Federico De Leonardis

Federico De Leonardis (La Spezia, 9 marzo 1938[1]) è un artista italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Ha studiato ingegneria prima a Roma e poi a Genova e successivamente architettura a Firenze. Dal 1963 vive a Milano, dove ha lavorato come urbanista alla Tekne (una delle prime consulting firm milanesi, fondata da Roberto Guiducci e Fabrizio Onofri), partecipando per varie regioni italiane e anche all’estero allo studio operativo di Piani di Sviluppo Industriale per la Cassa del Mezzogiorno e Piani Turistici Regionali. nel 1972, dopo esperienze in studi privati di architettura, è chiamato da Giovanni Enriques (dirigente presso Confindustria) a lavorare come consulente urbanista presso l’ufficio studi con sede a Milano. Dal 1973 abbandona la professione per la quale aveva studiato e inizia a dedicarsi esclusivamente all’arte.[2] La sua prima mostra personale si tiene nel 1978 presso l’ex Chiesa di S. Carpoforo, Milano. Parteciperà in seguito a numerose mostre personali e collettive sia in Italia che all'estero.[3]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Le opere di De Leonardis sono installazioni di materiali diversi spesso costituite da objet trouvé: "in lui la materia è prima di tutto il calco di un’energia impiegata da altri, fisica e psichica nel contempo"[4].

Uno dei suoi primi lavori si intitola “Ravatti” e nasce come una memoria dei luoghi della sua infanzia (Lerici), quando da ragazzo raccoglieva sulla battigia oggetti abbandonati, trasformati dal movimento del mare fino a renderne irriconoscibile l’origine e la funzione. Costituito da migliaia di resti raccolti sulle rive di tutto il Mediterraneo, è stato presentato una prima volta a Stuttgart, in occasione del IX Kunsthistorische Festival (‘79) e successivamente al Museo del Palazzo dei Diamanti, a Ferrara (nei primi anni ‘80). È stato riproposto nel 2017 all’Isola del Lazzaretto Nuovo, a Venezia.

L'importanza del recupero della memoria e della tensione spaziale nei lavori di De Leoanrdis sono state colte anche dal critico d'arte Pierre Restany: "Le diverse presenze oggettuali ci sembrano familiari, già viste altrove, in altri tempi e in altri luoghi, magari in un'altra vita. De Leonardis ha sempre adoperato il linguaggio referenziale della memoria. Non è a caso che lo scultore abbia spesso recuperato degli spazi e delle strutture dell'archeologia industriale (fabbriche abbandonate, vecchi cantieri). Con pochi elementi l'artista crea l'ultima intensità dell'emozione: less is more"[5].

Elenco opere pubbliche e permanenti[modifica | modifica wikitesto]

Ossa di Shelley (Gibellina, TR), 2018

Pastorale (via Idro, Milano), 2012

Vie Minate (Polo Tecnologico Magona, Cecina –LI), 2011

Muri IV (Incubatore d’impresa, Peccioli –PI), 2005

Fessura e contravvento II ( Parcheggio coperto, Peccioli –PI), 2000

Autoritratto nello specchio convesso (Anagrafe di Pisa), 1998

Pastorale (via del Crocefisso, Peccioli –PI), 1996

Fessura e contravvento I (Sesto S. Giovanni- MI), 1990

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Federico de Leonardis: l'arte non è per tutti, su graffitiamilano.blogspot.com. URL consultato il 23 luglio 2021.
  2. ^ "Ingegnere, architetto, artista. Parola a Federico De Leonardis." Intervista di Marco Meneguzzo, su artribune.com.
  3. ^ Premio Lerici Pea 2015, su lericipea.com.
  4. ^ Viana Conti, Muri I: l’opera come farsi luogo dell’opera (progettare il vuoto), (Catalogo della mostra), 2019..
  5. ^ Pierre Restany, Spazio Industriale per uno studio d’artista in “Domus”, n° 677, 16 novembre 1986..

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Viana Conti,Muri I: l’opera come farsi luogo dell’opera (progettare il vuoto), (Catalogo della mostra), Palazzo D'oria 2019.
  • Deianira D’Amico, Lo spazio è un riparo per la memoria, Vanilla edizioni, 2017.
  • Angela Madesani, La sacralità del lavoro, in "Cantieri dell’arte", Silvana ed.,2004.
  • Angela Madesani, Storie di Ordinaria sublimazione, in "Polemos", Silvana ed. 2005.
  • Elio Grazioli, De Leonardis, "Periferie ed Hestia", 1996.
  • Vittoria Coen, in "Rivista Segno" n° 121, 1993.
  • Pierre Restany, Spazio industriale per uno studio d’artista in "Domus 677", 1986.

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