Palazzo Reale (Corteolona)

Il palazzo reale di Corteolona fu la residenza estiva della corte longobarda prima e dei re e imperatori del regno d’Italia fino alla metà del X secolo, quando l’imperatrice Adelaide di Borgogna donò il complesso al monastero del Santissimo Salvatore di Pavia.

Palazzo Reale
La chiesa di Sant'Anastasio
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Divisione 1Lombardia
LocalitàCorteolona
IndirizzoVia Castellaro
Coordinate45°09′17″N 9°22′14″E / 45.154722°N 9.370556°E45.154722; 9.370556
Informazioni generali
CondizioniIn uso
CostruzioneVIII- X secolo
UsoAgricolo

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Monastero di Santa Cristina.

Il palazzo fu fatto realizzare da re Liutprando a partire dal 729 nel luogo in cui forse il padre Ansprando aveva già fatto realizzare un precedente edificio[1][2]. Corteolona si trova a nord della confluenza dell'Olona nel Po, a circa 18 chilometri dal Palazzo Reale di Pavia, su di un terrazzo fluviale modellato dagli avvallamenti scavati dai due fiumi. Il complesso era dotato di terme, poi fatte trasformare dal sovrano (dopo il suo ritorno da Roma) in chiesa, dedicata a Sant’Anastasio (alla quale fu poi aggiunto un monastero), come testimoniato da Paolo Diacono e, soprattutto, da due epigrafi (ora scomparse, ma delle quali si è conservato il testo[3]), che ci forniscono descrizioni degli ambienti del palazzo. La chiesa e forse anche altri ambienti del palazzo erano decorati con mosaici e marmi, Liutprando fece infatti giungere direttamente da Roma colonne e marmi pregiati per il complesso. Il palazzo continuò a essere utilizzato da re imperatori anche dopo la caduta del regno longobardo[2]. Nell’825, l’imperatore Lotario qui emanò il capitolare Olonense, con il quale vennero riorganizzate su base territoriale le scuole del regno e, per la prima volta in Occidente, la scuola venne organizzata dall’autorità statale, dato che le scuole ecclesiastiche, per incuria e disinteresse di alcuni vescovi, stavano attraversando una fase di decadenza[4]. Dal momento della conquista franca alla fine del IX secolo si ha notizia di almeno due assemblee generali del regno (riunioni durante le quali erano convocati i grandi funzionari e i più importanti ecclesiastici –marchesi, conti, vescovi, abati –accompagnati dal loro seguito, per leggere il re, decidere campagne militari o per fornire il loro consiglio nella formulazione delle leggi) tenute nel palazzo di Corteolona[5].

Frammento di pluteo con testa di agnello, Pavia, musei Civici
Due colonne di età romana: la prima in marmo proconnesio e l'altra in granito rosso egiziano entrambe provenienti dal sito del palazzo, Pavia, musei Civici

Intorno al 900 Berengario I fece fortificare il palazzo con mura, torri e un fossato[6] e alla metà del sec. X, l’imperatore Lotario II lasciò il palazzo in dote alla moglie Adelaide. Morto il sovrano, Berengario II e Adalberto tentarono di bloccare la cessione, ma l'azione di Ottone I fermò questa mossa. Infine Adelaide lasciò Corteolona (insieme al monastero di Sant’Anastasio e al palazzo reale) al monastero del Santissimo Salvatore di Pavia[7]. Il complesso del palazzo, ora inserito all’interno della cascina Castellaro, fu individuato solo intorno al 1889, ma non è stato ancora sottoposto a indagini archeologiche[8]. Pur in assenza di scavi, l’area della cascina ha restituito alcune colonne di marmo e granito rosso di età romana e un frammento di pluteo in marmo con testa di agnello in atto di abbeverarsi a un càntharos, opera che rappresenta una delle più alte testimonianze della scultura longobarda nel periodo di massima fioritura dell'arte longobarda: la “rinascenza liutprandea[9]. Tali reperti furono donati nel 1912 dai proprietari della cascina ai Musei Civici di Pavia. Sempre provenienti dal palazzo sono anche quattro colonnine (datate alla metà dell’VIII secolo[10]), con capitelli di raffinata fattura, reimpiegate in una bifora nell’ex monastero di Santa Cristina e Bissone. Alla interno della cascina si conserva la chiesa di Sant’Anastasio, anche se l’attuale edificio sembrerebbe frutto di ricostruzioni databili al XIV e al XV secolo[11] (come la presenza di porte e finestre in cotto con arco ogivale sembrerebbe testimoniare), tuttavia anche la cappella non è stata ancora oggetto di indagini.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Castello - Cascina Castellaro, su comune.corteolonaegenzone.pv.it.
  2. ^ a b LIUTPRANDO, su treccani.it.
  3. ^ Resenting Iconoclasm. Its Early Reception in Italy through an Inscription from Corteolona, su academia.edu.
  4. ^ Istruzione e educazione nel Medioevo, su rm.univr.it. URL consultato il 18 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 12 maggio 2021).
  5. ^ CASCINA o CASTELLO CASTELLARA a CORTEOLONA, su paviaedintorni.it.
  6. ^ NEWS: ANCORA TUTTA DA SCOPRIRE A CORTEOLONA (PV) LA R..., su antikitera.net. URL consultato il 18 maggio 2021.
  7. ^ CORTEOLONA, su treccani.it.
  8. ^ Il tesoro archeologico di Corteolona, su La Provincia Pavese, 23 marzo 2011. URL consultato il 18 maggio 2021.
  9. ^ (EN) Saverio Lomartire, Commacini e "marmorarii". Temi e tecniche della scultura nella Langobardia maior tra VII e VIII secolo. URL consultato il 28 maggio 2021.
  10. ^ Pavia, su treccani.it.
  11. ^ Castello di Teodolinda Corteolona (PV), su lombardiabeniculturali.it.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Musei Civici di Pavia. Pavia longobarda e capitale di regno. Secoli VI- X, a cura di Saverio Lomartire, Davide Tolomelli, Skira, Milano, 2017.
  • Piero Majocchi, Pavia città regia. Storia e memoria di una capitale altomedievale, Roma, Viella, 2008.
  • Aldo A. Settia, Pavia carolingia e postcarolingia, in Storia di Pavia, II, L'alto medioevo, Milano, Banca del Monte di Lombardia, 1987.
  • Caterina Calderini, Il palazzo di Liutprando a Corteolona, in “Contributi dell’Istituto di Archeologia”, V (1975), 1.
  • Alessandro Riccardi, Le vicende, l’area, gli avanzi del Regium Palatium e della cappella e del monastero di Sant’Anastasio dei re longobardi e carolingi e re d’Italia nella corte regia ed imperiale di Corte Olona, Milano, Tipografia Della Perseveranza, 1889.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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