Giulio Cesare Cortese

Giulio Cesare Cortese (Napoli, 1575 circa – Napoli, 22 dicembre 1622[1]) è stato un poeta italiano, noto per le sue opere in napoletano, tra cui la Vaiasseide.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Non si sa quasi nulla della sua prima formazione, ma probabilmente fu compagno di studi di Giambattista Basile di cui rimase amico tutta la vita.[1] Dopo aver conseguito a Napoli la laurea in diritto, tra il 1597 e il 1599 soggiornò a Firenze presso la corte di Ferdinando I. A Firenze operò nell'ambito dell'Accademia della Crusca e fu probabilmente annoverato fra gli accademici.[2]

Per conto di Ferdinando si recò in Spagna come membro di una delegazione medicea per le nozze di Filippo III con Margherita D'Austria.

Cortese non ebbe però la fiorente carriera politica e cortigiana cui gli esordi fiorentini sembravano avviarlo; rientrato in patria, ottenne solo un incarico da assessore a Trani per volontà di Fernando Ruiz de Castro (1599) e, in seguito, quello di luogotenente di Lagonegro sotto il conte di Benavente (1606). Nelle rime dette "toscane" vi è un tentativo infruttuoso di aver successo presso il conte di Lemos, massimo rappresentante della corona spagnola a Napoli. Cortese fu membro dell'Accademia degli Incauti, fondata da Orazio Comite nel 1621. Frequentò assiduamente l'Accademia dei Sileni, di cui faceva parte anche il Marino. Ebbe almeno 9 figli.[1]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Cortese è molto importante per la letteratura napoletana e barocca, in quanto, con Basile, pone le basi per la dignità letteraria e artistica della lingua napoletana, contrapposta così al toscano, lingua in cui comunque produce una serie di scritti per lo più encomiastici.

  • La Vaiasseide (1612)
  • Micco Passaro 'nnamorato (1619), poema eroico
  • Li travagliuse ammure de Ciullo e Perna, romanzetto in prosa
  • La rosa, favola
  • Viaggio in Parnaso (1621), poema che immagina un viaggio nel mondo dei poeti;
  • Lo cerriglio 'ncantato (1628)

Queste opere sono raccolte in:

  • Opere di Giulio Cesare Cortese in lingua napoletana: in questa XV impressione purgate con somma accuratezza da infiniti errori, che la rendevano manchevoli, Napoli: Per Nouello de Bonis, ad istanza d'Adriano Scultore all'Insegna di S. Marco, 1666 (on-line).
  • Opere poetiche: In appendice La tiorba a taccone de Felippo Sgruttendio de Scafato; edizione critica con note e glossario a cura di Enrico Malato, Collana "Poeti e prosatori italiani" diretta da Mario Petrucciani, n. 4, Roma: Edizioni dell'Ateneo, 1967

La Vaiasseide[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Vaiasseide.

È un poema eroicomico in cinque canti, in ottave, in lingua napoletana, dove il metro dei poemi eroici e la tematica eroica sono abbassati al tema delle avventure sentimentali di un gruppo di vaiasse, domestiche napoletane. È uno scritto comico e trasgressivo, dove molta importanza ha la partecipazione corale dei ceti sociali bassi ai meccanismi dell'azione. L'elemento "culto" è da ricercare nel viaggio che il Cortese stesso compie in un mondo che non è il suo e che descrive con ironia e tragicità.

Il viaggio di Parnaso[modifica | modifica wikitesto]

È un'opera composta in napoletano dedicata alla condizione della letteratura e del letterato, con varie allusioni autobiografiche, piene d'amarezza e pessimismo.

Il tutto è ambientato sul Parnaso dove Apollo e le sue Muse risiedono e dove il poeta può mettere in risalto i peccati della poesia, compiuti in una società degradata, dove è all'ordine del giorno un reato come il furto letterario. Il tutto comunque si risolve con un finale fiabesco e con l'amara delusione del poeta che si vede negate le proprie ambizioni.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Vincenzo Palmisciano, Corrigenda per la biografia di Giulio Cesare Cortese, in Studi secenteschi, vol. LX (2019), pp. 189-199.
  2. ^ Anche se il suo nome non compare nei documenti ufficiali del sodalizio fiorentino, Giulio Cesare Cortese ne fu probabilmente membro. Si presentò per la prima volta come accademico della Crusca in un madrigale di accompagnamento alle Avventurose disavventure di Giambattista Basile (1611), nel quale elogiava, assieme all'autore dell'opera, il suo dedicatario, Luigi Carafa. Nuovamente «accademico della Crusca» si dice Cortese nel 1614, premettendo un altro madrigale alla versione italiana della Celeste Fisionomia che Salvatore Scarano indirizzò a Bartolomé Leonardo de Argensola, poeta e cappellano del viceré Pedro Fernández de Castro, conte di Lemos. L'ultima volta che Cortese si definì cruscante fu nel 1623, in versi d'occasione inclusi nel Teatro delle Glorie dedicato ad Adriana Basile, sorella di Giambattista. È infine lo stesso Basile a chiamare Cortese accademico della Crusca quando, nel 1627, ricorda nelle proprie Ode l'amico ormai defunto.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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