Guido Cavalcanti

Ritratto immaginario di Cavalcanti, in Rime, 1813

Guido Cavalcanti (Firenze, 1259 ca. – Firenze, 29 agosto 1300) è stato un poeta e filosofo italiano del Duecento. Esponente di spicco della corrente poetica del dolce stil novo, partecipò attivamente, tra le file dei guelfi bianchi, alla vita politica fiorentina della fine del XIII secolo. Fu amico personale di Dante che lo menzionerà nelle sue opere.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Guido Cavalcanti, figlio di Cavalcante dei Cavalcanti, nacque a Firenze (tuttavia il luogo di nascita è ipotizzato e non si sa quale sia quello reale) intorno all'anno 1258 in una nobile famiglia guelfa di parte bianca, che aveva le sue case vicino a Orsanmichele e che era tra le più potenti della città. Nel 1260, Cavalcante, padre del poeta, fu mandato in esilio in seguito alla sconfitta di Montaperti. Sei anni dopo, in seguito alla disfatta dei ghibellini nella battaglia di Benevento del 1266, i Cavalcanti riacquistarono la preminente posizione sociale e politica a Firenze. Nel 1267 a Guido fu promessa in sposa Beatrice, figlia di Farinata degli Uberti, capo della fazione ghibellina. Da Beatrice, Guido avrà i figli Tancia e Andrea.

Dante Alighieri e Virgilio incontrano all'Inferno Cavalcante dei Cavalcanti e Farinata degli Uberti nel sesto girone degli Eretici ed Epicurei

Nel 1280 Guido fu tra i firmatari della pace tra guelfi e ghibellini e quattro anni dopo sedette nel Consiglio generale al Comune di Firenze insieme a Brunetto Latini e Dino Compagni. Secondo lo storico Dino Compagni, a questo punto avrebbe intrapreso un pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Pellegrinaggio alquanto misterioso, se si considera la fama di ateo e miscredente del poeta. Il poeta minore Niccola Muscia, comunque, ne dà un'importante testimonianza attraverso un sonetto.

Il 24 giugno 1300 Dante Alighieri, priore di Firenze, fu costretto a mandare in esilio l'amico, nonché maestro, Guido con i capi delle fazioni bianca e nera in seguito a nuovi scontri. Cavalcanti si recò allora a Sarzana; a lungo si è pensato che la celebre ballata Perch'i' no spero di tornar giammai fosse stata composta durante l'esilio ma di recente si è diffusa l'opinione che la lontananza di cui egli parla non fosse letterale ma, piuttosto, un'immaginazione poetica. Il 19 agosto venne revocata la condanna per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute. Il 29 agosto morì, pochi giorni dopo essere tornato a Firenze, probabilmente a causa della malaria contratta durante l'esilio.

È ricordato -oltre che per i suoi componimenti- per essere stato citato da Dante come "primo de li miei amici" nel terzo capitolo della Vita Nova , opera che si apre con il sonetto A ciascun alma presa e gentil core rivolto dal Sommo Poeta a tutti i maggiori rimatori dell'epoca e al quale Cavalcanti rispose dando inizio al loro legame di amicizia che comprese poi anche Lapo Gianni.

Entrambi sono ricordati da Dante nel celebre nono sonetto delle Rime, Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io (al quale Guido rispose con un altro mirabile, ancorché meno conosciuto, sonetto che ben esprime l'intenso e difficile rapporto tra i due amici: S'io fosse quelli che d'amor fu degno). Dante lo ricorda anche nella Divina Commedia (Inferno, canto X e Purgatorio, canto XI) e nel De vulgari eloquentia, mentre Boccaccio lo cita nel Commento alla Divina Commedia e lo rende protagonista nella novella VI, 9 del Decameron. A lui sono dedicate vie a: Firenze, Palermo, Roma, Milano, Marina di Pietrasanta, Cagliari.

La personalità[modifica | modifica wikitesto]

La sua personalità, aristocraticamente sdegnosa, emerge dal ricordo che ne hanno lasciato gli scrittori contemporanei: dai cronisti Dino Compagni e Giovanni Villani a novellieri come Giovanni Boccaccio e Franco Sacchetti. Si legga il ritratto di Dino Compagni:

«Un giovane gentile, figlio di messer Cavalcante Cavalcanti, nobile cavaliere, cortese e ardito ma sdegnoso e solitario e intento allo studio»

Nella Cronaca Giovanni Villani, invece, fa prima di tutto riferimento al suo valore in quanto filosofo (non tenendo in considerazione l'ethos cavalleresco cavalcantiano), successivamente lo definisce "troppo stizzoso" poiché iracondo e rancoroso ed in ultimo gli attribuisce per primo la qualifica di "poeta".

La sua personalità è paragonabile a quella di Dante, con due importanti distinzioni:

  1. L'appartenenza a famiglie magnatizie fiorentine si espleta in due modalità nettamente discordanti. Dante entra in politica attivamente (pur pentendosene), mentre Cavalcanti limita la sua azione alla violenza privata usuale per l'epoca.
  2. La fede dantesca e l'ateismo cavalcantiano, testimoniato da Dante stesso (Inferno X, 58-63[1]), Boccaccio (Decameron VI, 9: «egli alquanto tenea della oppinione degli epicuri, si diceva tralla gente volgare che queste sue speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse») e Filippo Villani (De civitatis Florentie famosis civibus). La sua eterodossia è stata tra l'altro rilevata nella grande canzone dottrinale Donna me prega, certamente il testo più arduo e impegnato, anche sul piano concettuale, di tutta la poesia stilnovistica, in cui si rinvengono caratteri di correnti radicali dell'aristotelismo averroistico.

Famoso e significativo l'episodio narrato dal Boccaccio di una specie di scherzoso assalto, da parte di una brigata di giovani fiorentini a cavallo, al "meditativo" Guido, che schivava la loro compagnia. Lo stesso episodio verrà ripreso da Italo Calvino nelle Lezioni americane, in cui il poeta duecentesco, con l'agile salto da lui compiuto, diventa emblema della leggerezza. L'episodio figura anche nell'omonimo testo di Anatole France ne "Le Puits de Sainte Claire" dove, peraltro, i fatti risalienti della sua vita vengono riportati sotto una veste quasi mistica.

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Il suo corpus poetico consta di cinquantadue componimenti, di cui due canzoni, undici ballate, trentasei sonetti, un mottetto e due frammenti composti da una stanza ciascuno.[2] Le forme maggiormente utilizzate sono il sonetto e la ballata, seguite dalla canzone. In particolare, la ballata appare congeniale alla poetica cavalcantiana, poiché incarna la musicalità sfumata e il lessico delicato, che si risolvono poi in costruzioni armoniose. Peculiare di Cavalcanti è, nei sonetti, la presenza di rime retrogradate nelle terzine. Fra i testi più noti, si ricordano: Donna me prega (canzone), L'anima mia (sonetto) e Perch'i no spero di tornar giammai (ballata).

Va inoltre sottolineato come non sia pervenuto alcun ordinamento autoriale; pertanto si fa riferimento alla sistemazione dei componimenti di Guido Favati, critico letterario e studioso di filologia romanza che dedicò gran parte della propria vita alla questione. Il risultato dei suoi studi fu, dunque, un ordinamento arbitrario, ma non casuale all'interno del quale troviamo come macro-tematiche:

  1. I componimenti arcaizzanti di stampo guinizzelliano (da 1 a 4)
  2. Lo sbigottimento e gli spiriti vitali (da 5 a 9)
  3. Il motivo dell'autocommiserazione, del compianto funebre e della raffigurazione negativa di Amore (da 10 a 18)
  4. Il tema dell'intellezione e della rappresentazione mentale (dal 19 al 28)
  5. L'introspezione dovuta all'impossibilità di conoscere la donna
  6. Le rime di corrispondenza

Temi[modifica | modifica wikitesto]

Quadro di Johann Heinrich Füssli del 1783: Teodoro incontra nella foresta lo spettro del suo antenato Guido Cavalcanti.

I temi delle sue opere sono quelli cari agli stilnovisti; in particolare la sua canzone manifesto Donna me prega è incentrata sugli effetti prodotti dall'amore.

La concezione filosofica su cui egli si basa è l'aristotelismo radicale promosso dal commentatore arabo Averroè (il cui vero nome è Ibn Rushd),[3] che sosteneva l'eternità e l'incorruttibilità dell'intelletto possibile separato dal corpo e l'anima sensitiva come entelechia o perfezione del corpo.[4]

Va da sé che, avendo le varie parti dell'anima funzioni differenti, solo collaborando esse potevano raggiungere il sinolo, l'armonia perfetta. Si deduce che, quando l'amore colpisce l'anima sensitiva, squarciandola e devastandola, si compromette il sinolo e ne risente molto l'anima vegetativa (come si sa l'innamorato non mangia o non dorme). Da qui la sofferenza dell'anima intellettiva che, destatasi per la rottura del sinolo, rimane impotente spettatrice della devastazione. È così che l'innamorato giunge alla morte spirituale. La donna, avvolta come da un alone mistico, rimane così irraggiungibile e il dramma si consuma nell'animo dell'amante.

Questa concezione filosofica permea la poesia senza comprometterne la raffinatezza letteraria. Uno dei temi fondamentali è l'incontro con l'amore che conduce, al contrario che in Guinizzelli, al dolore, all'angoscia e al desiderio di morire. La poesia di Cavalcanti possiede accenti di vivo dolore riferiti spesso al corpo e alla persona.

Cavalcanti, quindi, oltre che poeta, fu anche un fine pensatore (scrive Boccaccio: «lo miglior loico che il mondo avesse»), ma non ci resta nulla di sue opere filosofiche, ammesso che ne abbia effettivamente scritte.

Il poetare di Cavalcanti, dal ritmo soave e leggero, è di una grande sapienza retorica. I versi di Cavalcanti possiedono una fluidità melodica, che nasce dal ritmo degli accenti, dai tratti fonici del lessico impiegato, dall'assenza di spezzettature, pause, inversioni sintattiche.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ «...per questo cieco / carcere vai per altezza d'ingegno, / mio figlio ov'è? e perché non è teco? / "Da me stesso non vegno: / colui ch'attende là, per qui mi mena / forse cui Guido vostro ebbe a disdegno"»
  2. ^ Guido Cavalcanti: la poetica e lo Stilnovo, su WeSchool. URL consultato il 18 febbraio 2020.
  3. ^ Bruno Nardi, “Donna me prega: L'averroismo del ‘primo amico’ di Dante” (1940), ripubblicato in: Dante e la cultura medievale, Roma-Bari: Laterza, 1983, 81-107; Maria Corti, La felicità mentale. Nuove prospettive per Cavalcanti e Dante, Torino: Einaudi, 1983; Antonio Gagliardi, “Species intelligibilis”, in: R. Arqués (a cura di), Guido Cavalcanti laico e le origini della poesia europea, Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2003, pp. 147-161; Zygmunt G. Barański, “Guido Cavalcanti auctoritas”, in: R. Arqués (a cura di), Guido Cavalcanti laico, cit., pp. 163-180.
  4. ^ Mario Marti, Guido Cavalcanti, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Maria Corti, La felicità mentale: Nuove prospettive per Cavalcanti e Dante, Torino, Einaudi, 1983.
  • Gianfranco Contini, Cavalcanti in Dante, Torino, Einaudi, 1976.
  • Antonio Gagliardi, Guido Cavalcanti: poesia e filosofia, Alessandria, Edizioni Dell'Orso, 2001.
  • Roberto Rea, Cavalcanti poeta: uno studio sul lessico lirico, Roma, Nuova Cultura, 2008.
  • Corrado Calenda, Per altezza d'ingegno: saggio su Guido Cavalcanti, Napoli, Liguori, 1976.
  • Noemi Ghetti, L'ombra di Cavalcanti e Dante, Roma, L'Asino d'Oro, 2011.
  • Guido Cavalcanti, Rime, Firenze, presso Niccolò Carli, 1813.
  • Mario Casella, CAVALCANTI, Guido, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931.
  • Mario Marti, Cavalcanti, Guido, in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970.
  • Mario Marti, CAVALCANTI, Guido, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 22, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1979. URL consultato il 6 agosto 2017. Modifica su Wikidata
  • Di Fiore Ciro, «Il controverso pellegrinaggio di Guido Cavalcanti a Santiago di Compostela», in "Linguistica e letteratura", 35, (2010).
  • Anna Maria Chiavacci Leonardi, commento a La Divina Commedia. Inferno, Mondadori, Milano, 1991, IV ed. 2003, pp. 315-330.
  • Edoardo Gennarini, La società letteraria italiana. Dalla Magna Curia al primo Novecento, Ed. Sandron, Firenze, 1971, pp. 31-46.

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