Editto di Saint Cloud

La cosiddetta Legge di Saint Cloud (in francese: Décret Impérial sur les Sépultures), emanato da Napoleone a Saint-Cloud il 12 giugno 1804, raccolse organicamente in due corpi legislativi tutte le precedenti e frammentarie norme sui cimiteri in Francia e nei paesi dell'orbita napoleonica, tra cui l'Italia.

La legge stabilì che le tombe venissero poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali. Si volevano così evitare discriminazioni tra i morti. Per i defunti illustri, invece, c'era una commissione di magistrati a decidere se far scolpire sulla tomba un epitaffio. Questo editto aveva quindi due motivazioni alla base: una igienico-sanitaria e l'altra ideologico-politica. La gestione dei cimiteri esistenti veniva ovunque definitivamente assegnata alla pubblica amministrazione in tutti i luoghi dove fu esteso, e non più alla Chiesa. Fu inoltre vietata, salvo eccezioni, la sepoltura in luoghi cittadini e all'interno delle chiese.

Fu esteso al Regno d'Italia dall'editto Della Polizia Medica, promulgato sempre da Saint-Cloud, il 5 settembre 1806,[1] scatenando un intenso e «complesso dibattito pubblico che già a partire dal periodo stesso della Rivoluzione, ne condannava gli eccessi, soprattutto per quanto concerne le fosse comuni, auspicando un almeno parziale recupero della religion des tombeaux»[1]. Questo anche se l'editto non introduceva la fossa comune d'uso in epoca rivoluzionaria per la massa e precedentemente per i poveri o gli scomunicati, ma solo l'uguaglianza delle sepolture.

Se le motivazioni igieniche, di carattere pratico, e quelle di uguaglianza tra ricchi e poveri, frutto di una nuova sensibilità, venivano genericamente accettate, in vari intellettuali come Pindemonte e Foscolo si denigra il fatto che persone illustri rischino di non venir ricordate e giacciano accanto ai malfattori in sepolture anonime o poco visibili, e che il culto dei morti sia abbandonato.[2] D'altronde lo stesso Foscolo depreca la sepoltura ordinaria nelle chiese come residuato medievale anti-igienico, in questo caso in accordo con l'editto.[3]

Foscolo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Dei sepolcri.

Ugo Foscolo, come molti altri scrittori dell'epoca, si scagliò contro questo editto con il carme Dei Sepolcri, dopo aver cambiato la sua iniziale idea meccanicistico-materialista (che quindi giustificava il provvedimento) dietro discussione con Ippolito Pindemonte, già impegnato nella composizione dei Cimiteri sullo stesso argomento e contrario all'editto napoleonico.[4]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b cfr. U. Foscolo, Poesie e tragedie; edizione diretta da Franco Gavazzeni, con la collaborazione di Maria Maddalena Lombardi e Franco Longoni, Torino, Einaudi-Gallimard, 1994, p. 4463
  2. ^ "Vergine forse, a cui beltà fioriva / Pura e celeste per le membra intatte / Nella faccia ancor lubrica e lasciva / Della più infame Taide s'abbatte. / Colui, che una volgar madre nutriva / Di stoltezza e viltà più che di latte, / Dorme appo il saggio illustre o il vate santo / Che mercenario mai non sciolse il canto." (I. Pindemonte, I cimiteri); "Forse tu fra plebei tumuli guardi / Vagolando, ove dorma il sacro capo / Del tuo Parini? A lui non ombre pose / Tra le sue mura la città, lasciva / D’evirati cantori allettatrice, / Non pietra, non parola; e forse l’ossa / Col mozzo capo gl’insanguina il ladro / Che lasciò sul patibolo i delitti." (U. Foscolo, Dei sepolcri)
  3. ^ "Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi / Fean pavimento; nè agl’incensi avvolto / De’ cadaveri il lezzo i supplicanti / Contaminò..." (U. Foscolo, op. cit.
  4. ^ .(“Pur nuova legge impone oggi i sepolcri / fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti / contende”. Dei Sepolcri, vv. 51-53). Foscolo dedica il suo carme Dei Sepolcri "A Ippolito Pindemonte", come scrive all'apertura dell'opera.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • U. Foscolo, Poesie e tragedie; edizione diretta da Franco Gavazzeni, con la collaborazione di Maria Maddalena Lombardi e Franco Longoni, Torino, Einaudi-Gallimard, 1994

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  • (FR) Il testo del decreto, su histoire-empire.org. URL consultato l'8 ottobre 2012 (archiviato dall'url originale il 19 gennaio 2014).