione di A. Banti, Il grande Meaulnes, 1974 (I capolavori della Medusa, serie 2).
  • Colette, La vagabonda, Mondadori, Milano 1977 (con prefazione Les moralités di Colette); ES, Milano, 1994.
  • Jane Austen, Caterina, con nota su Caterina, pp. 245–247, Giunti-Marzocco, Firenze 1978 (Gemini); col titolo L'abbazia di Northanger, Giunti, Firenze 1994; col titolo or. Northanger Abbey, Collana I Classici, Milano, Bompiani, 2018.
  • Jack London, Zanna Bianca, Giunti-Marzocco, Firenze 1981 (Gemini); Giunti, Firenze 2007 (Giunti Junior).

Curatele[modifica | modifica wikitesto]

Carteggi[modifica | modifica wikitesto]

  • Lettere ad Alberto Arbasino, a cura di Piero Gelli, Collana Lettere, Archinto, Milano, 2006.

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria
«Di iniziativa del Presidente della Repubblica»
— 2 giugno 1974[11]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Anna Banti, Noi credevamo, Milano, Mondadori (collana Oscar scrittori moderni), 2010 [1967], quarta di copertina e fascetta editoriale, ISBN 978-88-04-60384-9.
  2. ^ I congiurati del premio Bagutta, su ricerca.repubblica.it. URL consultato il 30 novembre 2019.
  3. ^ Il Premio Bagutta e le scrittrici, su impagine.it. URL consultato il 30 novembre 2019.
  4. ^ Giorgio Bàrberi Squarotti, Anna Banti e Alba de Céspedes, in Storia della civiltà letteraria italiana, Il secondo Ottocento e il Novecento. La narrativa degli anni Venti e Trenta, vol. 5°, t. 2°, Torino, UTET, 1996, pp. 1215-1219 [p. 1218].
  5. ^ William Makepeace Thackeray, La fiera delle vanità, traduzione di Anna Banti, collana Biblioteca Economica Newton, Newton Compton, 2005, p. 665, ISBN 88-541-0276-8.
  6. ^ Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.it. URL consultato il 9 agosto 2019 (archiviato dall'url originale il 18 febbraio 2015).
  7. ^ Il premio Bagutta ad Anna Banti (PDF), in l'Unità, 11 gennaio 1972, p. 3. URL consultato il 17 dicembre 2018.
  8. ^ Ad Anna Banti il Premio Bagutta, in Corriere della Sera, 11 gennaio 1972, p. 9. URL consultato il 17 dicembre 2018.
  9. ^ Ad Anna Banti il Premio Bagutta (PDF), in Avanti!, n. 9, Edizione Nazionale, 12 gennaio 1972, p. 3. URL consultato il 20 dicembre 2018 (archiviato dall'url originale il 23 dicembre 2018). Ospitato su Senato.
  10. ^ Premio Campiello, opere premiate nelle precedenti edizioni, su premiocampiello.org. URL consultato il 24 febbraio 2019.
  11. ^ Sito del Quirinale, su quirinale.it. URL consultato il 30 ottobre 2019.
  12. ^ Premi Feltrinelli 1950-2011, su lincei.it. URL consultato il 17 novembre 2019.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Enza Biagini, Anna Banti, Milano, Mursia, 1978.
  • L'Opera di Anna Banti. Atti del Convegno di Studi (Firenze, 8-9 maggio 1992), a cura di E. Biagini, Collana Cultura e Memoria, Firenze, Olschki, 1997, ISBN 978-88-222-4491-8.
  • Maria Luisa Di Blasi, L'altro silenzio. Per leggere «Un grido lacerante» di Anna Banti nel segno di una trascendenza femminile, Collana La Nuova Meridiana, Firenze, Le Lettere, 2001.
  • Susan Sontag, A double destiny. On Anna Banti' s Artemisia, "London Review of Books", 25 settembre 2003.
  • Anna Banti.Una regina dimenticata, "Paragone", Anno LVI, Terza serie, n. 57/58/59, Febbraio-Giugno 2005.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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