La religione entro i limiti della semplice ragione

La religione entro i limiti della semplice ragione
Titolo originaleDie Religion innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft
AutoreImmanuel Kant
1ª ed. originale1793
Generesaggio
Lingua originaletedesco

La religione entro i limiti della semplice ragione è un'opera scritta da Immanuel Kant in cui si affronta il problema religioso nei suoi rapporti con quello morale. Il primo capitolo viene pubblicato nell'aprile 1792, nella Berlinische Monatsschrift. La prima edizione del testo completo è dell'anno successivo. L'opera può essere considerata, insieme al "Saggio di una critica di ogni Rivelazione"[1] di Johann Gottlieb Fichte pubblicato nello stesso anno (1792), una delle prime opere di filosofia della religione.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La pubblicazione di quest'opera fu occasione di turbamento per la vita regolare e tranquilla del filosofo prussiano tutto dedito al suo lavoro di docente universitario e di studioso.

Con la morte di Federico II, in Prussia era venuto meno il rispetto per la libertà di pensiero che aveva fatto di Berlino l'asilo dei filosofi illuministi, mentre riprendeva vigore il fanatismo religioso e la reazione politica.

Nel 1790 veniva imposto a tutti i pastori luterani un catechismo ufficiale di stato, nel 1791 veniva istituita una commissione governativa per la censura sui libri pubblicati in Prussia.

È in questo clima repressivo che nel 1794 il re Federico Guglielmo II invia a Kant una minacciosa lettera in cui deplora le sue teorie religiose imponendogli di non trattarne più.

Kant respinse le accuse del sovrano ma si disse disposto da buon suddito fedele a sottomettersi all'ordine del sovrano impegnandosi a non scrivere più di argomenti di natura religiosa. Il filosofo mantenne fede alla promessa anche se, dopo la morte di Federico Guglielmo II (1797) riprese a sviluppare temi politicamente delicati, ma non esplicitamente religiosi.

Furono i suoi discepoli a occuparsene, raccogliendo le sue lezioni nell'opera Vorlesungen Uber Die Philosophische Religionslehre (Dottrina filosofica della religione), pubblicata postuma da Karl Heinrich Ludwig Politz nel 1817.[2]

La speranza del premio[modifica | modifica wikitesto]

La Critica della ragion pratica si concludeva stabilendo la necessità di porre come guida dell'azione morale tre postulati, tra cui quello dell'esistenza di Dio. Questa conclusione comportava una apertura dell'etica alla religione, sia pure fondata sulla ragione, lasciando tuttavia irrisolto il problema della salvezza:

«Ogni interesse della mia ragione (tanto quello speculativo quanto quello pratico) si concentra nelle tre domande seguenti:

  1. Che cosa posso sapere?
  2. Che cosa devo fare?
  3. Che cosa ho diritto di sperare?»

La terza domanda apre la via al problema religioso mentre la risposta viene data dalla ragion pratica che mi dice che: «se io faccio quello che debbo fare» posso a buon diritto sperare che Dio ricompensi la mia vita virtuosa con il premio della felicità.

A queste tre domande si aggiungerà, come scrive nella Logica, la quarta: "che cosa è l'uomo", cui risponde l'antropologia. Essa non ha una vera e propria risposta, ma possiamo affermare che la risposta all'ultimo quesito sia la risposta ai primi tre.

Fra religione e morale vi è quindi un'intima compenetrazione tale che il comportamento morale assume un aspetto religioso, non perché l'uomo morale faccia riferimento a un sistema di regole, di comandamenti che provengano dall'esterno a lui e neppure perché spinto da motivi che determinino ulteriormente il suo agire morale per il timore di un castigo divino o la speranza di un premio, ma perché vi è coscienza che esiste un perfetto accordo tra imperativo categorico e volontà di Dio che, come giudice giusto, premierà l'uomo per il suo comportamento virtuoso.

La religione quindi secondo Kant non è altro che «la conoscenza di tutti i doveri come i comandamenti divini...con la speranza di partecipare un giorno alla felicità nella misura in cui avremo procurato di non esserne indegni.» [3]

Una religione razionale[modifica | modifica wikitesto]

La religione quindi, resa possibile solo dall'etica, si presenta come razionale: non vi sarà bisogno né di dogmi, né di sacerdoti che li custodiscano, né di culti, né di chiese dove praticarli: tutti coloro che riconoscono la morale kantiana dell'imperativo categorico saranno i membri di una società spirituale, dando vita alla chiesa invisibile degli uomini di buona volontà.

Questa religione razionale si presenta simile alla religione naturale degli illuministi francesi, che la contrapponevano a quella rivelata, positiva. Questa, sostiene Kant, vuole far apparire la legge morale come avente vigore perché data dal comandamento divino:

«La religione in cui io devo, prima, sapere che qualche cosa è un comando divino, per riconoscerla poi come mio dovere, è la religione rivelata (o che esige una rivelazione): quella, invece, in cui io devo sapere che qualche cosa è un dovere prima che la possa riconoscere come un comando divino, è la religione naturale»

Il cristianesimo come religione naturale[modifica | modifica wikitesto]

Il cristianesimo dunque può essere considerato una vera e propria religione naturale come, ad esempio, dimostra il dogma del peccato originale, che in realtà si rifà alla tendenza naturale, inspiegabile razionalmente, dell'uomo a mettere in atto comportamenti contrari alla legge morale. Vi è infatti, una inclinazione naturale umana, che Kant chiama male radicale, che spinge l'uomo, pur consapevole razionalmente del bene, a fare il male.

Così «La ricostruzione a priori della figura ideale di Cristo, sia come "Maestro dell'Evangelo" che come "modello morale", sembra così conchiudere a tutto vantaggio dell'"idea di Cristo", da sempre insita nella ragione, con la completa marginalizzazione del "Cristo storico", la cui importanza viene relegata in una funzione del tutto contingente e secondaria.» [4] Quindi Gesu' Cristo, che nella religione rivelata è considerato come ente trascendente non sembra essere altro che la personificazione ideale dell'uomo morale. La fede che si ha in quest'essere superiore è in realtà la fede che ha l'uomo di poter realizzare la legge morale. I dogmi cristiani sembrano quindi essere prevalentemente la trasfigurazione simbolica di verità morali.

Nonostante la priorità conferita alla religione razionale (il deismo), Kant assegna ugualmente un ruolo storico e pedagogico alla religione rivelata:

«Può una religione esser perciò quella naturale, ma nello stesso tempo essere anche rivelata, se essa è costituita in modo che gli uomini avrebbero potuto e dovuto, con il semplice uso della loro ragione, giungervi da se stessi sebbene non vi sarebbero giunti così presto e con una diffusione così grande, come si richiede. Per conseguenza una sua rivelazione, avvenuta in un tempo ed in un luogo determinato, poté riuscire cosa saggia e molto vantaggiosa per la specie umana, ma alla condizione che, una volta che la religione, così introdotta, esiste e si è fatta conoscere pubblicamente, chiunque possa in seguito persuadersi della sua verità da se stesso e con la propria ragione. In questo caso la religione è oggettivamente naturale, anche se soggettivamente è rivelata; e perciò le spetta propriamente anche la prima qualifica.[5]»

A differenza degli altri filosofi illuministi, Kant quindi concede uno spazio alla "religione rivelata": la religione razionale infatti è fondata sulla fede razionale pratica (come fede morale nei postulati della "ragion pratica"), ma anche la religione rivelata tuttavia può, in qualche modo, essere accolta, se aiuta nel compimento del bene. Se cioè, in un certo senso, può essere intesa come fede "riflettente" [6]:

«La ragione, nella consapevolezza della sua impotenza a soddisfare alle sue esigenze morali, si estende fino a idee trascendenti, che potrebbero compensare quella deficienza, senza che la ragione se le attribuisca come un suo più esteso possesso. Essa non contesta né la possibilità, né la realtà degli oggetti di queste idee, ma solamente non può assumerle nelle sue massime del pensare e dell'agire. Anzi essa calcola che, se, nell'insondabile campo del soprannaturale, v'è tuttavia, oltre ciò che essa può rendere comprensibile, ancora qualcosa, che sarebbe necessario per supplire all'impotenza morale; questo qualcosa, anche se sconosciuto, tornerà pertanto di grande aiuto alla sua buona volontà mediante una fede, che (riguardo alla sua possibilità) si potrebbe chiamare riflettente , poiché la fede dogmatica , che si spaccia per una scienza , apparisce alla ragione insincera o presuntuosa [7]

Questo riconoscimento di una "fede riflettente" sarebbe sufficiente per diversi interpreti di Kant (della seconda metà del '900) per considerare la sua filosofia della religione una forma di "teismo": in particolare un "teismo morale". Importanti, in proposito, sono state due interpretazioni: quella di Ada Lamacchia (alla fine degli anni 1960), che già parlava di un passaggio in Kant da un dogmatismo teologico ad un teismo morale e, all'interno del mondo cattolico, l'interpretazione (a metà degli anni '70) del filosofo della religione, Italo Mancini, che considerava Kant addirittura una preziosa fonte per la teologia cattolica [8]. Con l'opera di Mancini si congedava definitivamente l'interpretazione immanentistica della filosofia kantiana tanto cara al pensiero idealistico italiano e al pensiero marxista.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ tr. it. Roma-Bari, Laterza, 1998.
  2. ^ tr. it. Lezioni di filosofia della religione a cura di Costantino Esposito, Napoli, Bibliopolis, 1988.
  3. ^ I.Kant, La religione entro i limiti della semplice ragione, IV
  4. ^ G. Ferretti, Immanuel Kant. Dal Cristo "ideale" della perfetta moralità al ritorno del Cristo della fede ai "confini" della ragione, in S. Zucal (a cura di), Cristo nella filosofia contemporanea. I Da Kant a Nietzsche , San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000, pp. 64-65
  5. ^ I. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, Laterza, Bari, 1980, pag. 170
  6. ^ Con il giudizio riflettente si realizzava la possibilità di conciliare nell'uomo i due aspetti contrapposti di necessità e libertà così possono concordare fede rivelata e fede razionale, senza l'intervento esclusivo della ragione, per il compimento del bene con una sorta di fede "riflettente".
  7. ^ I.Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, op.cit. pp.56-57
  8. ^ I.Mancini, Kant e la teologia, Cittadella, Assisi 1975

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Cecilia Dentice d'Accadia, Il razionalismo religioso di E. Kant, Laterza, Bari 1920.
  • P. Martinetti, Ragione e fede, Einaudi, Einaudi, Torino, 1942.
  • G.L. Bruch, La philosophie religeuse de Kant. Aubier, Parigi, 1968.
  • A. Lamacchia, La filosofia della religione di Kant ("Dal dogmatismo teologico al teismo morale 1755-1783"), Lacaita, Bari 1969.
  • I. Mancini, Kant e la teologia, Cittadella, Urbino, 1975.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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