Il misantropo

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Il misantropo
Opera teatrale in 5 atti in versi
Frontespizio di una edizione del 1719
AutoreMolière
Titolo originaleLe Misanthrope ou l'Atrabilaire amoureux
Lingua originaleFrancese
GenereCommedia
AmbientazioneParigi
Prima assoluta4 giugno 1666
Palais-Royal
Personaggi
  • Alceste; misantropo, innamorato perdutamente di Celimene, interpretato da Molière.
  • Filinte; amico di vecchia data di Alceste.
  • Oronte; cortigiano anch'esso innamorato di Celimene.
  • Celimene; donna superficiale ambita da molti cortigiani.
  • Eliante; cugina ed amica di Celimene.
  • Basco; servitore di Celimene.
  • Acaste; marchese, spasimante per Celimene.
  • Clitandro; marchese, spasimante per Celimene.
  • Una Guardia; della gendarmeria di Francia.
  • Arsinoè; amica più anziana di Celimene.
  • Del Bosco; servitore di Alceste.
 

Il misantropo (Le Misanthrope ou l'Atrabilaire amoureux) è una commedia in cinque atti del drammaturgo francese Molière. Venne rappresentata per la prima volta a Palais-Royal il 4 giugno 1666, con le musiche di Jean-Baptiste Lully.

Il misantropo è un'opera che contiene dati biografici. Il misantropo nasce nella solitudine e nella crisi delle pièces di Don Giovanni e de Il Tartuffo, censurate e non esibite, e per la depressione e la malinconia per l'abbandono della moglie. Il misantropo rinuncia alla comicità dirompente della maggior parte delle altre pièces. Il particolare personaggio di Alceste proclama ad alta voce, fin dall'inizio della pièce, i propri rigidi principi e il suo ideale di un'umanità nobilitata dalla virtù.

Il misantropo ridicolizza fin dall'inizio le convenzioni e l'ipocrisia degli aristocratici francesi dell'epoca, ma assume un tono più serio quando si sofferma sui difetti e le imperfezioni che tutti gli esseri umani possiedono. L'opera si differenzia dalle comuni farse del XVII secolo in quanto presenta personaggi dinamici e a tutto tondo, come Alceste e Celimene, in opposizione ai personaggi piatti usati da molti satiristi per criticare i problemi della società. È inoltre atipica rispetto alle altre opere di Molière perché si concentra sull'evoluzione e le sfumature dei personaggi piuttosto che sulla trama. Il misantropo viene considerato ancora oggi uno dei capolavori di Molière, sebbene non ottenne il successo sperato durante la sua epoca.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Atto I[modifica | modifica wikitesto]

La scena inizia con Alceste, giovane ingelosito, che si lamenta e ammonisce la condotta di Filinte, biasimandolo per aver abbracciato calorosamente un semplice conoscente. Alceste, dunque, spiega contrariato che è assolutamente scandaloso avere lo stesso portamento e lo stesso tono confidenziale con una semplice persona di cui si conosce solo il nome come con un caro ed onesto amico. Alceste continua, asserendo che stimare tutti è come non stimare nessuno, e che tale vizio è ormai prerogativa di tutte le persone di quest'epoca. A tal proposito, gli confessa di non riuscir più a considerarlo come amico. Filinte ribatte, facendogli notare che se sono gli altri ad usare tale comportamento è buona educazione atteggiarsi nel medesimo modo. Asserisce poi, che se si vuole vivere in armonia nella società, è necessario salvare le apparenze, spesso proprio con tali modi ed espedienti. Alceste ribatte che ciò equivale a mentire sia a se stessi, che agli altri. Filinte gli ricorda che in alcuni casi essere sinceri può risultare scorretto o addirittura ridicolo, e che tutto sommato sia più conveniente dire ciò che gli altri vogliono sentirsi dire, e tener celati i propri e reali sentimenti. Alceste allora racconta frustrato di come un certo farabutto, con il quale tra l'altro è tuttora in causa, sia ben noto a tutti per le sue malefatte, e che ciò nonostante viene ritenuto simpatico, la gente lo saluta, e addirittura lo invita. A tali parole Filinte gli consiglia che invece di polemizzare su tutto farebbe meglio ad occuparsi della sua causa. Al riguardo Alceste si mostra totalmente disinteressato, confessandogli che è lui ad avere piena ragione. Infine aggiunge che nel caso quel lestofante d'uomo, grazie alla sua influenza ed alle sue amicizie, riuscisse a vincere la causa, potrà avere l'occasione di godersi la scena, solo per aver piacere nel confermare che il vizio è connaturato all'uomo. Filinte gli chiede come la sua morale rigorosa sia compatibile con Celimene, dal momento che è il suo esatto contrario. Gli fa poi notare di come Eliante e Arsinoè siano più indicate per lui, anche per il fatto che ne sono invaghite. Alceste confessa di non resistere alla bellezza della giovane vedova, che una volta conquistata spera di poter redimere da tali scelleratezze. Si scusa dicendo che non è la ragione che arbitra l'amore; un amore che lui asserisce essere pienamente ricambiato.
Oronte incontra Alceste, al quale chiede con grande entusiasmo ed eccitazione di poter essere annoverato come suo amico, dal momento che gli è giunta notizia della sua condotta e del suo rigore esemplare. Alceste, tenendo fede a tale rigore appena descritto, si dimostra scettico nel concedergli la sua amicizia, dicendogli che non può ritenere amico una persona appena conosciuta. Oronte, quasi soddisfatto della risposta, che accoglie di buon grado, e che comprende, decide allora di approfondire la loro conoscenza, chiedendogli un parere su un sonetto da lui composto in meno di un quarto d'ora, per una donna. Poiché Alceste ha il vizio di dire la verità, per lo più iperbolicamente espressa, una volta ascoltato tale sonetto, in modo non troppo esplicito, fa capire di come l'opera sia assolutamente terribile, e priva di sostanza. Gli sconsiglia di cimentarsi nella composizione in versi, che secondo lui può alle volte far mal apparire una persona. Gli cita allora una delle vecchie canzoni popolari, rozze ma contenenti sostanza. A tali parole, pronunciate quasi come da sommo pulpito, Oronte si sente offeso, e ribatte che i suoi versi sono comunque sia eccellenti, soprattutto perché sono già stati apprezzati da altri. Alceste ribatte che coloro che hanno trovato piacevole tale sonetto, hanno certamente mentito, cosa che lui non ha fatto. Oronte e Alceste quindi iniziano a litigare, ma prima che la situazione degeneri Filinte, che era stato fino ad allora presente,li calma. Oronte quindi si dipartisce, con falsi saluti cordiali. Alceste lo saluta a sua volta con falsi saluti cordiali.

Atto II[modifica | modifica wikitesto]

Alceste si lamenta con Celimene del vasto numero di spasimanti che ella possiede. Egli la ritiene complice di ciò, biasimando i suoi sorrisi, ed i suoi comportamenti teneri e accomodanti, che accendono false speranze nei cuori dei suoi innumerevoli ammiratori, incentivandoli al corteggiamento. Alceste si sofferma in particolare su un certo Clitandro, sul quale pretende spiegazioni. Celimene ribatte giudicandolo iperbolicamente geloso del mondo intero, ed estremamente litigioso. Aggiunge asserendo che i suoi sorrisi, che lui trova equivoci e fuori luogo, fanno solamente parte della consueta routine di buon educazione nel salutare un amico. Continua dicendo che coltiva particolarmente l'amicizia con Clitandro perché quest'ultimo le ha promesso di aiutarla, tramite i suoi amici più influenti, in un suo processo in corso. Conclude rassicurandolo ancora, e ricordandogli che ella ama solo lui. Alceste ammette che deve essere pazzamente innamorato di lei, dal momento che riesce a sopportare tutte le sue abitudini. Nel corso della vicenda ci si accorge di come la gelosia e la litigiosità affibbiate da Celimene ad Alceste siano più che giuste. Infatti, il servitore Basco annuncia l'arrivo di Acaste e Clitandro, al che Alceste esorta l'amata a dichiarasi, in modo che siano palesi a tutti le sue intenzioni, ma Celimene mostra la sua contrarietà. I due signorotti iniziano subito a discorrere con Celimene e a fare pettegolezzi su amici o conoscenti. Tutto pare tranquillo, finché non si viene a parlare di un certo Damide, che stando alle critiche, ha un modo di pensare analogo a quello di Alceste. Quest'ultimo allora, sentendosi moralmente tirato in causa, biasima le loro maldicenze, e in particolare incolpa Acaste e Clitandro di incoraggiare con le loro reazioni divertite i sarcastici commenti di Celimene. Inoltre, trova spazio per aggiungere che il vero amore non perdona mai, ed è sempre sincero. Queste parole suscitano la grande disapprovazione di tutti, che invece asseriscono all'unanimità che l'amore vero perdona sempre, e cerca di trovare i pregi nei difetti, e ad ignorare questi ultimi. Proprio mentre la discussione sembra vada in litigio, viene annunciato l'arrivo di una Guardia, che convoca Alceste di fronte ai Marescialli del Regno. Alceste e Filinte presumono che si tratti della piccola disputa con Oronte. Alceste e Filinte se ne vanno per andare a presentarsi ai Marescialli.

Atto III[modifica | modifica wikitesto]

I due marchesi Clitandro e Acaste hanno un dialogo confidenziale. Il primo chiede al secondo i motivi del suo evidente buon umore. Acaste gli risponde di essere assolutamente appagato della sua vita: è giovane, bello, nobile, ricco, forte, coraggioso, intraprendente, e apprezzato dal re e dal gentil sesso. Clitandro gli chiede allora, dal punto di vista sentimentale, perché viene a sospirare inutilmente in quella casa. Acaste gli assicura che non spreca le proprie doti per corteggiare donne non degne di lui, o che non ricambino il suo amore. Da ciò Clitandro intuisce che Acaste alluda al fatto di aver trovato amore corrisposto in Celimene. I due signorotti si accordano allora che se uno dei due porterà una prova certa di aver conquistato Celimene, l'altro dovrà ritirarsi definitivamente. Da notare come i due marchesi, ognuno assolutamente sicuro di sé, non prendano in considerazione Alceste, il quale ha già conquistato il cuore di Celimene, senza che loro se ne siano accorti. Il servitore Basco annuncia l'arrivo inatteso e poco gradito di Arsinoè. Mentre quest'ultima sale le scale, Celimene confessa le proprie impressioni dell'amica Arsinoè, che ritiene corrucciata contro il mondo intero e gelosa degli amanti delle altre. Conclude asserendo che ella ha messo gli occhi sul suo Alceste. Sopraggiunge Arsinoè, mentre i due marchesi se ne vanno via. Celimene dunque accoglie l'amica con finta gioia. Arsinoè riferisce all'amica di aver recentemente partecipato a una discussione nella quale il discorso è andato a cadere su Celimene, la quale è stata dipinta negativamente, soprattutto per le sue note civetterie e il via vai di corteggiatori in casa sua. Arsinoè afferma di averla difesa fin dove poteva. Celimene le confessa anch'ella di aver recentemente partecipato a una discussione nella quale il discorso è andato a cadere su Arsinoè, la quale è stata dipinta molto negativamente, soprattutto per la sua falsità, e per proclamare i valori, praticando l'esatto contrario. Conclude asserendo di averla difesa fin dove poteva. Arsinoè infastidita da tale notizia dà inizio ad un breve litigio dal quale finalmente emergono le sincere opinioni che ognuna ha dell'altra. Arsinoè l'accusa di vantarsi dei suoi numerosi spasimanti e della sua età giovane. Celimene invece l'accusa di peccare d'invidia, e di essere lo sfogo dei suoi risentimenti e dei suoi insuccessi. Celimene esce di scena lasciando Arsinoè in compagnia di Alceste. Arsinoè dice ad Alceste che le sue grandi virtù meriterebbero un posto di rilievo nella corte ma Alceste ribatte scetticamente di non essere assolutamente portato per l'ambiente cortigiano. Arsinoè, quindi, notando di non ricevere attenzione con tale argomento, inizia a parlare dell'amore di Alceste, che secondo lei è mal ricambiato, infatti Celimene lo tradisce. Alceste la esorta a risparmiargli infondati pettegolezzi, che non fanno altro che insinuare il dubbio ed il male in cuor suo. Arsinoè allora lo invita a seguirla fino a casa, dove potrà constatare con i suoi occhi l'infedeltà della sua donna. Aggiunge infine, in maniera esplicita, che se dopo l'accaduto vorrà aprire il cuore con un'altra donna, lei lo soddisferà.

Atto IV[modifica | modifica wikitesto]

Filinte parla ad Eliante del processo di Alceste, al quale ha assistito, che fortunatamente si è concluso con la riappacificazione dei due contendenti. Le spiega di come Alceste si sia orgogliosamente rifiutato di scusarsi con Oronte, e tanto meno di cambiare opinione sul suo sonetto. Filinte infine coglie l'occasione di trovarsi solo con lei per confessarle che nel caso Alceste sposasse Celimene, privandola di varie attenzioni, lui sarebbe lieto di rimediare a ciò aprendosi verso di lei. Eliante si mostra sorpresa da tali parole. Proprio in quel momento sopraggiunge Alceste, asserendo mortificato che la sua amata Celimene lo tradisce. Filinte ed Eliante lo incitano a non trarre conclusioni affrettate, poiché la gelosia può far prendere degli abbagli. Alceste ribatte dicendo di avere prove certe dell'infedeltà della sua dama. Alceste quindi chiede ad Eliante di aiutarlo a compiere la sua vendetta, concedendosi totalmente a lui, il quale le riserverà tutte le attenzioni e i servigi che non ha mai concesso a Celimene. Eliante lo dissuade, dicendogli che molto probabilmente il torto che lui si figura aver subito è meno grave di quanto sia, e che l'amore con il tempo finisce con il perdonare tutto. Proprio mentre Alceste ribatte contrariato alla corrente di pensiero di Eliante, arriva Celimene. Alceste quindi inizia ad accusare Celimene di aver ipocritamente irretito il suo amore con false moine, per poi tradirlo. Celimene ribatte più volte sorpresa, mostrandosi totalmente estranea a tali accuse. Alceste allora le mostra l'inequivocabile prova della sua infedeltà, tirando fuori una lettera, riconducibile a lei per la calligrafia, satura di parole dolci ed amorose. Alceste conclude le sue accuse asserendo che tali parole sono rivolte a Oronte. Celimene con innocente semplicità ammette la paternità della lettera, ribattendo però che tale lettera potrebbe essere indirizzata anche ad una amica intima, dal momento che non c'è scritto a chi è indirizzata. Celimene si mostra infine irritata da quelle che lei definisce gelose ed inesistenti congetture. Sopraggiunge Del Bosco, che esorta il padrone a partire immediatamente. Non appena Alceste gli chiede dei chiarimenti, Del Bosco gli dice che due uomini, uno dei quali lui conosce, gli hanno lasciato due biglietti.

Atto V[modifica | modifica wikitesto]

Alceste legge il contenuto di tali biglietti. Il primo riguarda il suo processo in corso, che a quanto pare ha ormai perso. Il secondo invece, riguarda Oronte, che per vendicarsi del cattivo giudizio dato al suo sonetto si è vendicato mettendo in giro nella corte un libro dal contenuto scandaloso, sostenendo che sia stato scritto da lui. Alceste, alle parole del suo servitore, si colma ancor più di tristezza e di risentimento nei confronti della società nella quale vive. Giunge quindi alla conclusione che lui debba ritirarsi a vita privata e solitaria, lontano dal resto del mondo. Filinte cerca di ridestare il morale dell'amico, confidandogli che ritirarsi dal civiltà sia una decisione sproporzionata. Inoltre gli fa notare che anche nel qual caso perdesse la causa, potrà ricorrere in appello e contro la sentenza. Alceste ribatte dicendogli che non ha più voglia di ricorrere in appello, aggiungendo di preferir perdere la causa, dovendo pagare una multa di 20.000 franchi, in modo tale che tale ingiustizia sia nota a tutti, e che venga tramandata a futura memoria, come prova indelebile della cattiveria umana. Filinte lo incita a non rassegnarsi, dicendo che le perfidie umane mettono in risalto quei pochi che invece possiedono virtù. Alceste non dà conto a ciò, riconfermando il suo imminente ritiro. Oronte e Alceste esortano Celimene a far luce sulle sue intenzioni amorose, dichiarandosi seduta stante a uno dei due. Celimene si mostra molto contrariata a questa loro decisione inopportuna, asserendo che trova fatica ed esprimersi davanti ad entrambi. Oronte ed Alceste insistono nella loro richiesta. Celimene incita l'amica Eliante ad aiutarla a dissuadere i suoi ammiratori, ma quest'ultima si mostra stranamente contraria, asserendo di non essere in grado di aiutarla. Sopraggiungono i due marchesi Arsinoè, Acaste e Clitandro che a loro volta chiedono a Celimene che sia fatto chiarimento su una lettera scritta da lei, indirizzata ad un misterioso amante. Acaste inizia a leggere tale lettera che scredita e ridicolizza uno ad uno i suoi consueti spasimanti. Inizia tranquillizzando il suo misterioso amante, che non deve esser geloso di nessuno dei seguenti contendenti, dal momento che ella ama solo lui. Descrive dunque Acaste, definendolo un marchesino impacciato e insignificante. Alceste, raramente divertente per la sua stravaganza, ma assai noioso. Oronte, che si crede e si atteggia come un intellettuale e uno scrittore, che però compone versi stancanti. Clitandro, un illuso, ultimo uomo per il quale proverebbe affetto. La lettera continua con Celimene che dice di essere annoiata da tali visite, e che desidererebbe che il suo misterioso amante si presentasse con maggior frequenza. Dopo aver letto ciò Acaste e Clitandro si congedano a testa alta dichiarando Celimene una donna non degna di loro. Oronte, più stupefatto del contenuto della lettera, confida di essergli grato per sapere adesso chi ella realmente è, dipartendosi con finto orgoglio. Arsinoè, nel tentativo di avvicinarselo prende le difese di Alceste, il quale, ancora legato a Celimene, liquida tale tentativo, asserendo di non aver bisogno delle sue difese, visto che oltre a sapersi difendere da solo non saprebbe come ripagarla di tale favore. Arsinoè se ne va quindi indignata, ribattendo di non aver tutta quella smania di conquistarlo che lui si figura e di darsi poche arie. Prima di andarsene aggiunge che non lo ritiene degno di una donna come lei, dal momento che è semplicemente un avanzo di Celimene. Alceste riprende la discussione con Celimene, la quale finalmente ammette le sue colpe e che ha tutto il diritto di odiarla. Alceste quindi, mosso da un ultimo penoso tentativo di riconciliazione con Celimene, le dice che è disposto a dimenticare tutto e a salvarle la faccia da tutti questi pettegolezzi, e in quel caso ella lo sposasse, e andasse a vivere con lui, ritirandosi lontano dalla società. Celimene si mostra favorevole al matrimonio per salvare le apparenze, ma si mostra contraria e spaventata al ritiro lontano dalla società, provocando quindi il ripudio di Alceste, che finalmente riesce a svincolarsi dalla sua rete. Celimene se ne va. Alceste a questo punto, nel tentativo di dimenticare il suo falso amore, si rivolge subito ad Eliante con lodevoli complimenti. Eliante però gli fa notare schiettamente di come abbia intenzione di impegnarsi con Filinte. Alceste, quindi augura una felice esistenza ad entrambi, annunciando di andarsi a ritirare come aveva già detto, ormai deluso e tradito da tutti e da tutto. Si nota qui come volendo ambire al massimo, si è ritrovato con nulla. Filinte, unico suo vero amico, che gli è stato sempre vicino e che gli ha sempre dato buoni consigli, mai considerati, a tali parole, incita Eliante ad aiutarlo, affinché non faccia sciocchezze, in preda alla disperazione.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Moliére: i capolavori. I dieci testi più rappresentati, tradotti per la scena da Guido Mazzella, Roma, Bagatto Libri, 2008.
  • Moliére: Don Giovanni, Molière, a cura di D. Gambelli e Dario Fo. Don Giovanni, Introduzione, Cronologia, Notizie sull'opera, Venezia, Marsilio, 2011.

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