Dialetto napoletano

Disambiguazione – Se stai cercando l'idioma storico del regno di Napoli, vedi Lingua napoletana.
Napoletano
Napulitano
Parlato inBandiera dell'Italia Italia
Parlato in  Campania
Tassonomia
FilogenesiLingue indoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Italo-occidentali
    Dialetti italiani meridionali
     Dialetti campani
      Napoletano
Codici di classificazione
Glottolognapo1241 (EN)
Linguasphere51-AAA-rb
Estratto in lingua
Tutt'e cristiane nascene libbere e ch'e stisse dignità e deritte; tenene cerevielle e cuscienza e hann'a faticà ll'uno cu ll'ate comme si fossere frate.

Giovan Battista Pellegrini, La Carta dei Dialetti d'Italia: il dialetto napoletano è indicato come IVb.

Il dialetto napoletano (napulitano) è una variante diatopica del gruppo italiano meridionale delle lingue romanze parlata a Napoli e in aree della Campania non molto distanti dal capoluogo, corrispondenti approssimativamente all'attuale città metropolitana di Napoli e ai contigui agro aversano e agro nocerino-sarnese, rispettivamente parte delle province di Caserta e di Salerno.

Il termine dialetto napoletano non è sinonimo di lingua napoletana (individuata dalla classificazione ISO 639-3 attraverso il codice nap e che Ethnologue definisce "lingua napoletano-calabrese"[1]), la quale costituisce invece uno storico idioma sovraregionale basato essenzialmente sull'antica forma vernacolare napoletana (o, più in generale, meridionale) in uso all'interno del Regno di Napoli, ove in una certa fase ha avuto anche valore ufficiale.[2]

Comunque il volgare pugliese,[3][4] altro nome con cui sono storicamente conosciuti il napoletano e i dialetti meridionali,[5] nella sua forma letteraria (e alternandosi in tale ruolo con il volgare toscano),[6] finì col sostituire parzialmente il latino nei documenti ufficiali e nelle assemblee di corte a Napoli,[7] dall'unificazione delle Due Sicilie per decreto di Alfonso I, nel 1442; e continuò ad evolvere parallelamente all'ambito letterario nella sua forma parlata.[8]

Posteriormente però, già a partire dal 1501,[9] per volere degli stessi letterati locali dell'Accademia Pontaniana, il suddetto idioma cominciò ad essere, in ambiti amministrativi e diplomatici, progressivamente sostituito — e dal 1554, per volontà del cardinale Girolamo Seripando, lo fu in maniera definitiva — dall'italiano, basato sul volgare toscano,[4] (presente già da tempo in contesti letterari, di studio e relativi alla cancelleria, insieme al latino),[10] il quale, dalla metà del XVI secolo, è usato come lingua ufficiale e amministrativa di tutti gli Stati italiani preunitari (con l'unica eccezione del Regno di Sardegna insulare, dove l'italiano standard assunse tale posizione a partire dal XVIII secolo), e successivamente dell'Italia stessa, fino all'attualità.[11]

Il volgare napoletano, nella sua forma letteraria (intesa come varietà colta ed esclusivamente scritta, ad esempio, quella utilizzata da Giambattista Basile ne Lo cunto de li cunti, overo lo trattenemiento de peccerille, da non confondersi dunque con il dialetto napoletano) ha,[12] in alcune epoche, fatto da ponte fra il pensiero dell'antichità classica e quello moderno, rinascimentale e barocco, fra le culture dell'Europa meridionale e dell'oriente bizantino e quelle dell'Europa settentrionale, spaziando dall'«amor cortese» — che con la Scuola siciliana diffuse il platonismo nella poesia occidentale — al tragicomico (Vaiasseide, Pulcinella)[13] e alla tradizione popolare; in napoletano sono state inoltre raccolte, per la prima volta, le fiabe più celebri della cultura europea moderna, da Cenerentola alla Bella addormentata, nonché storie in cui compare la figura del Gatto mammone.[14]

Origini e storia[modifica | modifica wikitesto]

Il napoletano, come l'italiano, è un idioma derivato dal latino. È stato ipotizzato quale possibile substrato, al pari degli altri dialetti alto-meridionali, l'antica lingua osca (un idioma italico facente parte del ramo osco-umbro), parlata da tempo immemore dalle popolazioni autoctone dell'Italia centro-meridionale e meridionale (iscrizioni in osco rinvenute a Pompei indicano che la lingua fosse ancora parlata nel 79 d.C., a romanizzazione della regione già pienamente avvenuta da tempo), sebbene la città di Neapolis fosse nota per la sua grecità e la diglossia tra greco antico e latino. Ad ogni modo, prove chiare e inequivoche di carattere linguistico non sono facilmente formulabili.

Il napoletano, così come qualsiasi altro idioma, ha inoltre assorbito, nel corso della sua storia, influenze e "prestiti" di adstrato dai vari popoli che hanno governato la Campania e l'Italia centro-meridionale a partire dal Medioevo: dai funzionari e i mercanti bizantini nell'epoca del Ducato di Napoli, passando per i duchi e i principi longobardi di Benevento, giungendo infine ai sovrani normanni, francesi e spagnoli

Tuttavia, per quanto riguarda lo spagnolo, è errato attribuire all'influenza spagnola (Napoli e tutto il Mezzogiorno d'Italia furono governati per oltre due secoli, dal 1503 al 1707, da viceré spagnoli) qualsiasi somiglianza tra il napoletano e quest'idioma: essendo ambedue lingue romanze o neolatine, la maggior parte degli elementi comuni o somiglianti vanno infatti fatti risalire esclusivamente al latino volgare (in particolare la costruzione dell'accusativo personale indiretto e l'uso di tenere e di stare in luogo di avere ed essere, e così via).[15]

Sotto la dinastia degli Aragona di Napoli si propose che il napoletano continuasse a persistere come lingua dell'amministrazione, senza mai imporre l'aragonese o il catalano,[16] ma il tentativo abortì con la deposizione di Federico I e l'inizio del viceregno spagnolo, agli inizi XVI secolo, quando il suddetto idioma venne sostituito — per volere degli stessi letterati napoletani — dall'italiano,[17] così come in tutti gli altri Stati dell'Italia di quell'epoca. Nella prima metà dell'Ottocento, il Regno delle Due Sicilie, allo stesso modo dell'anteriore Regno di Napoli, usava infatti, de iure, come lingua amministrativa e letteraria, il solo l'italiano (così come oggi), e quindi il napoletano non ebbe mai condizione di lingua ufficiale, se non per un breve periodo, dal 1442 al 1501.[18]

Fonetica e sintassi[modifica | modifica wikitesto]

Spesso le vocali non toniche (su cui cioè non cade l'accento) e quelle poste in fine di parola, non vengono articolate in modo distinto tra loro, e sono tutte pronunciate con un suono centrale indistinto che i linguisti chiamano scevà e che nell'alfabeto fonetico internazionale è trascritto col simbolo /ə/ (in francese lo ritroviamo, ad esempio, nella pronuncia della e semimuta di petit).[19]

Nonostante la pronuncia (e in mancanza di convenzioni ortografiche accettate da tutti) spesso queste vocali, nei solchi della tradizione letteraria in lingua, sono trascritte sulla base del modello della lingua italiana, e ciò, pur migliorando la leggibilità del testo e rendendo graficamente un suono debole ma esistente, favorisce l'insorgere di errori da parte di coloro che, non conoscendo la lingua, sono portati a leggere le suddette vocali come in italiano. In altri casi si preferisce trascrivere le vocali con una dieresi. Nell'uso scritto spontaneo dei giovani (SMS, graffiti, ecc.), come ha documentato Pietro Maturi, prevale invece l'omissione completa di tale fono, con il risultato di grafie quasi-fonetiche a volte poco riconoscibili ma marcatamente distanti dalla forma italiana (p.es. tliefn per təliefənə, ovvero "telefona").

Altri errori comuni, dovuti a somiglianze solo apparenti con l'italiano, riguardano l'uso errato del rafforzamento sintattico, che segue, rispetto all'italiano, regole proprie e molto diverse, e la pronuncia di vocali chiuse invece che aperte, o viceversa, l'arbitraria interpretazione di alcuni suoni.

Alcune ulteriori differenze di pronuncia con l'italiano sono:

  • in principio di parola, e soprattutto nei gruppi gua /gwa/ e gue /gwe/, spesso la occlusiva velare sonora /g/ seguita da vocale diventa approssimante /ɣ/.
  • la fricativa alveolare non sonora /s/ in posizione iniziale seguita da consonante viene spesso pronunciata come fricativa postalveolare non sonora /ʃ/ (come in scena [ˈʃɛːna] dell'italiano) ma non quando è seguita da una occlusiva dentale /t/ o /d/ (almeno nella forma più pura della lingua, e questa tendenza viene invertita nelle parlate molisane).
  • le parole che terminano per consonante (in genere prestiti stranieri) portano l'accento sull'ultima sillaba.
  • la /i/ diacritica presente nei gruppi -cia /-ʧa/ e -gia /-ʤa/ dell'italiano, viene talvolta pronunciata: per es. na cruciéra [nɑkru'ʧjerə].
  • è frequente il rotacismo della /d/, cioè il suo passaggio a /r/ (realizzata più esattamente come [ɾ]), come in Maronna.
  • la consonante occlusiva bilabiale sonora /b/ a inizio di parola è pronunciata come la consonante fricativa labiodentale sonora /v/ (betacismo): per es. "báscio" [vɑʃə].

Letteratura in napoletano[modifica | modifica wikitesto]

Prime testimonianze[modifica | modifica wikitesto]

Il napoletano (come il siciliano e altre varietà italoromanze) possiede una ricchissima tradizione letteraria. Si hanno testimonianze scritte di napoletano già nel 960 con il famoso Placito di Capua (considerato spesso il primo documento in lingua italiana, ma trattandosi più precisamente del primo documento in un volgare italoromanzo di cui si ha testimonianza, corrispondente, per l'appunto, al volgare italoromanzo utilizzato all'epoca in Campania e conosciuto come volgare pugliese), e poi all'inizio del Trecento, con una volgarizzazione dal latino della Storia della distruzione di Troia di Guido delle Colonne.[20] La prima opera in prosa è considerata comunemente quella dei Diurnali, un Chronicon degli avvenimenti più importanti del Regno di Sicilia dell'XI secolo, che si arresta al 1268, probabilmente opera di Matteo Spinelli di Giovinazzo.[21]

Gli inizi[modifica | modifica wikitesto]

Il napoletano sostituì il latino nei documenti ufficiali e nelle assemblee di corte a Napoli, dall'unificazione delle Due Sicilie per decreto di Alfonso I, nel 1442. Alla corte dei suoi discendenti, a partire dal figlio Ferdinando I di Napoli, gli interessi umanistici assunsero però un carattere molto più politico; i nuovi sovrani incentivarono l'adozione definitiva del toscano come lingua letteraria anche a Napoli: è della seconda metà del XV secolo l'antologia di rime nota come Raccolta aragonese, che Lorenzo de' Medici inviò al re di Napoli Federico I, in cui si proponeva alla corte partenopea il fiorentino come modello di volgare illustre, di pari dignità letteraria con il latino. Un lungo periodo di crisi seguì questi provvedimenti, per il napoletano, finché le incertezze politiche che sorsero con la fine del dominio aragonese portarono un rinnovato interesse culturale per il volgare cittadino, per poi optare, nel corso del XVI secolo, per l'adozione definitiva del volgare toscano.[22]

Illustrazione di un'edizione della fiaba di Cenerentola del XIX secolo. Ne Lo cunto de li cunti esiste la prima trascrizione della favola della letteratura occidentale

Il più celebre poeta in napoletano dell'età moderna è Giulio Cesare Cortese.[23] Egli è molto importante per la letteratura dialettale e barocca, in quanto, con Basile, pone le basi per la dignità letteraria ed artistica del napoletano moderno. Di costui si ricorda la Vaiasseide, un'opera eroicomica in cinque canti, dove il metro lirico e la tematica eroica sono abbassati a quello che è il livello effettivo delle protagoniste: un gruppo di vaiasse, donne popolane napoletane, che s'esprimono in lingua. È scritto comico e trasgressivo, dove molta importanza ha la partecipazione corale della plebe ai meccanismi dell'azione.[24]

Prosa[modifica | modifica wikitesto]

La prosa in volgare napoletano diviene celebre grazie a Giambattista Basile, vissuto nella prima metà del Seicento. Basile è autore di un'opera famosa come Lo Cunto de li Cunti, ovvero lo trattenimiento de le piccerille, tradotta in italiano da Benedetto Croce, che ha regalato al mondo la realtà popolare e fantasiosa delle fiabe, inaugurando una tradizione ben ripresa da Perrault e dai fratelli Grimm.[25]

Età contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Negli ultimi tre secoli è sorta una fiorente letteratura in napoletano, in settori anche diversissimi tra loro, che in alcuni casi è giunta anche a punte di grandissimo livello, come ad esempio nelle opere di Salvatore Di Giacomo, Raffaele Viviani, Ferdinando Russo, Eduardo Scarpetta, Eduardo De Filippo, Totò.

Sarebbero inoltre da menzionare nel corpo letterario anche le canzoni napoletane, eredi di una lunga tradizione musicale, caratterizzate da grande lirismo e melodicità, i cui pezzi più famosi (come, ad esempio, 'O sole mio) sono noti in diverse zone del mondo. Esiste inoltre un fitto repertorio di canti popolari alcuni dei quali sono oggi considerati dei classici.

Va infine aggiunto che a cavallo del XVII e XVIII secolo, nel periodo di maggior fulgore della cosiddetta scuola musicale napoletana, questa lingua è stata utilizzata per la produzione di interi libretti di opere liriche, come Lo frate 'nnammurato del Pergolesi hanno avuto una diffusione ben al di fuori dei confini partenopei.

Va segnalata infine la ripresa dell'uso del napoletano nell'ambito della musica pop, musica progressiva, hip hop e negli ultimi decenni anche il rap, almeno a partire dalla fine degli anni settanta (Pino Daniele, Nuova Compagnia di Canto Popolare, Napoli Centrale, poi ripresa anche negli anni novanta/duemila con 99 Posse, Almamegretta, 24 Grana, Co'Sang, La Famiglia, 13 Bastardi e nell'ultimo decennio con Rocco Hunt, il collettivo SLF e i rapper Clementino e Geolier) in nuove modalità di ibridazione e di commistione con l'italiano, l'inglese, lo spagnolo e altre lingue, e alla fine degli anni '70 nacque un nuovo genere della canzone napoletana, cioè la musica neomelodica inventata da Gigi Finizio, da Patrizio e da Nino D'Angelo e poi usata anche da Gigi D'Alessio. Anche nel cinema e nel teatro d'avanguardia la presenza del napoletano è andata intensificandosi negli ultimi decenni del Novecento e nei primi anni del XXI secolo.

La documentazione sul napoletano è ampia ma non sempre a un livello scientifico. Vocabolari rigorosi sono quello di Raffaele D'Ambra (un erudito ottocentesco) e quello di Antonio Altamura (studioso novecentesco). Interessante è anche la grammatica del Capozzoli (1889). Raffaele Andreoli redasse il Vocabolario napoletano-italiano, edito da G.B. Paravia (1887).

Anche negli ultimi anni sono stati pubblicati dizionari e grammatiche del napoletano, ma non si è mai pervenuti a una normativa concorde dell'ortografia, della grammatica e della sintassi, sebbene si possa comunque ricavare deduttivamente, dai testi classici a noi giunti, una serie di regole convenzionali abbastanza diffuse.

Linguistica[modifica | modifica wikitesto]

Gli studi più recenti hanno dedicato al napoletano e ai dialetti campani una certa attenzione. Per il napoletano antico si segnalano i lavori di Vittorio Formentin sui Ricordi di Luigi de Rosa, di Rosario Coluccia sulla Cronaca figurata del Ferraiolo, di Nicola De Blasi sulla traduzione del Libro de la destructione de Troya, di Marcello Barbato e Marcello Aprile sull'umanista Giovanni Brancati. Sui dialetti moderni, tra gli altri, si segnalano i lavori di Rosanna Sornicola, di Nicola De Blasi, di Patricia Bianchi e di Pietro Maturi dell'Università di Napoli Federico II, di Edgar Radtke dell'Università di Heidelberg, di Francesco Avolio sui confini dei dialetti campani e di Michela Russo, dell'Università di Paris VIII, su aspetti della fonetica come la metafonia. Una rivista, diretta da Rosanna Sornicola, il Bollettino Linguistico Campano, si occupa prevalentemente del napoletano. Per alcuni anni è stato attivo un insegnamento universitario di Dialettologia campana presso la facoltà di Sociologia della Federico II, affidato a Pietro Maturi.

Lessico[modifica | modifica wikitesto]

Il vernacolo napoletano ha avuto una propria evoluzione nel corso dei secoli, prendendo a prestito lemmi provenienti da varie lingue: oltre che dall'italiano, dalla lingua spagnola, dalla lingua francese, dalla lingua araba, dalla lingua inglese, ma anche dal greco antico e ovviamente dal latino, idioma da cui deriva.

La tabella che segue offre un confronto tra alcuni termini napoletani e alcuni stranieri simili tra loro per suono e significato: la similitudine non prova tuttavia un rapporto di derivazione, dal momento che in molti casi la parola napoletana ha relazioni provate con i dialetti vicini o con il latino medievale. L'affinità con la lingua straniera può essere quindi una coincidenza o un effetto della comune derivazione dal latino di entrambe le varietà linguistiche.[15]

Lemma napoletano Lemma italiano standard con uguale significato o simile Lemma simile in una lingua straniera Lingua di riferimento del lemma straniero simile
Abbàscio giù / in basso / abbasso (prima persona dell'indicativo presente nel verbo abbassare) ad + bassum / abajo / abaixo / en bas / a baix latino / spagnolo / portoghese / francese / catalano
Abbuscà buscare / guadagnarsi qualcosa / ottenere con sforzo buscar (avente significato di cercare) spagnolo
Accattà comprare / accattare (variante letteraria in disuso) accaptare / acheter

latino / francese

Addó / Aró dove / donde (variante letteraria in disuso) ad + de unde latino
Ajére ieri ad + heri / ayer / hier latino / spagnolo / francese
Alluccà urlare / gridare / alzare la voce adloquere latino
Ammazzaruto non lievitato / azzimo μάζαρος greco antico
Appriésso appresso / dopo / seguente ad pressum / après latino / francese
Arrassusia[26] lontano sia! / non sia mai! 2* abrasum sit = sia cancellato (meno probabile) latino
Ascià trovare / cercare hallar / achar spagnolo / portoghese
Auciéllo uccello avicellum latino
Avascià abbassare abaixar / abaisser / abaixar catalano / francese / portoghese
Blé blu bleu francese
Blecco asfalto per isolamenti black inglese
Buàtta barattolo boîte francese
Buttéglia bottiglia bouteille francese
Caccavella pentola caccabellum latino tardo
Caiola (cajola) gabbia caveola (dim. di cavea) latino
Càntero/cantaro vaso da notte κάνθαρος (kántharos) greco antico
Canzo tempo chance francese (Per traslazione semantica: chance - possibilità, occasione; es. damme 'o canzo, dammi il tempo)
Capa testa caput latino
Cape 'e zì Viciénzo nullatenente caput sine censu latino
Cerasa ciliegia cerasum latino
Connola culla cunula latino tardo
Crianza educazione / creanza (variante letteraria in disuso) crianza / criança / créance spagnolo / portoghese / francese
Crisommola (cresommola) albicocca χρυσοῦν μῆλον (chrysoûn mêlon = frutto d'oro) greco antico
Cucchiàra cucchiaio cochlearia / cuchara latino / spagnolo
Drincà o trincà bere alcolici / ubriacarsi trinquer / trinkan francese / antico alto tedesco
Femmena donna / femmina femina / femme latino / francese
Fenèsta finestra fenestra / fenêtre (fenestre) latino / francese (antico francese)
Folche adattamento di "folk" folk inglese
Fuì fuggire fuir francese
Gengómma o cingómma gomma da masticare chewing-gum inglese
Ginzo adattamento di "jeans" jeans inglese americano
Gglì/ì' andare ire latino
Guallara ernia / sacca scrotale wadara arabo
Guappo bullo / prepotente guapo / vappa spagnolo / latino
Intrasatta improvviso intras acta latino
Lacerta lucertola lacerta/ae latino
Lassàre (lassa') lasciare laxare / laisser latino / francese
Luà togliere levare / a lua latino / rumeno
Mariuólo ladro / furfante / truffatore / mariolo (variante letteraria in disuso) mariol (furbacchione) / μαργιόλος (furbo, astuto) / marullero (imbroglione, monello) / marevolum (malvagio) francese / greco bizantino / spagnolo / latino tardo
'Mbonnere bagnare imber o nimbus (entrambi "pioggia, tempesta") latino
Mesàle tovaglia da tavolo μησάλιον (mesálion) / mesa (tavolo) / mensa (tavolo, pasto, altare) greco antico / spagnolo / latino
Mola dente (molare) mola latino
Muccaturo (moccaturo, maccaturo) fazzoletto muccare (col significato di soffiarsi il naso) / mocador / mouchoir latino / catalano / francese
Mustacce baffi μουστάκιον / moustache greco bizantino[27] / francese
Naca culla νάκη greco antico
Nenna bambina / nina (arcaico) ninnus (evolutosi al femminile in ninna, nina e nenna) / nena latino tardo / spagnolo
Ninno bambino / nino (arcaico)[28] ninnus (evolutosi al maschile in ninno, nino e nini) / niño[29] latino tardo / spagnolo
Nìppulo capezzolo nipple inglese
Pàccaro schiaffo πᾶς (pâs) "tutto" e χείρ (chéir) "mano" greco antico
Papéle papéle lentamente oppure chiaramente πάπος (pápos) con raddoppiamento del sintagma (lento lento, sciolto sciolto) greco antico
Papóscia pantofola bābūsh arabo
Pastenaca carota pastinaca latino
Pate padre pater latino
Pazzià giocare / scherzare / pazzia (col significato di disturbo mentale) pactiare / παίζω (paízō) latino / greco antico
Pesóne affitto, pigione pesionem / pension latino volgare / francese
Petàccia straccio da cucina pittacium latino
Petrusino (petrosino) prezzemolo πετροσέλινον (petrosélinon) greco antico
Piglià père prendere fuoco πῦρ (pyr) "fuoco" greco antico
Pressa fretta pressare latino
Purtuallo arancia πορτοκάλι / البرتقالي (burtuqaliu) greco bizantino / arabo
Puteca (poteca) bottega / negozio apotheca / ἀποθήκη (apothéke) / boutique latino / greco antico / francese
Ràggia rabbia rage francese
Rammàggio danno dommage francese
Rastrà trascinare arrastrar spagnolo
Rilòrgio orologio horologium / reloj / rellotge / ὡρολόγιον (horológion) latino / spagnolo / catalano / greco
Sarvietta tovagliolo serviette / servilleta francese / spagnolo
Sciuscià lustrascarpe shoe-shine inglese
Sechenenza cosa di basso valore/ bassa qualità second hand (seconda mano) inglese
Semmàna settimana semana / semaine spagnolo / francese
Sorice topo sorex soricis latino
Socra suocera socrus / sogra / suegra / sogra latino / catalano / spagnolo / portoghese
Sparadrappo cerotto esparadrapo /
sparadrap /
esparadrap
spagnolo / francese /
catalano
Sparagno risparmio sparanjan / épargne (espargne) germanico[30] / francese (antico francese)
Tamarro zotico al-tamar (mercante di datteri) arabo
Tavúto[31] bara ataúd / taüt / تَابُوت (tābūt) spagnolo / catalano / arabo
Tècchete prendi, eccoti te eccu(m) te latino
Tené (Ténere) avere tenere / tener latino / spagnolo
Tèsta vaso (da fiori) testa latino
Tirabbusció cavatappi tire-bouchon francese
Trasì entrare transire (oltrepassare, recarsi) latino
Zéngaro zingaro ἀθίγγανοι (athínganoi) greco bizantino[32]
Zimmaro caprone χιμμάρος (chimmáros) greco antico
Zoccola topo / ratto di fogna sorcŭla latino

Dizionari[modifica | modifica wikitesto]

  • Dizionario storico etimologico del napoletano di Nicola De Blasi[33]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Napoletano-Calabrese, su ethnologue.com. URL consultato il 12 agosto 2014.
  2. ^ Il Codice Aragonese (1458–1460): la distribuzione delle tre lingue napoletana, catalana e latina (PDF), su Universität Göttingen. URL consultato il 24 marzo 2023.
  3. ^ Ove per pugliese si intende tutto ciò che è relativo all'Italia meridionale (o Mezzogiorno peninsulare).
  4. ^ a b Zuccagni-Orlandini.
  5. ^ In tal senso anche Dante: «Sed quamvis terrigene Apuli loquantur obscene communiter, frelingentes eorum quidam polite locuti sunt, vocabula curialiora in suis cantionibus compilantes, ut manifeste apparet eorucm dicta perspicientibus, ut puta Madonna, die vi voglio, et Per fino amore vo sì letamente.». Dante, De vulgari eloquentia, I, XII 8-9.
  6. ^ Enciclopedia Treccani: Storia della lingua italiana, su treccani.it.
  7. ^ Documentazioni saggistiche e di raccolta espositiva dall'Archivio di Stato di Napoli (PDF), su maas.ccr.it.
  8. ^ Esempio di napoletano letterario in uso alla corte di Napoli nella seconda metà del XV secolo, pervenutoci attraverso i saggi di Giovanni Brancati, umanista di corte di Ferdinando I: «Ben so io esserno multe cose in latino dicte quale in vulgaro nostro o vero non se ponno per niente o ver non assai propriamente exprimere, quale son multi de animali quali noi havemo, molti de arbori quali fi’ al presente sono como dal principio foron chiamati; chosì de herbe, de medicine, de infirmitate, de metalle, de pietre et de gioie, essendono o ver per loro rarità o vero per sorte chon li primi lor nomi ad noi pervenute.[…]». In quest'epoca, il napoletano letterario in uso alla cancelleria di corte, si presenta epurato di alcuni dei tratti più marcatamente locali, alleggeriti con l'ingresso di elementi assunti dalla tradizione letteraria toscana, considerata più prestigiosa.
    Emanuele Giordano, La politica culturale e linguistica del Regno di Napoli nel Quattrocento (PDF), su rivistamathera.it, Associazione Culturale ANTROS, 2018, pp. 69-70.
  9. ^ Università Statale di Milano, Massimo Prada: Profilo di storia linguistica italiana II. Unificazione, norma ed espansione dell'Italiano. (PDF), su italiansky.narod.ru.
  10. ^ Documentazioni linguistiche da: Storia della città e regno di Napoli, su books.google.it.
  11. ^ Università degli Studi di Milano, Paolo Trovato: Storia della lingua italiana. Il primo Cinquecento., su docsity.com.
  12. ^ Giambattista Basile, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 7, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970. URL consultato l'8 settembre 2018.
  13. ^ Enciclopedia Treccani: Giulio Cesare Cortese, biografia ed operato, su treccani.it.
  14. ^ Encyclopædia Britannica: Lo cunto de li cunti, 50 zestful tales written in Neapolitan, was one of the earliest such collections based on folktales and served as an important source both for the later fairy-tale writers Charles Perrault in France in the 17th century and the brothers Grimm in Germany in the 19th century, and for the Italian commedia dell’arte dramatist Carlo Gozzi in the 18th century, su britannica.com.
  15. ^ a b Carlo Fedele: Sostrati napoletani e influenze sul dialetto attuale, su linkabile.it.
  16. ^ Pietro Giannone: Storia civile del Regno di Napoli, su books.google.it.
  17. ^ Paolo Trovato, Università degli Studi di Milano: Storia della lingua italiana. Il primo Cinquecento, su docsity.com.
  18. ^ Giovanni Antonio Summonte: Storia della città e del Regno di Napoli, su books.google.it.
  19. ^ Andrea Calabrese: Il vocalismo del dialetto napoletano. La neutralizzazione e la metafonesi (PDF), su huszthy.files.wordpress.com.
  20. ^ Ernesto Monaci: Il Placito di Capua e l'Iscrizione di San Clemente - Versione aggiornata (aprile 2019), su academia.edu.
  21. ^ *Spinèlli, Matteo, detto anche Matteo da Giovinazzo, Enciclopedia biografica universale, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani
  22. ^ Enciclopedia Treccani: Storia della lingua italiana., su treccani.it.
  23. ^ Vincenzo Palmisciano, Corrigenda per la biografia di Giulio Cesare Cortese, in Studi secenteschi, vol. LX (2019), pp. 189-199.
  24. ^ Salvatore Argenziano: Letteratura Napoletana. Giulio Cesare Cortese. La Vaiasseide, su academia.edu.
  25. ^ La prosa narrativa: Giambattista Basile (PDF), su online.scuola.zanichelli.it.
  26. ^ DIZIONARIO NAPULITANO / Parole e detti della settimana: Da Arrassusia a Sfruculià (dedicato a chi non sa stare al posto suo), in Identità Insorgenti. URL consultato il 17 novembre 2016.
  27. ^ Ricerca | Garzanti Linguistica
  28. ^ Vocabolario Treccani: nino (o nini) sing. mas. (forma arcaica) [voce del linguaggio infantile, formata sul suffisso dim. -ino]. – Vezzeggiativo familiare, con il quale s’indica un bambino, o ci si rivolge a lui: il mio nini; nino, sta fermo; vien qua, nina., su treccani.it.
  29. ^ Centro virtual Cervantes: Definición DRAE. Niño viene del latín ninnus evolucionado en ninno y presente también en Italia, su cvc.cervantes.es.
  30. ^ Ricerca | Garzanti Linguistica
  31. ^ Centro di studi filologici e linguistici siciliani, De Blasi-Montuori (PDF), in Giovani Ruffino (a cura di), Bollettino, Palermo, 2012, pp. 166-172.
  32. ^ Ricerca | Garzanti Linguistica
  33. ^ Il Dizionario etimologico storico napoletano, in treccani.it. URL consultato il 17 gennaio 2017.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Dante Alighieri, De vulgari eloquentia.
  • Valeria Bertolucci Pizzorusso, La supplica di Guiraut Riquier e la risposta di Alfonso X di Castiglia in Studi mediolatini e volgari, vol. XIV, 1966, pp. 11-132.
  • P. Bronzini, La poesia popolare, Edizioni dell'Ateneo, Roma 1956.
  • De Bartholomaeis (a cura di), Rime giullaresche e popolari d'Italia, Zanichelli, Bologna 1926, pp. 12-20.
  • Achille della Ragione, Il napoletano è una lingua non un dialetto, in Napoletanità: arte, miti e riti a Napoli, pp. 132-136, 1º tomo, Napoli 2012.
  • Renato De Falco, Alfabeto napoletano, Colonnese Editore, Napoli 2002.
  • F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana.
  • Aurelio Fierro, Grammatica della lingua napoletana, Prefazione di Antonio Ghirelli, Milano, Rusconi, 1989.
  • G. Gabero, G. Ranzini (a cura di), Fiabe della tradizione italiana, Arnoldo Mondadori. ISBN 88-247-0148-5.
  • Adam Ledgeway, Grammatica diacronica del napoletano, Vol. 350 di Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, Max Niemeyer Verlag, 2009 ISBN 978-3-484-97128-8.
  • Michele Loporcaro, Profilo linguistico dei dialetti italiani, nuova edizione, Roma-Bari, Editori Laterza, 2009, ISBN 978-88-593-0006-9.
  • P. Maturi, Napoli e la Campania,Bologna: il Mulino, 2022 ISBN 9788815298874
  • G. B. Pellegrini, La carta dei dialetti d'Italia, Pisa: Pacini editore, 1977.
  • Rabanus Maurus (arcivescovo di Magonza), De Universo: Codex Casinensis, Archivio dell'Abbazia di Montecassino, pp. 1, 321, 457, 520, 629.
  • (EN) M. Paul Lewis, Gary F. Simons e Charles D. Fennig (a cura di). Ethnologue: Languages of the World, SIL International, Dallas 2016.
  • Giovanni Vitale, Dialetto napoletano. Manuale di scrittura e di dizione, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009.
  • Attilio Zuccagni-Orlandini, Raccolta di dialetti italiani con illustrazioni etnologiche, Tipografia Tofani, 1864.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]