Lungo XIX secolo

La locuzione di natura storica lungo XIX secolo o lungo Ottocento (in lingua inglese Long 19th Century) fu coniata dallo storico britannico di formazione marxista Eric Hobsbawm. Lo studioso, nell'omonimo saggio, indica il XIX secolo (l'Ottocento, 1801-1900) come un secolo che si è esteso - almeno sul piano della storiografia - tra l'anno 1789 e l'anno 1914. Il saggio sul XIX secolo è stato seguito dal noto Secolo breve (1914-1991), nel quale contrappone ad un lungo Ottocento un breve Novecento (in lingua inglese Short 20th Century).

Spartiacque di questo periodo sono stati la rivoluzione francese, che portò in Europa la costituzione di una forma di governo repubblicano, e l'inizio della prima guerra mondiale che, sotto molti aspetti, segnò la fine di un'era per aprirne una nuova. Durante il primo conflitto mondiale molti degli accordi politici internazionali, allora in essere su scala planetaria, vennero sospesi, fino a disegnare - al termine del conflitto - uno scenario completamente nuovo all'interno di un secolo, il XX, che si sarebbe rivelato tanto breve quanto denso di mutamenti, sia sul piano politico e sociale sia su quello economico e delle scoperte scientifiche.

Hobsbawm ha sviluppato le proprie teorie sul Lungo Ottocento[1] in una trilogia di libri:

  • The Age of Revolution: Europe 1789-1848, Abacus, 1962
    • trad. italiana Le rivoluzioni borghesi. 1789-1848, trad. Orazio Nicotra, Collana Il portolano n.5, Il Saggiatore, I ed. 1963; Collana Le vie della civiltà n.1, Il Saggiatore, 1971-1976 Laterza, 1991; col titolo L'Età della Rivoluzione, 1789-1848, Collana Storica, Rizzoli, 1999
  • The Age of Capital: Europe 1848-1875, Weidenfeld & Nicolson, 1975
  • The Age of Empire: Europe 1875-1914, Weidenfeld & Nicolson, 1987

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Eric Hobsbawm, Il secolo breve, traduzione di Brunello Lotti, 10ª ed., Milano, Rizzoli, 2006, p. 18, ISBN 978-88-17-33393-1.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

  • Il Secolo breve, dato alle stampe nel 1994, costituisce il sequel conclusivo di questa possente panoramica sulla modernità
  • Eric Hobsbawm, che ha coniato questa locuzione