Emanuele Tesauro

Charles Dauphin, Ritratto di Emanuele Tesauro, olio su tela, 1670 circa, Torino, Musei Reali, Galleria Sabauda.

Emanuele Tesauro (Torino, 3 gennaio 1592Torino, 26 febbraio 1675) è stato un drammaturgo, retore, storico e letterato italiano, autore del celebre trattato Il cannocchiale aristotelico, considerato «una pietra miliare sul cammino della storia dell'estetica»[1]. In esso il Tesauro, muovendo dal terzo libro della Retorica aristotelica, studiò la natura propria dell'arguzia e le figure del linguaggio, offrendo una trattazione sistematica del concettismo profonda e coerente, superiore a quella, pur celebrata, di Baltasar Gracián, che egli certamente conobbe. Essa contiene già come un abbozzo o presentimento di quello che doveva poi essere l'estetica moderna.[2] Scrisse in prosa, oltre a una Filosofia morale (Torino 1670) tipicamente secentesca, che fu più volte ristampata e tradotta in varie lingue[3], opere di storia come i Campeggiamenti, o vero Istoria del Piemonte (1ª ed. completa, Torino 1674, sulle guerre del Piemonte contro gli Spagnoli), Del regno d'Italia sotto i Barbari (ivi 1663), e una Historia della città di Torino (ivi 1679, continuata da Francesco Maria Ferrero, ivi 1712), e fu autore di poesie e tragedie.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Il periodo gesuitico[modifica | modifica wikitesto]

Marc'Antonio Dal Re, Il Collegio di Brera dei padri Gesuiti, 1745 circa

Discendente dall'illustre famiglia piemontese dei conti di Salmour, nacque a Torino il 3 gennaio 1592 dal conte Alessandro Tesauro, poeta e architetto, autore dell'elegante poema didascalico La Sereide (1585)[4][5] e da Margherita Mulazzi, nobildonna astigiana. Ultimo di sette fratelli, Emanuele fu affidato in particolare alle cure del secondogenito Lodovico, lettore di diritto all'Università e amico di Giovan Battista Marino.[6]. Allievo del collegio dei gesuiti a Torino (1605-1611), entrò ventenne nella Compagnia di Gesù. Dopo il biennio di probazione, Tesauro fu ammesso ai voti semplici, e inviato nel Collegio di Brera a Milano per proseguire gli studi di retorica e filosofia (1613-1615). Fu Magister rhetoricae a Cremona nell'anno scolastico 1618-19 e i due anni successivi (1619-20 e 1620-21) nel Collegio milanese, dove insegnavano «i migliori maestri».[7] «Per i suoi allievi scrive, tra il 1619 e il 1621, secondo i moduli tipici del teatro gesuitico, la tragedia cristiana Hermenegildus, in versi latini, rappresentata nel Collegio di Brera il 26 agosto 1621, ampiamente mutata e «trasposta» in italiano molti anni più tardi, e stampata nel 1661 con il titolo Ermenegildo insieme all'Edipo e all'Ippolito[8] Il 7 giugno 1621 Tesauro predispose il maestoso apparato funebre per le esequie solenni in onore del re Filippo III di Spagna, morto il 31 marzo di quell'anno.[7][9]

Al servizio di Tommaso di Savoia[modifica | modifica wikitesto]

Antoon van Dyck, Ritratto del principe Tommaso Francesco di Savoia Carignano

Nel giugno del 1635, all'età di 44 anni, uscì dalla Compagnia di Gesù per dissensi disciplinari, rimanendo sacerdote secolare al servizio dei principi di Savoia-Carignano. L'esperienza religiosa gli fornì una solida cultura umanistico-filosofica e gli consentì inoltre di esprimersi come oratore e come insegnante.[10] Al periodo gesuitico risalgono i Panegirici sacri (1633), tra i quali spicca il discorso accademico Il giudicio, breve ma importante trattato sugli stili dell'oratoria sacra, riproposto all'attenzione degli studiosi da Ezio Raimondi nella storica antologia ricciardiana dei Trattatisti e narratori del Seicento (1960).[11] Con La metafisica del niente[12] Tesauro partecipò alla «querelle de nihilo» scatenata dal discorso accademico Il niente pronunciato da Luigi Manzini presso l'Accademia degli Incogniti l'8 maggio 1634.[13] Dopo aver lasciato la Compagnia Tesauro fu al seguito del principe Tommaso Francesco di Savoia prima nelle Fiandre e poi in Piemonte (1635-42), e ne divenne lo storiografo ufficiale.[14] Durante il soggiorno nelle Fiandre fu apprezzato predicatore a Bruxelles, alla corte del principe Tommaso (i Panegirici contengono L'Aurora, panegirico sacro sopra il giorno natale della beatissima Vergine detto nella cappella regale di Brusselles al regio infante cardinale ed al serenissimo principe Tomaso di Savoia l'anno 1635).[15]

Nel periodo intercorrente tra le campagne di Fiandra e la Guerra civile piemontese (1635-1642), Tesauro svolse delicate missioni diplomatiche per il principe Tommaso di Carignano. Quando morì il duca Vittorio Amedeo I [7-8 ottobre 1637] fu inviato dal principe al cardinale Maurizio, che da Roma si era affrettato a risalire in Piemonte e sostava a Genova. Quasi certamente in questa occasione il Tesauro conobbe Agostino Mascardi, da Sarzana, già membro dell'Accademia romana dei Desiosi ed autore di un famoso Trattato dell'arte historica.[16]

Il ritorno in patria e la consacrazione definitiva[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1642 rientrò in patria come precettore dei principi di Carignano[14] e del futuro duca Vittorio Amedeo II di Savoia e coordinò il monumentale progetto del Theatrum Statuum Sabaudiae (Amstelodami 1682).[17] Guadagnatosi una fama europea, operò alla corte sabauda per oltre tre decenni (da Carlo Emanuele I a Carlo Emanuele II, che lo colmò di onori e lo nominò Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro). Tesauro svolse in questi anni un'attività intensa, componendo epigrafi, elogi, insegne, orazioni, panegirici per i membri della Casa reale e per le personalità più importanti.[18] Fu anche iconologo e autore dell'intero programma decorativo della Venaria Reale, palazzo di caccia costruito dall'architetto Amedeo di Castellamonte per Carlo Emanuele II.[19] Le principali testimonianze di questa attività svolta da Tesauro presso la corte sabauda si trovano raccolte nel libro delle Inscriptiones (Inscriptiones quotquot reperiri potuerunt opera et diligentia Emanuelis Philiberti Panealbi, Taurini, Typis Bartolomaei Zapatae, 1670).[20] «Con gli anni Sessanta, al riconoscimento, sia da parte della corte, sia del municipio, del ruolo di regista e concertatore delle grandi celebrazioni pubbliche, fino al matrimonio ducale del 1663 e ai festeggiamenti per la nascita del principe di Piemonte tre anni dopo, vennero ad aggiungersi le sempre più frequenti attestazioni di stima e di ossequio ufficialmente decretate dai decurioni; e la decisione di collocare nel Palazzo municipale un ritratto dell'abate «con qualche inscrittione in memoria de' posteri di sua persona» rappresentò una novità degna di rilievo per una città non avvezza a tributare simili onori a personaggi estranei alla dinastia.»[21] Nel 1666 la Municipalità di Torino approvò il progetto di un'edizione di tutte le sue opere e conferì al Tesauro il compito di scrivere una storia della città, alla quale egli attese però solo parzialmente. Tra il 1669 e il 1674 cominciarono così ad apparire, per l'editore Zavatta, i sontuosi volumi dell'opera omnia, tra cui bisogna soprattutto ricordare la ristampa, finalmente sotto il controllo dell'autore, del Cannocchiale aristotelico.[22] Domenico Piola realizzò il disegno dei frontespizi incisi da Georges Tasnière e da Antoine De Pienne.[23]

Tesauro morì improvvisamente a Torino nel febbraio 1675, più che ottuagenario.[24]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Il cannocchiale aristotelico[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Il cannocchiale aristotelico.
Frontespizio dell'edizione del 1670 del Cannocchiale aristotelico

«L'arte dello scrivere è così antica, così nobile e maravigliosa, ch'io non ne veggo altro inventore che Iddio.»

Emanuele Tesauro deve la fama di massimo teorico barocco al Cannocchiale aristotelico, trattato fondamentale sullo stile e sulla concezione retorica, emblematica ed allegorica del XVII secolo.[25] Grazie alla sistemazione teorica compiuta da Tesauro, il Barocco cessò di essere una moda per proporsi come espressione della mentalità del tempo. «Autorevoli studiosi hanno dimostrato, da Ezio Raimondi a Franco Croce, dal Praz all'Anceschi, dal Vasoli al Costanzo, al Buck, che ci troviamo di fronte alla più ampia e organica opera sull'estetica del barocco - segnatamente sotto il profilo della lingua e dello stile - non solo italiano ma europeo.»[26] Il Tesauro è stato studiato, in una prospettiva di poetiche europee da H. Hatzfeld, Three national deformations of Aristotle: Tesauro, Gracián, Boileau, in «Studi Secenteschi», 2, 1961, pp. 3-21.

Come il modello geocentrico esce distrutto dalla sperimentazione che Galileo Galilei conduce con il suo cannocchiale, così i principi fondamentali del fare artistico sono modificati dall'opera di Tesauro, che alla rivoluzione galileiana rimanda fin dal titolo.[27] Nel trattato, l'attenzione è rivolta soprattutto alla metafora che per Tesauro è la figura retorica per eccellenza, in quanto riesce a collegare fenomeni lontani attraverso l'analogia che le sta alla base.[28]

Tesauro distingue tre ordini di figure retoriche: armoniche, patetiche e ingegnose, corrispondenti alle funzioni dell'anima, cioè senso, affetto e intelletto. La disposizione dei tre generi di figure è in ordine gerarchico: le figure ingegnose infatti sono le più lodate come «nobilissimo fiore dell'intelletto che non più nell'armonico suono e nelle patetiche figure ma nella significazione ingegnosa ripon la gloria dell'arte» (Cannocchiale, p. 145). Definita da Tesauro il “più alto colmo delle Figure Ingegnose”, la metafora è vista come argomentazione arguta ed ingegnosa da cui scaturiscono piacere e meraviglia. La rottura della convenzione che regola i rapporti tra significanti e significati ad opera dell'invenzione metaforica apre la strada al rinnovamento e all'arricchimento della potenzialità significativa dei singoli termini. «Tesauro elabora una teoria della Metafora come principio universale della coscienza sia umana sia divina. Alla sua base c'è l'Acutezza, il pensiero fondato sull'accostamento di ciò che è dissimile, sull'unificazione dell'inunificabile. La coscienza metaforica è eguagliata a quella creativa, e perfino l'atto della creazione divina appare a Tesauro come una sorta di Acutezza suprema che crea il mondo mediante metafore, analogie e concetti. Tesauro obietta contro chi nelle figure retoriche vede degli ornamenti: tali figure sono per lui il fondamento del meccanismo del pensiero, di quella Genialità suprema che anima l'uomo e l'universo»[29]

Tesauro è considerato, insieme allo spagnolo Baltasar Gracián (1601-1658), il «maggior rappresentante che ebbe mai la critica letteraria secentistica».[30][31] Pubblicato nel 1654 (Torino: Sinibaldo), il Cannocchiale aristotelico ebbe un enorme successo in Italia e in Europa per tutto il secolo. Ripubblicato da Tesauro in una seconda edizione ampliata (Venezia: Baglioni, 1665), fu riedito quattordici volte prima del 1702[32], e ne fu realizzata una traduzione latina, opera di Caspar Cörber (1658-1700), pubblicata nel 1698 e riedita nel 1714.[30][33][34] La pubblicazione della traduzione latina assicurò al Cannocchiale aristotelico un'ampia circolazione, come testimoniano i numerosi esemplari presenti nelle biblioteche di tutta Europa.[35] La fama del Tesauro era del resto già ben consolidata se un gesuita tedesco, Jakob Masen, nella sua Ars nova argutiarum, Colonia 1660, dedicata all'epigramma e alle iscrizioni argute, lo proponeva a modello, come «non inepte versatus» (p. 1). Più tardi, nel giugno del 1698, sugli Acta eruditorum di Lipsia, «la più autorevole fra le pubblicazioni scientifiche in lingua latina», tra Sei e Settecento, «il dotto relatore», annunciando la traduzione latina del Cannocchiale aristotelico, così scriveva: «Emanuel Thesaurus, non magis stemmatum gloria et comitis dignitate ac insignibus, quam eleganti eruditione illustris, eam sibi famam Inscriptionibus suis comparavit, ut unicus quasi, praestantissimus certe artifex in arguto hoc scribendi genere suspiciatur, ad cuius opera velut ad Polycleti regulam scripta sua exigere solent, qui in concinnandis huiusmodi ingenii foetibus elaborant»[36][37] Negli ultimi decenni sempre più studi sono stati dedicati al Cannocchiale aristotelico, in cui si è giustamente vista una delle introduzioni più complete agli aspetti formali della cultura barocca.[38][39] Il trattato inedito di Tesauro Idea delle perfette imprese, il nucleo del Cannocchiale aristotelico, è stato pubblicato nel 1975 da Maria Luisa Doglio[40] e tradotto in francese da Florence Vuilleumier.[41]

Nell'attesa dell'edizione critica, un'elegante ristampa anastatica del Cannocchiale aristotelico è stata pubblicata nel 1968 a cura di August Buck, docente di filologia romanza all'Università di Marburgo; in quell'occasione lo studioso, oltre a un'introduzione su Emanuel Tesauro und die Theorie des Literaturbarock, si era limitato a intervenire sulle note collocate dall'autore nei marginalia, correggendo gli errori di palese evidenza. Nel 2000 è apparsa una pregevole ristampa del Cannocchiale aristotelico nell'edizione Zavatta, Torino 1670, con scritti introduttivi di Maria Luisa Doglio, Marziano Guglielminetti ed altri, e con un utile indice delle fonti classiche a cura di Dionigi Vottero.[42]

Opere storiche e politiche[modifica | modifica wikitesto]

Frontespizio dell'Historia dell’Augustissima Città di Torino, Torino, Bartolomeo Zappata, 1679

«Filologia e antiquaria in profusa dovizia fanno ritessere l’ordito della Historia dell’Augustissima Città di Torino, commessa al Tesauro dalla municipalità cittadina, sgrossata in otto libri fino all'anno Mille, interrotta, poi rimaneggiata e pubblicata postuma dal segretario Giroldi, ultimata da Francesco Ferrero di Lavriano nel 1712 nel fulgore del Regno di Vittorio Amedeo II[43] La storia iniziata da Tesauro esprimeva un forte sentimento di orgoglio civico; era in parte un panegirico, ma prevalentemente era una cronaca. Narrava il mito patriottico della fondazione di Torino, molti secoli prima di Roma, da parte del principe egiziano Eridano, e la sua rifondazione a opera di Cesare e di Augusto, per poi lanciarsi in un resoconto erudito dei trionfi della città e delle sue vicissitudini da quell'epoca in poi.[44]

In ambito storiografico Tesauro non si limitò alla storia del Piemonte, ma, riallacciandosi direttamente a Giordane, fu tra i primi a interessarsi della storia medievale dei popoli del Nord Europa, superando la stagione rinascimentale incentrata soprattutto sulle antichità greche e romane. Tesauro può essere a buon diritto considerato un «antesignano degli studi altomedievali, con la lussuosa edizione in folio, con rami a piena pagina, Del regno d'Italia sotto i barbari (1644), che precedeva di una decina di anni l'Historia Gothorum, Vandalorum et Langobardorum (1655) di Grozio[45] Adorno di un'antiporta allegorica, su disegno di Jan Miel inciso da Jean-Jacques Thourneysen, e di cinquantotto ritratti di sovrani su disegno dei due più accreditati pittori di corte, lo stesso Miel e Charles Dauphin[46], il volume è corredato di 782 "annotationi" opera di Valeriano Castiglione «volte all'ampliamento esplicativo del testo e ad irrobustirlo con citazioni e rinvii bibliografici e d'un certo interesse laddove, quasi a gara con le espressioni del Tesauro, il Castiglione parla di Arduino come di "voce" che "scoté il sonno d'Italia", la cui morte segnò la fine della "libertà" "gloria" e "pace" della penisola, oppure insiste sulla funzione pacificante ed unificante della "casa regale" di Savoia).»[47][48]

Il primo marchese di Ivrea Bernardo Ansprando in un'illustrazione tratta dall'opera di Tesauro Del Regno d'Italia sotto i barbari (Torino, 1664)

Nel Tesauro «barbari» ha valore solo generico; egli ci squaderna infatti una galleria di re, senza alcun riferimento culturale e civile, caratterizzati in modo letterario-drammatico tipicamente barocco: Alboino, Clefi, Autari, Agilulfo, Rotari, Liutprando, ecc., spiccano quali grandi personaggi, nel bene e nel male, superando il tradizionale concetto di barbarie. E così il giudizio finale sul regno longobardo: «Regno non men famoso per le malvagie attioni che per le buone: barbaro nel conquistare, et benigno nel conservare: autor delle leggi e distruggitore: insegnator della pietà, et della ferinità: pernicioso ugualmente, et profittevole alla Chiesa; alla quale molto rapì et molto donò; molto scemò di religione, et molto ne accrebbe . . .» (p. 219). In una più ampia prospettiva, provvidenzialistica, sotto l'Impero romano si iniziò la distruzione del paganesimo: sotto i Goti, benché ariani, quest'opera è portata a termine «hauendo intanto Iddio proveduto, che nel seguente Regno de' Longobardi, come più humano, ancor l'Arriana pestilenza fosse purgata» (p. 25).[49][50]

Tra le opere storiche di Tesauro rivestono una particolare importanza, inoltre, una piccola serie di cronache (Sant'Omero assediato dai Francesi e liberato, Campeggiamenti del Piemonte, Campeggiamenti di Fiandre), che narrano le vicende militari della storia recente del Ducato di Savoia. Queste opere nascono dalla viva esperienza del campo di guerra, ma anche dalla persuasione che non ci si può «fidare di penne forestiere che misurano i premi e non la verità, e spesse volte prendono il premio con la manca e scrivono con la diritta a modo loro» (lettera a Giambattista Bruschetti, 9 febbraio 1642). Dettagliati giornali di guerra stesi a caldo, sono una fonte preziosa per la ricostruzione della storia del '600, sebbene vibranti di partigianeria per il protettore di Tesauro, il principe Tommaso di Savoia.

Interessante, infine, l'Istoria della Compagnia di San Paolo, pubblicata a Torino nel 1657, in cui Tesauro traccia la storia della Compagnia fondata il 25 gennaio 1563 ad opera di «sette zelantissimi cittadini» per rispondere all'infiltrazione del protestantesimo in Piemonte dalla Ginevra calvinista. Tesauro passa in rassegna la diffusione della Riforma a partire dalla Germania di Lutero («da quella sola scuola d’iniquità sfarfallò una monstruosa moltitudine di eresiarchi») per estendersi a macchia d'olio in Slesia, Svizzera, Boemia, Inghilterra, e Francia, restringendo via via il campo fino a giungere a Torino, «propugnacolo - minacciato - della catolica fede». Tesauro non risparmia epiteti crudi e ingiuriosi contro i principali leader della riforma, da Calvino, «il più diabolico e monstruoso parto di tutti gli antipassati», a Zwingli[51] e Farel, definito, con particolare forza espressiva, «sacerdote sacrilego e predicator perverso». Molto vicino appare il modello della Sferza di Giovan Battista Marino.[52]

Particolarmente feroce la messa in ridicolo dello «pseudo papato» di Teodoro di Beza, per descrivere il quale Tesauro ricorre alla celebre Vita Caluini di Jean Papire Masson:

«A lui dunque [...] – a Calvino, cioè – succedé nella suprema potestà Teodoro Beza, d’ingegno non men guasto, ma di genio più assai piacevole, essendo un buon brigante, amador della taverna più che della lor cena, acclino al dolce riposo, alle crapule, alle facezie, a’ motti ridicoli; onde i Ginevrini (come conta il Massone) solean dire che più volentieri sarìan dimorati con Beza fra’ dannati che con Calvino in paradiso, però che costui con la sua tetricità arebbe loro malinconizzata la beatitudine e Beza con le buffonerie gli arìa tenuti allegri anco in inferno.»

Tesauro fu anche scrittore politico di sentenze: nel libello pubblicato anonimo nel 1646 La politica di Esopo Frigio raccolse, traducendoli in modo personale e originalissimo da Les fables d'Esope phrygien del francese Jean Baudoin (1631), alcuni aforismi politici di commento a una serie di favole. Questo libretto, dedicato al principe Giuseppe Emanuele di Savoia contiene 118 brevi favole di Esopo, riadattate dall'autore. Le favolette introducono il lettore in un mondo, quello della società degli animali, ovattato e apparentemente idilliaco. In realtà, sotto la patina aggraziata e rassicurante, operano le stesse leggi del profitto e dell'interesse che regolano, nel bene e nel male, la vita degli uomini. Ogni apologo termina con un aforisma politico. Nel caso della Cicogna e dell'orciuolo, ad esempio, si racconta che una cicogna, avendo sete, trovò, per caso, un orciuolo con un po' d'acqua. Non riuscendo a raggiungerla con il becco gettò dentro al vaso sabbia e sassolini; in tal modo il livello dell'acqua salì e la cicogna poté, finalmente, bere. Allegoria: «Non potendosi ottenere a forza una piazza, porgendo denari facilmente si ottiene».

Opere latine e drammi[modifica | modifica wikitesto]

Pelike attica a figure rosse, Edipo risolve l'enigma della Sfinge e libera Tebe, opera del pittore Achilleo, 450-440 a.C., Berlino, Altes Museum

In giovinezza Tesauro mise insieme una raccolta di epigrammi latini, più volte ristampati, con alcune odi di sapore oraziano.[53] Gli è attribuita una tragedia musicale, cioè una specie di melodramma, l'Alcesti o sia l'amor sincero, stampata adespota a Torino nel 1665 e rappresentata in occasione delle seconde nozze di Carlo Emanuele II con Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours[54] La tragicommedia a lieto fine è costruita da Tesauro sulle orme della mistione tragicomica sperimentata da Battista Guarini, che proprio per le nozze di Carlo Emanuele I di Savoia e di Caterina Michela d'Asburgo aveva composto Il pastor fido.[55] «L'invenzione linguistica, l'abile impasto di calchi petrarcheschi e lacerti dei classici, il metro poetico (endecasillabi e settenari a schema fisso di rime, con inserti di quaternari, quinari, senari, ottonari per l'avvenuta acquisizione, dal Chiabrera in poi, di un'idea accentuativa e dinamica del ritmo musicale del verso), il ricorso massiccio al dialogo, l'uso frequentissimo di esclamazioni, interrogazioni, lamenti, sentenze, la «mutazione di affetti», la mistione di toni contrastanti e di figure retoriche diverse, la chiarezza e la semplicità del linguaggio, la ricerca di un ritmo facile e piano, di un immediato carattere melodico fanno dell'Alcesti del Tesauro un esperimento di indubbia attrattiva e forse la prova più alta del suo teatro.»[56]

Al teatro Tesauro diede anche tre tragedie vere e proprie: l'Hippolito, l'Edipo e l'Ermenegildo (pubblicate insieme a Torino nel 1661 ma rielaborate in un lunghissimo arco di tempo, con un «quotidiano ritorno» a Sofocle, a Euripide, a Seneca).

«Lungi dall'essere un'attività di contorno, il teatro di Tesauro colpisce il suo lettore per la fitta rete di rimandi alla riflessione teorica, di cui i drammi si rivelano intessuti.»[57]

L'Ermenegildo, che non si attiene strettamente alle regole aristoteliche, è da annoverarsi fra le migliori opere drammatiche del Seicento. La vicenda del principe visigoto, affrontata due volte da Tesauro a quarant'anni di distanza, era in gran voga nel Seicento grazie all'iniziativa di Filippo II di Spagna, desideroso di contrapporre un re santo spagnolo all'omologo San Luigi venerato dai francesi.

Nell'Ermenegildo di Tesauro la trama si sviluppa intorno al conflitto per l'eredità del regno, con un padre imbelle e due aspiranti, Ermenegildo e Recaredo, rappresentanti rispettivamente bene e male, che si combattono strenuamente. «Per Tesauro è fondamentale il tessuto verbale, le metafore, le arguzie e i concetti, in un teatro di musica e parole che oscura la trama edificante e terribile della lotta tra padre e figlio.»[58] Fedele all'intento di suscitare nel lettore meraviglia e stupore, Tesauro utilizza uno stile intriso di concetti raffinati, antitesi e strutture parallele.[59]

Nell'Edipo, edito due anni dopo l'Œdipe di Pierre Corneille, Tesauro parte dallo spunto offertogli dall’Edipo senecano per esplorare la questione del destino, del libero arbitrio e della responsabilità personale. Molto spazio è dato a Tiresia. Trasformato in sacerdote, in netto contrasto con i suoi antecedenti, in particolare quello senecano, Tiresia è in grado di riconoscere tutti i segni "celesti", abilità che contrasta con il costante fallimento del tentativo di Edipo di interpretarli razionalmente. Il Tiresia di Tesauro è di conseguenza persuaso della responsabilità di Edipo, cosicché, mentre Sofocle propende per l’innocenza di Edipo, Tesauro, adottando la prospettiva di Tiresia, propende decisamente per la sua colpevolezza.[60] «L'Edipo del Tesauro, per la sapienza della costruzione, l'ardita capacità di legare i temi dell'inconscio individuale con le ragioni politiche dello stato, le anfibologie del testo sofocleo e senechiano a un secentesco gusto del concettismo e dell'argutezza, rimane una delle prove più alte del nostro teatro, certamente più suggestivo, ricco, affascinante di quello di Corneille e forse anche del pur pungente Edipo di Voltaire[61]

«L'Ippolito del Tesauro ha attirato l'ammirata attenzione di André Stegmann, che ha colto tutta una serie di consonanze, disseminate a vari livelli testuali, tra esso e la Phèdre di Racine[62], tanto da concludere, malgrado l'assenza di prove certe, che «Racine l'a probablement connu»[63][64] Va, infine, ricordato il dramma in prosa italiana Il libero arbitrio, steso con ogni probabilità nel triennio 1618-1621 e rimasto inedito al suo tempo.[65] È possibile che con quest'opera Tesauro intendesse contrapporsi all'omonima tragedia dell'ex benedettino bassanese convertito al protestantesimo Francesco Negri (1546).

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Edizioni[modifica | modifica wikitesto]

Traduzioni francesi[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Wladyslaw Tatarkiewicz, History of Aesthetics, III, Warszawa 1970, pp. 488-491, (491 la citazione).
  2. ^ Umberto Renda e Piero Operti, Dizionario storico della letteratura italiana, 3ª ed., Torino, Paravia, 1952, pp. 1145-1146.
    «Il Cannocchiale aristotelico è sicuramente la trattazione più completa, anzi più minuziosa e largamente esemplificata di quel canone d'arte che fu il concettismo..., vi s'intravede l'aspirazione alla conquista dell'estetica moderna, che è l'autonomia della creazione artistica»
  3. ^ Denise Aricò (1982), p. 64.
    «Se la fortuna di un'opera si può misurare, oltre che dalle ristampe, anche dalle traduzioni che ne vennero fatte, si deve supporre che la Filosofia morale incontrò un consenso superiore persino a quello del Cannocchiale. Oltre a una traduzione francese approntata da P. Thomas Croset col titolo Introduction aux vertus morales et héroiques, edita a Bruxelles nel 1712, e ad una latina, adespota, edita a Wurzburg, Francoforte e Lipsia nel 1731, ne fu fatta, anni dopo, una in lingua russa per l'educazione del futuro zar Paolo I. Sono testimonianze preziose che in pieno XVIII secolo l'opera del Tesauro non solo era un classico adottato nei collegi della Compagnia per un'educazione globale e mondana dei convittori, ma era anche un prontuario di "prudenza" politica per futuri regnanti. Particolare importanza […] assume, peraltro, la traduzione spagnola di Don Gomez de la Rocha y Figueroa, edita per la prima volta a Lisbona nel 1682, la cui fortuna è testimoniata dalle numerose ristampe fattene fino al 1770.»
    .
  4. ^ Andreina Griseri, Le metamorfosi del Barocco, Giulio Einaudi editore, 1967, p. 168.
  5. ^ Cfr. anche: Alessandro Tesauro, La sereide, a cura di Domenico Chiodo, Edizione RES, 1994, ISBN 978-88-85323-14-8.
  6. ^ P. Frare, Marino al cannocchiale, in Aprosiana, vol. 9, 2001, p. 97.
  7. ^ a b Giovanna Zanlonghi, Teatri di formazione: actio, parola e immagine nella scena gesuitica del Sei-Settecento a Milano, Vita e Pensiero, 2002, p. 17, ISBN 978-88-343-0678-9.
  8. ^ Barbara Zandrino (2003), p. 117.
  9. ^ Gianvittorio Signorotto, La percezione delle frontiere nel cuore d'Italia. Milano e la mobilitazione religiosa e politica (1600-1659), in Papato e politica internazionale nella prima età moderna, Viella Libreria Editrice, 2013, p. 220, ISBN 8867281550.
    «Per le esequie solenni di Filippo III viene allestito nel Duomo di Milano un apparato impressionante, sulla base di un percorso retorico, ideato da Emanuele Tesauro.»
  10. ^ Cannavacciuolo (1986), p. 52.
  11. ^ Marziano Guglielminetti, Storia della civiltà letteraria italiana: Manierismo e barocco, a cura di Giorgio Barberi Squarotti, UTET, 1991, p. 59.
  12. ^ Emanuele Tesauro, La Metafisica del Niente, Discorso sacro [...], in Panegirici e Ragionamenti, Torino, appresso Bartolomeo Zavatta, 1659-1660, vol. III, pp. 217-241. Mario Zanardi situa all'altezza del biennio 1633-1634 – in data dunque coeva alla querelle degli Incogniti – la composizione del ragionamento sacro del Tesauro, che fino al 1635, data della sua uscita dalla Compagnia, tenne a corte l'incarico di "Concionator Serenissimae" (ossia della duchessa Cristina di Francia).
  13. ^ Harald Weinrich, La forza dello zero, in Lettere Italiane, vol. 54, n. 4, 2000, pp. 513-529, JSTOR 26266636.
  14. ^ a b Alberto Asor Rosa, Letteratura italiana. Storia e geografia: Volume secondo. Età moderna, Giulio Einaudi editore, 1988, p. 825, ISBN 978-88-06-11380-3.
  15. ^ Pierantonio Frare (1998), p. 16.
  16. ^ Vigliani (1936), p. 235.
  17. ^ Andrea Merlotti, Pietro Gioffredo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 95, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2019. URL consultato il 16 maggio 2019.
  18. ^ Anna Cantaluppi, Sull'«Istoria della Compagnia di San Paolo» di Emanuele Tesauro, in Studi piemontesi, vol. 21, n. 1, 1992, p. 146.
  19. ^ Il complesso programma figurativo, i soggetti, il contesto iconografico di «emblematicae historiae», iscrizioni, imprese, pitture, fregi, decorazioni della «Reggia di Caccia» è minutamente descritto dal Tesauro nella seconda edizione delle Inscriptiones (Torino 1666), nel capitolo intitolato Regiarum aedium ornamenta. Cfr. M. L. Doglio, Latino e ideologia cortigiana di Emanuele Tesauro, cit., pp. 567-573; e, in specie, sull'insieme decorativo, A. GRISERI, La Venaria Reale: il Principe e la Caccia, in Studi in onore di G. C. Argan, Roma 1984, pp. 343-348.
  20. ^ Valeria Merola (2006), p. 404.
  21. ^ Claudio Rosso, Uomini e poteri nella Torino barocca, in Storia di Torino: La città fra crisi e ripresa, 1630-1730, a cura di G. Ricuperati, Torino, vol. IV, pp. 187-188
  22. ^ Ezio Raimondi, La Letteratura Italiana. Storia e Testi, vol. 36, Riccardo Ricciardi, 1960.
  23. ^ Daniele Sanguineti, Piola, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 95, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2019.
  24. ^ Carlo Ossola, Le antiche memorie del nulla, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007, p. 225, ISBN 978-88-8498-382-4.
  25. ^ Giovanni Adamo, Valeria Della Valle, Neologismo, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2007. URL consultato il 26 marzo 2020.
  26. ^ Tuscano (1977), p. 572.
  27. ^ Sappiamo da una lettera inviata il 5 settembre 1674 dal matematico Donato Rossetti al cardinale Leopoldo de' Medici, che il Tesauro aveva una grande ammirazione per lo scienziato pisano, «discorre[va] del Galileo e della di lui abiura, e si dichiara[va] inclinato al Sistema Copernicano». Angelo Fabroni (a cura di), Lettere inedite di huomini illustri, vol. 2, Firenze, F. Moucke, 1773, p. 249.
  28. ^ «Ed eccoci alla fin pervenuti grado per grado al più alto colmo delle figure ingegnose, a paragon delle quali tutte le altre figure fin qui recitate perdono il pregio, essendo la metafora il più ingegnoso e acuto, il più pellegrino e mirabile, il più gioviale e giovevole, il più facondo e fecondo parto dell'umano intelletto. Ingegnosissimo veramente, però che, se l'ingegno consiste (come dicemmo) nel ligare insieme le remote e separate nozioni degli propositi obietti, questo apunto è l'officio della metafora, e non di alcun'altra figura: perciò che, traendo la mente, non men che la parola, da un genere all'altro, esprime un concetto per mezzo di un altro molto diverso, trovando in cose dissimiglianti la simiglianza.»
  29. ^ Paolo Fabbri e Gianfranco Marrone, Semiotica in nuce, vol. 2, Roma, Meltemi Editore, 2002, p. 153, ISBN 978-88-8353-065-4..
  30. ^ a b Benedetto Croce (1911).
  31. ^ L'opera di Tesauro rappresenta l'apice di una lunga riflessione sul concettismo, cominciata dal precoce intervento sul tema di Camillo Pellegrino del 1598 e proseguita lungo tutto il secolo, dal De acuto et arguto liber unicus sive Seneca et Martialis (1619) di Maciej Kazimierz Sarbiewski al trattato Delle acutezze (1639) di Matteo Peregrini, all'Argudeza y arte de ingenio di Gracián.
  32. ^ (EN) Brendan Maurice Dooley (a cura di), Italy in the Baroque: Selected Readings, New York & London, Garland Publishing, Inc., 1995, p. 460.
    «Published in 1654 (Turin: Sinibaldo), the treatise was an immediate success, establishing Tesauro's authority in the field. Considerably expanded by Tesauro in his second edition (Venice: Baglioni, 1665), it went through fourteen reprintings before 1702»
  33. ^ (LA) Emanuele Tesauro, Idea argutæ et ingeniosæ dictionis, Francofurti et Lipsiae, Süstermann, 1698.
  34. ^ (LA) Emanuele Tesauro, Idea argutæ et ingeniosæ dictionis, 2ª ed., Coloniae, apud Thomam Fritsch, 1714.
  35. ^ Marco Maggi, introduzione a Vocabulario italiano: testo inedito di Emanuele Tesauro (Leo S. Olschki, 2008) p. XXVI.
  36. ^ cit. in Denise Aricò, Il Tesauro in Europa. Studi sulle traduzioni della «Filosofia morale», Bologna, CLUEB 1987, p. 153.
  37. ^ Cfr.: Recensione di: Emanuelis Thesauri Idea argutae et ingeniosae dictionis, in Acta eruditorum, Lipsia, giugno 1698, p. 255.
  38. ^ Mercedes Blanco (1992).
  39. ^ Rivestono una particolare importanza gli studi dedicati al Tesauro da Ezio Raimondi. Cfr. Andrea Battistini, Ezio Raimondi, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 95, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2019. URL consultato il 7 ottobre 2019.
    «Di particolare rilevanza fu l’attenzione dedicata [dal Raimondi] a Emanuele Tesauro, rivelatosi in nulla inferiore a un Baltasar Gracián o ai massimi intellettuali europei del tempo, nel quale la tradizione retorica è restituita al ruolo di un’antropologia della cultura e a una moderna semiotica alla quale non sono estranee le scoperte della nuova ottica galileiana.»
  40. ^ Maria Luisa Doglio (1975).
  41. ^ Florence Vuilleumier (1992).
  42. ^ Eraldo Bellini, Agostino Mascardi tra "ars poetica" e "ars historica", Vita e Pensiero, 2002, p. 21n, ISBN 978-88-343-0896-7.
  43. ^ Maria Luisa Doglio, Letteratura e retorica da Tesauro a Gioffredo, in Giuseppe Ricuperati (a cura di), Storia di Torino, vol. 4, Giulio Einaudi Editore, 1997, p. 615.
  44. ^ Geoffrey Symcox. La reggenza della seconda madama reale (1675-1684), in Giuseppe Ricuperati (a cura di), Storia di Torino, vol. 4, Giulio Einaudi Editore, 1997, p. 213.
  45. ^ Sergio Bertelli, Dal post-Rinascimento al Risorgimento, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Storia e Politica, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2013.
  46. ^ Maria Luisa Doglio, Letteratura e retorica da Tesauro a Gioffredo,, in Giuseppe Ricuperati (a cura di), Storia di Torino, vol. 4, Giulio Einaudi Editore, 1997, p. 616, ISBN 978-88-06-16211-5.
  47. ^ Gino Benzoni, Valeriano Castiglione, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 95, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2019.
  48. ^ Secondo Angelico Aprosio (Pentecoste d'altri scrittori, X , p. 102), il Regno d'Italia sotto i barbari sarebbe opera del conte Filippo San Martino di Agliè, e non del Tesauro, al quale egli invece attribuisce le annotazioni del Castiglione. L'ipotesi di Aprosio è universalmente scartata dagli studiosi (cfr. Gaetano Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani, Milano, Pirola, 1859, p. 439.)
  49. ^ Alessandro Bevilacqua, L. A. Muratori e l'arte gotica, in L. A. Muratori storiografo: Atti del Convegno Internazionale di Studi Muratoriani, Modena, 1972, p. 185.
  50. ^ Sul giudizio di Tesauro sui barbari cfr. anche: Gustavo Costa, Le antichità germaniche nella cultura italiana da Machiavelli a Vico, Bibliopolis, 1977, p. 215.
    «Il quadro della dominazione longobarda, dipinto da Tesauro con la consueta esuberanza di figure retoriche, non appare completamente negativo. Se Clefi fu un vero e proprio mostro, che «nella stessa Reggia, officina di crudeltà, tanto spargea di sangue quanto di vino», Autari, che assunse il nome di Flavio in omaggio alla romanità, e sposò la virtuosa Teodolinda, figlia di Garibaldo, duca di Baviera, fu un eccellente monarca, capace di assicurare la felicità ai propri sudditi, come sottolinea Tesauro, ricorrendo al topos encomiastico del ritorno dell'età dell'oro: «a' popoli fortunati parea ritornato in Italia con Flavio il Savio e Teodelinda la Santa il Regno di Saturno e di Astrea». Tesauro non manca di riconoscere l'importanza della legislazione rotariana, additando nel suo promotore «il Solone de' Longobardi che, ricogliendo i precetti della vita Civile in una frale membrana, li fece eterni», e di celebrare, sulle orme di Sigonio, il regno di Ariperto I: «Barbaro anch'esso di natione, ma non di attione; fedele agli stranieri, provido a' suoi; da niun buono temuto, e di niun cattivo temendo, senza infierir nella guerra, né infeminir nella pace, godé et lasciò altrui godere il dolce frutto delle palme di Rotario».»
  51. ^ «Pastor del popolo fattosi lupo rapace» (con probabile eco di un famoso luogo di Dante).
  52. ^ L’operetta, composta in Francia nel 1617 e dedicata a Luigi XIII, rivolgeva agli ugonotti epiteti ingiuriosi come: «lupi voraci», «scorpioni micidiali», «calabroni immondi», «mostri infernali», «furie maledette» (M. GUGLIELMINETTI, Marino e la Francia, in Tecnica e invenzione nell'opera di Giambattista Marino, Messina, D’Anna, 1964, pp. 162 sgg.).
  53. ^ Sulla produzione latina del Tesauro, cfr. l'importante contributo di M. L. Doglio, Latino e ideologia cortigiana di Emanuele Tesauro (con due inediti delle Inscriptiones), in Filologia e forme letterarie. Studi offerti a Francesco Della Corte, vol. V, Urbino, Università degli Studi di Urbino, 1987, pp. 567-588.
  54. ^ Giulio Ferroni, Tesauro e Martello: due varianti del mito di Alcesti, in Rena Anna Syska-Lamparska (a cura di), La scena del mondo: studi sul teatro per Franco Fido, Angelo Longo Editore, 2006, p. 113, DOI:10.1400/55560, ISBN 978-88-8063-508-6.
  55. ^ Denise Aricò, Recensione di: Emanuele Tesauro, Alcesti o sia l'amor sincero, a cura di Maria Luisa Doglio, in Silvia Salvi (a cura di), Studi e problemi di critica testuale, vol. 62, n. 1, 2001, p. 223.
  56. ^ Maria Luisa Doglio, La “tragicommedia” Alcesti di Emanuele Tesauro, in Sante Graciotti e J. Křesálková (a cura di), Barocco in Italia. Barocco in Boemia, Il Calamo, 2003, p. 208, ISBN 88 880 3966 X.
  57. ^ Valeria Merola (2006), p. 403.
  58. ^ Franca Angelini, Barocco italiano, in Roberto Alonge e Guido Davico Bonino (a cura di), Storia del teatro moderno e contemporaneo, vol. 1, Giulio Einaudi Editore, 2000, p. 243, ISBN 9788806147501.
  59. ^ Peter Brand (a cura di), The Cambridge History of Italian Literature, Cambridge University Press, 1996, p. 333, ISBN 978-0-521-43492-8.
  60. ^ (EN) Rosanna Lauriola, Oedipus the King, in Brill's Companion to the Reception of Sophocles, Brill Editore, 2017, p. 190, ISBN 978-90-04-30094-1.
    «On account of his religious credo Tesauro seems to approach the tragedy to explore the issue of fate, free will, and personal responsibility. Much space is given to Tiresias. Turned into a priest, in contrast to his antecedents, in particular the Senecan one, he is able to recognize all the 'celestial' signs—such a skill that contrasts with the consistent failure of Oedipus' rational response to those same signs. This Tiresias is accordingly persuaded of Oedipus' responsibility, so that, whereas in Sophocles the scales tip in favor of innocence, in Tesauro, through Tiresias' lenses, the scales firmly tip in favor of guilt.»
  61. ^ Carlo Ossola, «Edipo e ragion di Stato»: mitologie comparate, in Lettere italiane, vol. 34, n. 4, ottobre-dicembre 1982, p. 498, JSTOR 26260739.
  62. ^ A. Stegmann, Les métamorphoses de Phèdre, in Actes du Iᵉʳ Congrès International Racinien, Uzès, 1962, p. 46.
    «Ce retour scrupuleux à l'Antiquité, le sens tragique, une psychologie délicate qui dégage Sénèque de sa luxuriance réaliste annoncent certainement Racine […]. Toute la scène de l'aveu en particulier est traitée chez Tesauro dans le sens que dégagera Racine […]. Dans sa description pourtant si précise du Taureau monstrueux, Sénèque ne parle ni de cornes ni de Dragon. Les deux mots sont chez Tesauro et chez Racine. Sénèque ne parle que de l'étonnement immobile des chasseurs, Tesauro et Racine de la fuite éperdue de la foule. Les deux Auteurs manient en outre avec la même opportunité les termes de chevaux et de coursiers. La pièce entière enfin baigne dans un climat mythique dont Tesauro saisit le véritable caractère. Un point téchnique révèle enfin le sens dramatique du piémontais. Comme chez Racine, c'est en plein acte III et immédiatement après l'aveu que Thésée réapparaît. Une brève annonce, et le voici sur la scène. L'effet de surprise ne permet pas à Phèdre ni à la nourrice de préméditer leur attitude. D'emblée la nourrice assume l'accusation devant une Phèdre stupéfaite qui semble mal conscient du crime qui s'accomplit. Si enfin la Phèdre de Racine est, selon la formule de M. Jean Pommier, une tragédie de l'expiation, elle l'est, plus esplicitement encore peut-être, chez Tesauro.»
  63. ^ A. Stegmann, L'héroïsme cornélien, A. Colin, 1968, p. 42.
  64. ^ Pierantonio Frare (1998), pp. 160–161.
  65. ^ II dramma è stato pubblicato, corredato di note e introduzione, da Maria Luisa Doglio, Un dramma inedito di Emanuele Tesauro: Il libero arbitrio, «Studi secenteschi», X (1969), pp. 163-242.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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