Crono

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Crono
Rea offre la pietra a Crono[1], particolare di un vaso in ceramica a figure rosse attribuito al Pittore di Nausicaa, ca. 460–450 a.C.; conservato al Metropolitan Museum of Art, New York.
Nome orig.Κρόνος (Krónos)
Lingua orig.Greco antico
Caratteristiche immaginarie
Sessomaschio
ProfessioneTitano del tempo e re dei Titani
AffiliazioneTitani

Crono (in greco antico: Κρόνος?, Krónos) è una divinità pre-olimpica della mitologia e della religione greca, nei miti più diffusi figlio di Urano (Cielo) e di Gea o Gaia (Terra), Titano della Fertilità, del Tempo e dell'Agricoltura, secondo signore del mondo e padre di Zeus e dei primi Olimpi. Non è da confondere con Chronos, divinità del tempo nell'orfismo. Crono viene identificato come Saturno nella mitologia romana.

Crono nella Teogonia di Esiodo[modifica | modifica wikitesto]

(GRC)

«τῷ δὲ σπαργανίσασα μέγαν λίθον ἐγγυάλιξεν / Οὐρανίδῃ μέγ᾽ ἄνακτι, θεῶν προτέρῳ βασιλῆι»

(IT)

«A quello poi, avvolta di fasce, una grande pietra essa dette, / al figlio d'Urano grande signore, degli dèi primo re»

Nella Teogonia di Esiodo, ai vv. 133-138, viene narrato che Gea (Γαῖα, "Terra"), unendosi a Urano (Οὐρανός ἀστερόεις, "Cielo stellante"), genera i Titani: Oceano (Ὠκεανός)[2], Ceo (Κοῖος), Crio (Κριός, anche Κρεῖος), Iperione (Ύπέριον), Giapeto (Ἰαπετός), Teia (Θεία, anche Tia)[3], Rea (Ῥέα), Temi (Θέμις), Mnemosine (Μνημοσύνη), Febe (Φοίβη), Teti (Τηθύς) e Crono (Κρόνος).

Dopo i Titani (vv. 139-153), l'unione tra Gea e Urano genera i tre Ciclopi (Κύκλωπες: Bronte, Sterope e Arge[4])[5]; e i Centimani (Ἑκατόγχειρες, Ecatonchiri): Cotto, Briareo e Gige dalla forza terribile[6].

Urano (vv.154-182), tuttavia, impedisce che i figli da lui generati con Gea, i dodici Titani, i tre Ciclopi e i tre Centimani, vengano alla luce. La ragione di questo rifiuto risiederebbe secondo alcuni autori[7], nella loro "mostruosità". Ecco che la madre di costoro, Gea costruisce dapprima una falce dentata e poi invita i figli a disfarsi del padre che li costringe nel suo ventre. Solo l'ultimo dei Titani, Crono, risponde all'appello della madre: appena Urano si stende nuovamente su Gaia, Crono, nascosto[8] lo evira usando un harpe.

Da questo momento inizia il dominio di Crono, il quale, unendosi a Rea, genera: Istie (Ἱστίη, ionico; anche Estia dall'attico Ἑστία), Demetra (Δήμητρα), Era (Ἥρα, anche Hera), Ade (Ἅιδης), Ennosigeo (Ἐννοσίγαιον, Scuotitore della terra, da intendere come Posidone o Poseidone Ποσειδῶν[9]) e infine Zeus (Ζεύς).

Crono uccide i suoi figli[modifica | modifica wikitesto]

Saturno che divora i suoi figli, dipinto di Francisco Goya

A volte, viene indicato il cosiddetto "mito di Crono" (o Saturno, per i latini) o la cosiddetta "sindrome di Crono" la patologia psichica di un padre che desidera, o addirittura esegue, l'omicidio di un proprio figlio, così come parimenti viene indicata come "sindrome di Medea" il desiderio o l'atto di una madre di uccidere i suoi figli[10].

Così come suo padre Urano, infatti, anche Crono voleva uccidere i suoi figli. Un oracolo gli aveva predetto che uno dei suoi neonati, una volta cresciuto lo avrebbe prima o poi spodestato. Per impedire questo, essendo anch'essi degli immortali e non potendo semplicemente ucciderli, appena nati li ingoiava. Di questo cruento atto, è celebre il dipinto di Francisco Goya.

Un giorno però, sua moglie Rea, incinta di Zeus, consigliatasi con i genitori, decide di partorire di nascosto a Litto (Creta)[11], consegnando a Crono una pietra che quest'ultimo divorerà pensando fosse il proprio ultimo figlio. Sarà proprio Zeus, una volta cresciuto, a spodestare Crono, divenendo il re dell'Olimpo.

Per la mitologia, quindi, Crono non solo divenne il simbolo del divoratore di figli ma, proprio come il tempo cronologico, appunto l'inesorabile trascorrere del tempo come divoratore di tutti gli eventi.

Zeus (vv.492-500) quindi, crescerà in forza e intelligenza e infine sconfiggerà il padre Crono, facendogli rigurgitare[12] gli altri figli che aveva divorato, e il primo oggetto vomitato da Crono è proprio quella pietra che egli aveva inghiottito scambiandola per Zeus[13]. Quindi Zeus (vv.501-506) scioglie dalle catene i tre Ciclopi[14] così costretti dallo stesso Crono, i quali lo ricambieranno consegnandogli la Folgore (i fulmini).

I versi 617-720 della Teogonia si occupano della Titanomachia, ovvero la lotta tra i titani residenti sul monte Otri[15] e gli dèi dell'Olimpo (figli di Crono e di Rea): da dieci anni la lotta tra i due schieramenti prosegue incerta quando Zeus, su consiglio di Gea, libera i tre Centimani precedentemente costretti nel Tartaro da Urano e, dopo averli rifocillati con nettare e ambrosia, li coinvolge nella battaglia che diverrà così decisiva e si concluderà con la sconfitta dei titani e la loro segregazione nel Tartaro, chiuso da mura e da porte di bronzo costruite appositamente da Poseidone e guardati a vista dagli stessi tre Centimani.

Genealogia (Esiodo)[modifica | modifica wikitesto]


Gli uomini al tempo di Crono[modifica | modifica wikitesto]

Sempre Esiodo, in Opere e giorni, narra di un'età dell'oro per gli uomini quando signore del Cosmo era il titano Crono:

(GRC)

«χρύσεον μὲν πρώτιστα γένος μερόπων ἀνθρώπων
ἀθάνατοι ποίησαν Ὀλύμπια δώματ᾽ ἔχοντες.
οἳ μὲν ἐπὶ Κρόνου ἦσαν, ὅτ᾽ οὐρανῷ ἐμβασίλευεν:
ὥστε θεοὶ δ᾽ ἔζωον ἀκηδέα θυμὸν ἔχοντες
νόσφιν ἄτερ τε πόνων καὶ ὀιζύος: οὐδέ τι δειλὸν
γῆρας ἐπῆν, αἰεὶ δὲ πόδας καὶ χεῖρας ὁμοῖοι
τέρποντ᾽ ἐν θαλίῃσι κακῶν ἔκτοσθεν ἁπάντων:
θνῇσκον δ᾽ ὥσθ᾽ ὕπνῳ δεδμημένοι: ἐσθλὰ δὲ πάντα
τοῖσιν ἔην: καρπὸν δ᾽ ἔφερε ζείδωρος ἄρουρα
αὐτομάτη πολλόν τε καὶ ἄφθονον: οἳ δ᾽ ἐθελημοὶ
ἥσυχοι ἔργ᾽ ἐνέμοντο σὺν ἐσθλοῖσιν πολέεσσιν.
ἀφνειοὶ μήλοισι, φίλοι μακάρεσσι θεοῖσιν.»

(IT)

«Prima una stirpe aurea di uomini mortali
fecero gli immortali che hanno le Olimpie dimore.
Erano ai tempi di Kronos, quand'egli regnava nel cielo;
come dèi vivevano, senza affanni nel cuore,
lungi e al riparo da pene e miseria, né triste
vecchiaia arrivava, ma sempre ugualmente forti di gambe e di braccia,
nei conviti gioivano, lontano da tutti i malanni;
morivano come vinti dal sonno, e ogni sorta di beni
c'era per loro; il suo frutto dava la fertile terra
senza lavoro, ricco ed abbondante, e loro, contenti,
in pace, si spartivano i frutti del loro lavoro in mezzo a beni infiniti,
ricchi d'armenti, cari agli dèi beati.»

Crono liberato dal Tartaro e signore dell'Isola dei beati[modifica | modifica wikitesto]

Sempre Esiodo, in Opere e giorni (vv. 170 e seguenti), afferma che Crono, liberato dal Tartaro dopo che Zeus perdona il padre, diventa re dell'Isola dei beati (μακάρων νῆσοι) dove sono destinati da Zeus gli Eroi, lì felici e liberi dagli affanni.

Crono nelle altre tradizioni mitologiche greche[modifica | modifica wikitesto]

  • Pindaro (Olimpiche II,55-83) ci dice che Crono regna sull'Isola dei beati dove dimorano non solo gli Eroi ma anche le anime dei giusti[21].
  • Diodoro Siculo (Bibliotheca historica V, 64 e sgg.) riferisce che secondo i Cretesi, i Titani nacquero al tempo dei Cureti. Crono, dei Titani il più anziano, fu re, e grazie a lui gli uomini passarono dallo stato selvaggio alla civiltà. Insegnò agli uomini anche ad essere probi e semplici d'animo, questa è la ragione per cui si sostiene che gli uomini al tempo di Crono furono giusti e felici.
  • Plutarco (Il volto della luna XXVI, 940f-942a) narra del viaggio iniziatico del cartaginese Silla condotto verso l'estremo Occidente: a cinquemila stadi dall'isola di Ogigia, questa collocata a cinque giorni di navigazione dalle coste della Britannia, si situano le Isole dei beati dov'è Crono, imprigionato e addormentato da Zeus in una caverna color dell'oro assistito da dèmoni benefici che conoscono i suoi sogni, i quali corrispondono poi alle premeditazioni di Zeus, e li comunicano agli uomini desiderosi di sapere.
  • Nella teogonia dei miti orfici Crono non è il secondo signore degli dèi ma il quarto (dopo Phanes, Nyx e Urano), ed è discendente di Chronos.[22]

Il culto[modifica | modifica wikitesto]

Il culto di Crono era ubicato prevalentemente ad Atene (dove si celebravano in estate le feste Cronie), in Beozia, a Rodi e a Cirene.

Nell'ambito della religione romana la sua figura corrisponde a quella di Saturno.

Crono e Saturno nell'arte moderna[modifica | modifica wikitesto]

Nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Per l'interpretazione cfr. ad es. Thomas Mannack, The Late Mannerists in Athenian Vase-painting, Oxford University Press, 2001 p. 70.
  2. ^ In Iliade, XIV 201, Oceano è detto «padre degli dèi». Aristotele, in Metafisica I (A) 3,983 intende questo, «Oceano e Teti genitori del divenire», come anticipazione delle teorie di Talete.
  3. ^ Pindaro Istmica V la canta; da intendere come divinità della luce (cfr. Colonna p.83)
  4. ^ Dèi con un "occhio solo", i loro nomi richiamano rispettivamente il "Tonante", il "Fulminante" e lo "Splendente".
  5. ^ Da notare la differenza con l'Odissea, IX 187, dove i Ciclopi risultano dei giganteschi e selvaggi pastori e in cui, uno di questi, Polifemo, è figlio di Posidone. Qui, nella "Teogonia" esiodea, sono invece tre, dèì figli di Urano e Gaia, costruttori dei fulmini che poi consegneranno a Zeus; in Callimaco, "Inno ad Artemide", sono gli aiutanti di Efesto, costruttori delle fortificazioni delle città dell'Argolide, ma lo scoliaste (Esiodo, Theog., 139) indica questi ultimi come una "terza" categoria di Ciclopi: «perché di Ciclopi ci sono tre stirpi: i Ciclopi che costruirono le mura di Micene, quelli attorno a Polifemo e gli dèi stessi.»
  6. ^ Così lo scoliaste (148): «Costoro sono detti venti che prorompono dalle nubi, e sono di sicuro devastatori. Per questo miticamente sono provvisti anche di cento braccia perché hanno pulsionalità guerresche. Cotto, Briareo e Gige sono i tre momenti (dell'anno): Cotto è la canicola, cioè il momento dell'estate, Briareo è la primavera in rapporto con il fiorire ('bryein') e crescere le piante; Gige è il tempo invernale.» (Trad. Cassanmagnago, p. 503).
  7. ^ Cfr. Fritz Graf, Il mito in Grecia, Bari, Laterza, 2007, p.61; Cassanmagnago Op. cit. p.929
  8. ^ Nella vagina della madre, "locheòs" (così legge Shawn O'Bryhim, "Hesiod and the Cretan Cave", in "Rheinisches Museum fuer Philologie" 140: 95-96, 1997).
  9. ^ Cfr. Colonna nota 31 p.86.
  10. ^ LA SINDROME DI SATURNO (Analisi “psico-mitologica” sulle proporzioni sempre più XL della patologia sociale del momento. Le proposte: rivoluzione o stoica resistenza per sopravvivere?) | La Confraternita dell'Uva - Weblog, su laconfraternitadelluva.wordpress.com. URL consultato il 22 novembre 2019 (archiviato il 30 maggio 2021).
  11. ^ O sul monte Egeo, per il confronto cfr. Arrighetti p. 345-6.
  12. ^ In Apollodoro I,2,1 è Metis (Μῆτις), una delle oceanine e prima moglie di Zeus, e a far somministrare a Crono l'emetico che lo costringerà a vomitare i figli.
  13. ^ Pausania, X, 24,6 testimonia di una "pietra sacra" collocata sul monte Parnaso, nei pressi della tomba di Neottolemo.
  14. ^ Vanno letti infatti come Brontes, Steropes e Arges: in tal senso, e tra gli altri, Arrighetti, p.347 e Cassanmagnago (89) p.936.
  15. ^ Collocato a sud del monte Olimpo e a nord della piana della Tessaglia.
  16. ^ Secondo Omero, Iliade 1.570–579, 14.338(EN) , Odissea 8.312(EN) , Efesto era evidentemente il figlio di Era e Zeus, vedi Gantz, p. 74.
  17. ^ Secondo Esiodo, Teogonia 927–929(EN) , Efesto è stato generato solamente da Era, senza padre, vedi Gantz, p. 74.
  18. ^ Secondo Esiodo, Teogonia 886–890(EN) , figlia di Zeus dalle sue sette mogli, Atena è stata la prima a essere concepita, ma ultima a nascere; Zeus ingravidò Meti, poi la ingerì, in seguito lui stesso fece nascere Atena "dalla sua testa", vedi Gantz, pp. 51–52, 83–84.
  19. ^ Secondo Esiodo, Teogonia 183–200(EN) , Afrodite è nata dai genitali recisi di Urano gettati nel mare, vedi Gantz, pp. 99–100.
  20. ^ Secondo Omero, Afrodite era la figlia di Zeus (Iliade 3.374, 20.105(EN) ; Odissea 8.308, 320(EN) ) e Dione (Iliade 5.370–71(EN) ), vedi Gantz, pp. 99–100.
  21. ^ Evidente l'influenza delle dottrine orfiche, a tal proposito cfr. Giulio Guidorizzi. Il mito greco vol.1 Gli dèi. Milano, Mondadori, 2009, p.1182
  22. ^ Discorsi sacri in ventiquattro rapsodie; Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, pp. 313-529.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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