Paolo Borsellino

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«Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo.»

Paolo Borsellino nel 1992

Paolo Emanuele Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940Palermo, 19 luglio 1992) è stato un magistrato italiano, vittima di Cosa nostra nella strage di via D'Amelio assieme ai cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio[2]), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Assieme ai colleghi ed amici Rocco Chinnici, Antonino Caponnetto e Giovanni Falcone, Borsellino è considerato una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Origini[modifica | modifica wikitesto]

L'insegna della casa in cui è nato Paolo Borsellino.
Borsellino durante la Prima comunione, tra il 1947 e il 1951.
Paolo Borsellino con la famiglia.

Figlio di Diego Borsellino (1910-1962)[3][4] e di Maria Pia Lepanto (1909-1997)[5][6], Paolo Emanuele Borsellino nacque a Palermo il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare della Kalsa, dove, durante le tante partite a calcio nel quartiere, conobbe Giovanni Falcone, più grande di lui di otto mesi, con il quale instaurò un'amicizia mai incrinatasi. Figlio secondogenito, la famiglia era completata dalla sorella maggiore Adele (1938-2011)[7], dal fratello minore Salvatore (1942) e dall'ultimogenita Rita (1945-2018). Portava lo stesso nome del nonno paterno, originario di Castrofilippo, in provincia di Agrigento.[3][8]

Dopo aver frequentato le scuole dell'obbligo Paolo si iscrisse al liceo classico "Giovanni Meli" di Palermo. Durante gli anni del liceo diventò direttore del giornale studentesco "Agorà". L'11 settembre 1958 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Palermo con numero di matricola 2301[9]. Dopo una rissa tra studenti simpatizzanti di destra e di sinistra, finì erroneamente in tribunale dinanzi al magistrato Cesare Terranova, cui dichiarò la propria estraneità all'accaduto. Il giudice sentenziò che Borsellino non fosse implicato nell'episodio. Proveniente da una famiglia con simpatie politiche di destra nel 1959 si iscrisse al Fronte Universitario d'Azione Nazionale, organizzazione degli universitari missini, di cui divenne membro dell'esecutivo provinciale e fu eletto come rappresentante studentesco nella lista del FUAN "Fanalino" di Palermo[10]. Il 27 giugno 1962, all'età di ventidue anni, Borsellino si laureò con 110 e lode con una tesi su "Il fine dell'azione delittuosa" con relatore il professor Giovanni Musotto.[11] Pochi giorni dopo, a causa di una malattia, suo padre morì all'età di cinquantadue anni. Borsellino si impegnò, allora, con l'ordine dei farmacisti a mantenere attiva la farmacia del padre fino al raggiungimento della laurea in farmacia della sorella Rita. Durante questo periodo la farmacia fu data in gestione per un affitto di 120.000 lire al mese[12] e la famiglia Borsellino fu costretta a gravi rinunce e sacrifici. A Paolo fu concesso l'esonero dal servizio militare di leva poiché egli risultava "unico sostentamento della famiglia".

Nel 1967 Rita si laureò in farmacia e il primo stipendio da magistrato di Paolo servì a pagare la tassa governativa. Il 23 dicembre 1968 sposò Agnese Piraino Leto (1942-2013)[13][14], figlia di Angelo Piraino Leto (1909-1994)[15], a quel tempo magistrato, presidente del tribunale di Palermo. Dalla moglie Agnese ebbe tre figli: Lucia (1969), Manfredi (1971) oggi vice-questore della Polizia di Stato e Fiammetta (1973).[16] Diceva sempre di essere un monarchico in politica.[17]

L'ingresso nella magistratura[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1963 Borsellino partecipò a un concorso per entrare nella magistratura italiana; classificatosi venticinquesimo sui 171 posti messi a bando[18], con il voto di 57, divenne il più giovane magistrato d'Italia.[19] Incominciò quindi il tirocinio come uditore giudiziario e lo terminò il 14 settembre 1965 quando venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile.[20] Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme a Emanuele Basile, capitano dell'Arma dei Carabinieri.

Nel 1975 Borsellino venne trasferito presso l'Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo[21]. Nel 1980 continuò l'indagine sui rapporti tra i mafiosi di Altofonte e Corso dei Mille cominciata dal commissario Boris Giuliano (ucciso nel luglio del 1979), lavorando sempre insieme con il capitano Basile[22][23][24]. Intanto tra Borsellino e Rocco Chinnici, nuovo capo dell'Ufficio istruzione, si stabilì un rapporto, più tardi descritto dalla sorella Rita Borsellino e da Caterina Chinnici, figlia del capo dell'Ufficio, come di "adozione" non soltanto professionale. La vicinanza che si stabilì fra i due uomini e le rispettive famiglie fu intensa e fu al giovane Paolo che Chinnici affidò la figlia, che abbracciava anch'essa quella carriera, in una sorta di tirocinio[25].

Il 4 maggio 1980 il capitano Basile venne assassinato da Cosa Nostra e fu decisa l'assegnazione di una scorta alla famiglia Borsellino. Il giudice Borsellino si occupò quindi delle indagini sull'omicidio del capitano Basile, che durarono circa un anno e si conclusero con il rinvio a giudizio dei tre mafiosi Vincenzo Puccio, Armando Bonanno e Giuseppe Madonia come esecutori materiali; nonostante le prove schiaccianti che li incastravano, il giudice che li doveva processare rinviò tutti gli atti indietro a Borsellino, disponendo una nuova perizia che mancava, e nel nuovo processo che si aprì i tre furono assolti per insufficienza di prove per poi darsi alla latitanza[26][22]. Il tortuoso iter processuale si concluse soltanto nel 1992, quando si giunse finalmente alla condanna definitiva dei mandanti dell'omicidio Basile e dell'unico esecutore rimasto in vita[27].

L'esperienza del "pool antimafia"[modifica | modifica wikitesto]

Borsellino insieme a Giovanni Falcone e Antonino Caponnetto nell'ottobre 1986.
Lo stesso argomento in dettaglio: Pool antimafia.

Chinnici istituì presso l'Ufficio istruzione un "pool antimafia", ossia un gruppo di giudici istruttori che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso e, lavorando in gruppo, essi avrebbero avuto una visione più chiara e completa del fenomeno mafioso e, di conseguenza, la possibilità di combatterlo più efficacemente. Diminuiva inoltre il rischio che venissero assassinati da Cosa Nostra con lo scopo di riseppellire i segreti scoperti. Chinnici chiamò Borsellino a far parte del pool insieme con Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Il 29 luglio 1983 Chinnici rimase ucciso nell'esplosione di un'autobomba insieme a due agenti di scorta e al portiere del suo condominio. Pochi mesi dopo giunse a Palermo da Firenze il giudice Antonino Caponnetto nominato al suo posto[22].

Nel racconto che ne fece lo stesso Borsellino, il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, e separatamente, senza che avvenisse scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue, cosa che avrebbe potuto consentire una maggiore efficacia nell'esercizio dell'azione penale il cui coordinamento avrebbe consentito di fronteggiare meglio il fenomeno mafioso nella sua globalità.[25] Uno dei primi esempi concreti del coordinamento operativo fu la collaborazione fra Borsellino e Di Lello, che Caponnetto aveva voluto e richiesto in squadra: Di Lello prendeva giornalmente a prestito la documentazione che Borsellino produceva e gliela rendeva la mattina successiva, dopo averla studiata come fossero "quasi delle dispense sulla lotta alla mafia". Del resto era proprio la formazione di una conoscenza condivisa uno degli effetti, ma prima ancora uno degli scopi, della costituzione del pool: come ebbe a dire Guarnotta, "si andava ad esplorare un mondo che sinora era sconosciuto per noi in quella che era veramente la sua essenza"[25]. Le indagini del pool si basarono soprattutto su accertamenti bancari e patrimoniali, vecchi rapporti di polizia e carabinieri ma anche su nuovi procedimenti penali (come ad esempio quello originato dal cosiddetto "Rapporto dei 162" che si focalizzava sulle cosche mafiose "vincenti" guidate da Michele Greco e Totò Riina), che consentirono di raccogliere un abbondante materiale probatorio[28]; Borsellino continuò intanto a seguire le indagini sui mafiosi di Corso dei Mille e, per questo motivo, interrogò il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinagra, il quale rivelò le "gesta" sanguinarie di quella spietata cosca[22]. Nello stesso periodo Falcone incominciò a raccogliere le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, la cui attendibilità venne confermata dalle indagini del pool: il 29 settembre 1984 le dichiarazioni di Buscetta produssero 366 ordini di cattura mentre il mese successivo quelle di Contorno altri 127 mandati di cattura, nonché arresti eseguiti tra Palermo, Roma, Bari e Bologna[29].

Il periodo all'Asinara e il maxiprocesso di Palermo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Maxiprocesso di Palermo.

Per ragioni di sicurezza, nell'estate 1985 Falcone e Borsellino furono trasferiti insieme con le loro famiglie nella foresteria del carcere dell'Asinara per scrivere l'ordinanza-sentenza di 8000 pagine che rinviava a giudizio 475 indagati in base alle indagini del pool.[31][22] Per tale periodo, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria italiana richiese poi ai due magistrati un rimborso spese e un indennizzo per il soggiorno trascorso.[32] Intanto il maxiprocesso di Palermo che scaturì dagli sforzi del pool cominciò in primo grado il 10 febbraio 1986, presso un'aula bunker appositamente costruita all'interno del carcere dell'Ucciardone a Palermo per accogliere i numerosi imputati e numerosi avvocati[33], concludendosi il 16 dicembre 1987 con 342 condanne, tra cui 19 ergastoli[34][22].

La casa in cui Falcone, Borsellino e le loro famiglie vissero durante il soggiorno all'Asinara.

La nomina a procuratore a Marsala, i "pentiti" e le polemiche[modifica | modifica wikitesto]

Il 19 dicembre 1986 Borsellino chiese e ottenne di essere nominato Procuratore della Repubblica a Marsala. La nomina superava il limite ordinariamente vigente del possesso di alcuni requisiti principalmente relativi all'anzianità di servizio[35].

Secondo il collega Giacomo Conte[36] la scelta di decentrarsi e di assumere un ruolo autonomo rispondeva a una sua intuizione per la quale l'accentramento delle indagini istruttorie sotto la guida di una sola persona esponeva non solo al rischio di una disorganicità complessiva dell'azione contro la mafia, ma anche a quello di poter facilmente soffocare questa azione colpendo il magistrato che ne teneva le fila; questa collocazione, "solo apparentemente periferica", fu secondo questo autore esempio della proficuità di questa collaborazione a distanza.

Di parere difforme fu Leonardo Sciascia, scrittore siciliano, il quale in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 10 gennaio del 1987, si scagliò contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che "nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso", a conclusione di un'esposizione principiata con due autocitazioni[37]. Si tratta della nota polemica sui cosiddetti "professionisti dell'antimafia". Borsellino commentò (o lo citò) solo dopo la morte di Falcone, parlando il 25 giugno 1992 a un dibattito, organizzato da La Rete e da MicroMega, sullo stato della lotta alla mafia dopo la Strage di Capaci: "Tutto incominciò con quell'articolo sui professionisti dell'antimafia"[38][39].

In seguito a due puntate della trasmissione Rai di Corrado Augias Telefono giallo trasmesso su Rai 3, durante il suo periodo a Marsala si occupò anche del caso della Strage di Ustica, e del caso del triplice rapimento e omicidio di tre bambine avvenuto nel 1971 a Marsala, noto con il nome di Mostro di Marsala, che riapri nel 1989, casi trattati tutte e due dalla trasmissione del giornalista Augias.

«Il vero obiettivo del CSM era eliminare al più presto Giovanni Falcone»

«Quando Giovanni Falcone solo, per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il Consiglio superiore della magistratura, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli.»

Nell'estate 1991 Borsellino fu al centro di una polemica con il sostituto procuratore di Trapani Francesco Taurisano a seguito della pubblicazione sulla stampa nazionale dei verbali d'interrogatorio dei collaboratori di giustizia Rosario Spatola e Giacoma Filippello sui legami della mafia con noti esponenti politici (gli onorevoli Calogero Mannino e Aristide Gunnella, il senatore Pietro Pizzo, l'ex presidente della Regione Rino Nicolosi); Borsellino, il quale aveva interrogato l'anno precedente i due collaboratori che gli consentirono di spiccare decine di arresti tra Campobello di Mazara e Marsala[40] (che sfociarono nel procedimento penale denominato "Alfano Nicolò + 15", il primo processo per reati di mafia celebrato in provincia di Trapani[41]), si disse all'oscuro di tali nuove rivelazioni poiché non era stato informato da Taurisano e, di conseguenza, chiese immediatamente la trasmissione degli atti perché di sua competenza[42]; infine, a seguito del passaggio alla Procura di Marsala e a quella di Sciacca per motivi di competenza territoriale, l'inchiesta sui politici venne archiviata poiché Spatola venne considerato inattendibile[43][44][45]. Borsellino venne allora accusato da più parti di essere un "insabbiatore" o uno "scippatore di inchieste altrui", accuse di cui si disse amareggiato[46], e il caso finì addirittura davanti al CSM[47], dove il magistrato si difese affermando che, quando interrogò Spatola, parlò soltanto di traffici di droga ma mai di uomini politici[48].

«Quando il pentito parla dei politici, non parla del suo mondo, non ha questa familiarità con i luoghi e le persone. Quando un politico è colluso con la mafia, non è colluso pubblicamente, osserva delle cautele, non chiacchiera con il mafioso, non passeggia con lui, coltiva con il mafioso solo rapporti sporadici, cautamente mediati da terze e quarte persone. Il pentito ha allora la difficoltà del riscontro da offrire al giudice (...) Si è finito per attribuire un'importanza dirompente a dichiarazioni che comunque provenivano da due piccoli pentiti. Né Spatola né Filippello sono stati in contatto con grossi nomi dell'organizzazione mafiosa. I quali, se pentiti, sì avrebbero creato una grande attesa di credibilità. Con questo, evidentemente, non intendo anticipare un giudizio di attendibilità sul testimone. La credibilità di ordine generale di un collaboratore è un presupposto dell'acquisizione probatoria. Il pentito è credibile solo se "riscontrato". Prima era un'opinione giurisprudenziale non comune a tutti i giudici. Oggi è norma di legge. Se non ci sono elementi di prova, la confessione del pentito non vale nulla. Non c'è più spazio per la discrezionalità del giudice. Si può non essere d'accordo, ma è la legge e io sono un giudice»

Nel novembre 1991 Borsellino, insieme ai suoi sostituti procuratori Massimo Russo e Alessandra Camassa, iniziò a raccogliere le dichiarazioni di Piera Aiello e della cognata Rita Atria, di soli diciassette anni, rispettivamente moglie e sorella di un mafioso partannese assassinato nel corso di una faida, che consentirono di arrestare numerosi mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala e di avviare un'indagine sull'onorevole democristiano Vincenzino Culicchia, per trent'anni sindaco di Partanna[22][41][49][50].

La fine del pool e la stagione dei veleni[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1987, mentre il maxiprocesso di Palermo si avviava alla sua conclusione, Antonino Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute e tutti (Borsellino compreso) si attendevano che al suo posto fosse nominato Falcone, ma il Consiglio superiore della magistratura non la vide alla stessa maniera e il 19 gennaio 1988 nominò Antonino Meli; sorse il timore che il pool stesse per essere sciolto.

Paolo Borsellino e Leonardo Sciascia, in occasione conviviale il 25 gennaio 1988, riconciliati dopo la polemica sui "professionisti dell'antimafia".

Borsellino parlò allora in pubblico a più riprese, raccontando quel che stava accadendo alla Procura della Repubblica di Palermo. In particolare, in due interviste rilasciate il 20 luglio 1988 ai giornalisti Attilio Bolzoni de La Repubblica e a Saverio Lodato de L'Unità, riferendosi al CSM, dichiarò tra l'altro espressamente: "si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all'Ufficio", "hanno disfatto il pool antimafia", "hanno tolto a Falcone le grandi inchieste", "la squadra mobile non esiste più", "stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa"[51]. Per queste dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare (fu messo sotto inchiesta)[52]. A seguito di un intervento del Presidente della repubblica Francesco Cossiga, si decise almeno di indagare su ciò che succedeva nel palazzo di giustizia[53].

Il 31 luglio il CSM convocò Borsellino, il quale rinnovò accuse e perplessità. Il 14 settembre Antonino Meli, convocato anche lui dal CSM, respinse le accuse di Borsellino, affermando che, sotto la sua gestione, il pool era stato reso più funzionale ed efficiente[54]; infine la pratica relativa al provvedimento disciplinare fu archiviata.[55] Borsellino riprese a lavorare alacremente a Marsala insieme con giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Cominciava in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porvi a capo, nel frattempo Falcone fu chiamato a Roma per assumere il comando della direzione affari penali e da lì premeva per l'istituzione della Superprocura.

Nel settembre 1990 intervenne alla festa nazionale del Fronte della Gioventù a Siracusa, insieme al parlamentare regionale del MSI Giuseppe Tricoli, e agli allora dirigenti giovanili Gianni Alemanno e Fabio Granata[56].

Gli attentati progettati e il trasferimento a Palermo[modifica | modifica wikitesto]

Nel settembre1991, Cosa nostra aveva già abbozzato progetti per l'uccisione di Borsellino. A rivelarlo fu il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, mafioso di Castelvetrano il quale affermava che il suo capo Antonio Vaccarino (ex sindaco democristiano del paese) gli avrebbe detto di tenersi pronto per l'esecuzione, che si sarebbe dovuta effettuare mediante un fucile di precisione o con un'autobomba[57]. Tuttavia Calcara fu arrestato il 5 novembre e la sua situazione in carcere si fece assai pericolosa poiché, secondo quanto da lui stesso indicato, aveva in precedenza intrecciato una relazione con la figlia di uno dei capi di Cosa nostra, uno sbilanciamento del tutto contrario alle "regole" mafiose e sufficiente a costargli la vita; se da latitante poteva ancora essere utilizzato per "lavori sporchi", da carcerato invece gli restava solo la condanna a morte emessa dall'organizzazione. Prima che finisse il periodo di isolamento, Calcara decise di diventare collaboratore di giustizia e si incontrò proprio con Borsellino, al quale, una volta rivelatogli il piano e l'incarico, disse: "lei deve sapere che io ero ben felice di ammazzarla". Dopo di ciò, raccontò sempre il pentito, gli chiese di poterlo abbracciare e Borsellino avrebbe commentato: "nella mia vita tutto potevo immaginare, tranne che un uomo d'onore mi abbracciasse"[58]. Tuttavia Calcara verrà successivamente smentito dai collaboratori di giustizia Giovanni Brusca e Antonio Patti, i quali affermeranno che l'attentato a Borsellino venne in realtà affidato a Vito Mazzara, «capo famiglia» di Valderice ed abile tiratore, ma non se ne fece più nulla perché il progetto incontrò l'opposizione dei boss mafiosi di Marsala Vincenzo D'Amico e Francesco Craparotta, che vennero poi uccisi su ordine di Totò Riina per tale diniego[41][59][60].

Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e nel marzo 1992 vi ritornò come procuratore aggiunto[21], dove chiamò il sostituto procuratore Antonio Ingroia.

Appena arrivato alla Procura di Palermo, Borsellino concluse le indagini derivate dalle dichiarazioni di Calcara, che condussero a 43 ordini di cattura contro i mafiosi di Castelvetrano e i loro fiancheggiatori, fra cui l'ex sindaco Antonio Vaccarino (indicato da Calcara a capo della cosca) e l’impiegato in pensione della Cassazione Giuseppe Schiavone, incaricato di "aggiustare" i processi[61]: il procedimento penale che ne seguì, denominato "Alagna Antonino + 30", si concluderà in primo grado nel 1995 con pesanti condanne[62].

Elezione del Presidente della Repubblica e Capaci[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di Capaci.

Il pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso dell'XI scrutinio delle elezioni del Presidente della Repubblica Italiana del 1992, l'allora segretario del MSI Gianfranco Fini diede indicazione ai suoi parlamentari di votare per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica, che ottenne in quello scrutinio 47 preferenze[63]. Al sedicesimo scrutinio (avvenuto dopo la strage di Capaci) fu eletto Oscar Luigi Scalfaro.

Il 23 maggio 1992, in un attentato dinamitardo sull'autostrada A29 all'altezza di Capaci, persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Falcone morì fra le sue braccia in ospedale, senza però riprendere conoscenza.[64] Dichiarò, citando Ninni Cassarà:

«Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo.
Mi disse: "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano"

Le dichiarazioni sul ruolo della politica[modifica | modifica wikitesto]

«L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati.»

Borsellino rilasciò interviste e partecipò a numerosi convegni per denunciare l'isolamento dei giudici e l'incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. In una di queste Borsellino descrisse le ragioni che avevano portato all'omicidio del giudice Rosario Livatino e prefigurò la fine (che poi egli stesso fece) che ogni giudice "sovraesposto" è destinato a fare.[65]

La penultima intervista[modifica | modifica wikitesto]

Il 21 maggio 1992, due giorni prima della strage di Capaci e poco meno di due mesi prima di essere ucciso, Paolo Borsellino rilasciò un'intervista ai giornalisti di Canal+ Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi.[66]

Il giornalista Fabrizio Calvi mentre intervista Paolo Borsellino il 21 maggio 1992, due giorni prima della strage di Capaci.

«All'inizio degli anni settanta, Cosa Nostra cominciò a diventare un'impresa anch'essa. Un'impresa nel senso che attraverso l'inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all'estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali; contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all'industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo da poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso»

In questa sua penultima intervista Paolo Borsellino parlò anche dei legami tra cosa nostra e l'ambiente industriale milanese e del Nord Italia in generale, facendo riferimento, tra le altre cose, a indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri. Alla domanda se Mangano fosse un "pesce pilota" della mafia al Nord, Borsellino rispose che egli era sicuramente una testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia. Sui rapporti con Silvio Berlusconi invece, benché esplicitamente sollecitato dall'intervistatore, si astenne da qualsiasi giudizio, poiché coperto dal segreto istruttorio.

C'era chi non aveva interesse che questa intervista venisse diffusa e diventasse popolare in Italia, tanto che viene anche indicata come "L'intervista nascosta"[67], la quale venne acquisita eccezionalmente nel 2000 da Rai News 24, dopo un fortunoso ritrovamento del nastro da parte della famiglia Borsellino, e fu proposta per essere trasmessa in vari programmi e telegiornali Rai di prima e seconda serata, incontrando però la ritrosia dei vari conduttori che non vollero trasmetterla (fu poi trasmessa solo sul canale satellitare Rai News 24 il 19 settembre 2000 alle ore 23).

Gli ultimi 57 giorni[modifica | modifica wikitesto]

I 57 giorni che separarono la strage di Capaci da quella di via d'Amelio furono i più difficili per Borsellino, il quale, duramente colpito dalla morte del collega e amico e nonostante fosse consapevole di essere il prossimo obiettivo della vendetta di Cosa Nostra, continuò a lavorare con frenetica intensità, ostacolato però dal capo della Procura palermitana Pietro Giammanco[68][22][69], il quale addirittura gli nascose il contenuto di un'informativa del ROS dei Carabinieri che segnalava il pericolo di un imminente attentato nei suoi confronti, circostanza che Borsellino apprese solo casualmente durante una conversazione con l'allora Ministro della Difesa Salvo Andò[70]: infatti in base ad alcune dichiarazioni rilasciate nei vari processi dal colonnello dell'Arma dei Carabinieri Umberto Sinico, sentito come testimone, si può stabilire che Borsellino non solo era a conoscenza di essere nel mirino di cosa nostra, ma che preferiva che non si stringesse troppo la protezione attorno a sé, così da evitare che l'organizzazione scegliesse come bersaglio qualcuno della sua famiglia.[71]

Il 29 maggio 1992, nel corso della presentazione del libro "Gli uomini del disonore" di Pino Arlacchi alla presenza dei ministri dell'Interno e della Giustizia, Vincenzo Scotti e Claudio Martelli, nonché del capo della polizia Vincenzo Parisi, dal pubblico fu chiesto a Borsellino se intendesse candidarsi alla successione di Falcone alla "Superprocura"; alla sua risposta negativa Scotti intervenne annunciando di aver concordato con Martelli di chiedere al CSM di riaprire il concorso e invitandolo formalmente a candidarsi. Borsellino non rispose a parole, sebbene il suo biografo Lucentini abbia così descritto la sua reazione: "dal suo viso trapela una indignazione senza confini"[72]. Rispose al ministro per iscritto, giorni dopo: "La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento"[73].

Il 25 giugno Borsellino tenne il suo ultimo discorso nell'atrio della biblioteca di Casa Professa nel corso di un dibattito organizzato dalla rivista “Micromega" durante il quale venne interrotto due volte da lunghi applausi[74][75][22]:

«Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché non si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto d’amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria cui essa appartiene. […] Per lui la lotta alla mafia non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolgesse tutti specialmente le giovani generazioni […], le più adatte a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità. Ricordo la felicità di Falcone […] quando in un breve periodo d’entusiasmo, conseguente ai dirompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta, egli mi disse: "La gente fa il tifo per noi"»

Alla fine di giugno, Gaspare Mutolo, mafioso di Partanna-Mondello legato a Totò Riina, manifestò la volontà di collaborare con la giustizia ma volle parlare solo con Borsellino perché soltanto di lui si fidava; tuttavia il giudice si trovava in Germania per interrogare il nuovo collaboratore di giustizia Gioacchino Schembri (uno stiddaro di Palma di Montechiaro che conosceva molti retroscena dell'omicidio del giudice Rosario Livatino[76]) e il procuratore Giammanco decise di tagliarlo fuori affidando il fascicolo su Mutolo al procuratore aggiunto Vittorio Aliquò e ai sostituti procuratori Guido Lo Forte e Gioacchino Natoli per poi fare marcia indietro e consentire a Borsellino di partecipare agli interrogatori insieme agli altri tre magistrati designati[77][22]. Il sostituto procuratore Lo Forte testimoniò in seguito: "Paolo mostrò un certo disappunto per non essere stato investito formalmente delle indagini relative a Mutolo, tanto che con una battuta ci disse che era inutile che lui partecipasse agli interrogatori"[78]. Il primo interrogatorio di Mutolo si svolse il 1º luglio cui seguirono quelli del 16 e 17 luglio, cui Borsellino fu sempre presente: durante le pause degli interrogatori, il giudice si appartò a parlare con Mutolo che gli avrebbe confessato una collusione con la mafia del suo collega Domenico Signorino (PM al maxiprocesso) e dell'ex commissario di polizia e numero due del SISDE Bruno Contrada[78][79].

Sempre il 1º luglio Borsellino aveva un appuntamento al Viminale con l'onorevole Nicola Mancino, che in quel giorno assumeva la carica di Ministro dell'Interno: così è segnato nell'agenda grigia del magistrato[80] e così è confermato dalla ricostruzione della giornata di Rita Borsellino, secondo la quale vi si sarebbe recato in seguito ad una telefonata del ministro. Mutolo al riguardo racconta che Borsellino gli disse «mi ha telefonato il ministro, manco due ore e poi torno» e poi racconta però «[Borsellino] molto preoccupato e serio, mi fa che viceversa del ministro, si è incontrato con il dottor Parisi [l'allora capo della Polizia] e il dottor Contrada». Tuttavia l'allora procuratore aggiunto Vittorio Aliquò raccontò che quel giorno accompagnò Borsellino sulla soglia della stanza del neo-ministro, lo vide entrare, lo vide uscire poco dopo e quindi entrò a sua volta, ma da solo, non ricordando di aver incontrato Bruno Contrada ed escludendo che Borsellino gliene abbia parlato[81]. Mancino interpellato sulla vicenda ha sostenuto «Non ho precisa memoria di tale circostanza, anche se non posso escluderla, era il giorno del mio insediamento, mi vennero presentati numerosi funzionari e direttori generali. Non escludo che tra le persone che possono essermi state presentate ci fosse anche il dottor Borsellino. Con lui però non ho avuto alcuno specifico colloquio e perciò non posso ricordare in modo sicuro la circostanza» e inoltre nega di averlo convocato.[82]

Il giorno precedente, Borsellino e Aliquò si erano recati presso gli uffici romani del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato per interrogare un altro nuovo collaboratore di giustizia, Leonardo Messina (ex mafioso del nisseno e uomo di fiducia del boss Giuseppe "Piddu" Madonia), che tornarono a sentire sempre nella giornata del 1º luglio e poi il 17[83]: nei suoi interrogatori, Messina spiegò a Borsellino dettagliatamente come funzionava la spartizione degli appalti pubblici e privati tra Cosa Nostra e i politici e rese la clamorosa rivelazione che la Calcestruzzi S.p.A. (all'epoca di proprietà del gruppo Ferruzzi-Gardini, uno dei principali gruppi industriali italiani) fosse "nelle mani di Totò Riina"[84].

Il 25 giugno Borsellino aveva avuto un incontro riservato con il colonnello Mario Mori e l'allora capitano Giuseppe De Donno presso la caserma "Carini", lontano dalla Procura: secondo quanto dichiarato da Mori e De Donno ai magistrati, Borsellino si limitò a parlare con loro del dossier soprannominato "Mafia e Appalti" trasmesso dal ROS alla Procura di Palermo di cui il giudice s'interessava nonostante non avesse ricevuto la delega d'indagine[84]. Secondo i giudici che conducono l'inchiesta "Trattativa Stato-mafia", Borsellino in realtà era informato della negoziazione che Mori e De Donno stavano conducendo con l'ex sindaco Vito Ciancimino per arrivare alla cattura di latitanti e tale colloquio riservato era finalizzato a parlare di quei fatti.[85]

Per quanto riguarda le indagini sulla strage di Capaci, il procuratore capo uscente di Caltanissetta Salvatore Celesti non prendeva iniziative e aspettava l’insediamento del suo successore Giovanni Tinebra: Borsellino, consapevole del rischio di impasse investigativa, affermò di essere pronto a trasferirsi subito a Caltanissetta per fornire il proprio contributo all’inchiesta sulla strage ma il CSM gli fece sapere che non era opportuno per lui, amico fraterno di Falcone, assumere ufficialmente un incarico inquirente nell’indagine. Borsellino chiese però più volte di essere sentito dalla Procura di Caltanissetta per chiarire aspetti importanti ma ciò non avvenne mai, nemmeno quando Tinebra s'insediò al posto di Celesti il 15 luglio[86]; uno dei più stretti collaboratori del giudice, il maresciallo Carmelo Canale, testimoniò: "Borsellino mi diceva sempre che sulla strage di Falcone era lui che doveva rendere testimonianza perché lui sicuramente avrebbe certamente indirizzato le indagini nella giusta maniera e che lui sapeva tutto, di Falcone sapeva tutto. Centomila volte chiese lui di essere sentito..."[87]. Alcuni giorni prima della strage di via d'Amelio, Borsellino venne contattato da Tinebra per essere sentito il 20 luglio o nei giorni successivi, ma non fece mai in tempo[88].

La strage di via D'Amelio e la morte[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di via D'Amelio.
Via D'Amelio pochi minuti dopo l'attentato a Borsellino del 19 luglio 1992.

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita. Alle 16:58 una Fiat 126 imbottita di tritolo, che era parcheggiata sotto l'abitazione della madre, esplose al passaggio del giudice, uccidendo oltre al cinquantaduenne Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina[89].

L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.[90]

Il 24 luglio circa 10 000 persone parteciparono ai funerali privati di Borsellino (i familiari rifiutarono il rito di Stato: la moglie Agnese, infatti, accusava il governo di non aver saputo proteggere il marito, e volle una cerimonia privata senza la presenza dei politici), celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, disadorna e periferica, dove il giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa. L'orazione funebre fu pronunciata da Antonino Caponnetto, il vecchio giudice che aveva diretto l'ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi». Pochi i politici: il presidente Scalfaro, Francesco Cossiga, Gianfranco Fini, Claudio Martelli. Il funerale è commosso e composto, interrotto solo da qualche applauso. Qualche giorno prima, i funerali dei 5 agenti di scorta si erano svolti nella Cattedrale di Palermo, ma all'arrivo dei rappresentanti dello Stato (compreso il neopresidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro), una folla inferocita sfondò la barriera creata dai 4000 agenti chiamati per mantenere l'ordine, mentre la gente, strattonando e spingendo, gridava: "Fuori la mafia dallo Stato". Il Presidente della Repubblica venne tirato fuori a stento dalla calca, venne spintonato anche il capo della polizia.[91]

La salma è stata tumulata nel Cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo.

Le dichiarazioni e le ultime interviste[modifica | modifica wikitesto]

Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in un'intervista televisiva con Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.

Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto, sconfortato, "È finito tutto", intervistato anni dopo da Gianni Minà ricordò che "Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell'attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l'abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze"[92].

Riguardo alla penultima intervista concessa dal magistrato italiano, nel numero de L'Espresso dell'8 aprile 1994 fu pubblicata una versione più estesa dell'intervista[93].

L'intervista, e i tagli relativi alla sua versione televisiva, furono citati anche dal tribunale di Palermo nella sentenza di condanna di Gaetano Cinà e Marcello Dell'Utri:

«Un riferimento a quelle indagini si rinviene nella intervista rilasciata il 21 maggio 1992 dal Dott. Paolo Borsellino ai giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. In dibattimento il Pubblico Ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale di quella intervista che, nelle precedenti versioni, aveva subìto, invece, evidenti manipolazioni ed era stata trasmessa a diversi anni di distanza dal momento in cui era stata resa, malgrado l'indubbio rilievo di un simile documento.»

Paolo Guzzanti aveva sostenuto che l'intervista trasmessa da Rai News 24 era stata manipolata, i giornalisti della rete gli fecero causa, ma fu assolto. Vi era corrispondenza tra la cassetta ricevuta e il contenuto trasmesso, ma non con il video originale. Alcune risposte erano state tagliate e messe su altre domande. Ad esempio, quando Borsellino parla di "cavalli in albergo" per indicare un traffico di droga, non si riferiva a una telefonata fra Dell'Utri e Mangano come poteva sembrare dalla domanda dell'intervistatore (che faceva riferimento a un'intercettazione dell'inchiesta di San Valentino, che Borsellino aveva seguito solo per poco tempo), ma a una fra Mangano e un mafioso della famiglia Inzerillo.[95]

Nella sentenza Dell'Utri fu poi riportato il brano dell'intervista relativo all'uso del termine "cavalli" per indicare la droga e sulle precedenti condanne di Mangano, in una versione ancora differente rispetto alle due già diffuse, trascritta dal nastro originale. Nella stessa sentenza era poi riportata l'intercettazione della telefonata intercorsa tra Mangano (la cui linea era sotto controllo) e Dell'Utri[96], relativo al blitz di San Valentino, in cui veniva citato un "cavallo", a cui aveva fatto riferimento il giornalista nelle domande dell'intervista a Borsellino.[97]. La sentenza specificava però che:

«Tra le telefonate intercettate (il cui tenore aveva consentito di disvelare i loschi traffici ai quali il Mangano si era dedicato in quegli anni) si inserisce quella del 14 febbraio 1980 intercorsa tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri.
È opportuno chiarire subito che questa conversazione, pur avendo ad oggetto il riferimento a “cavalli”, termine criptico usato dal Mangano nelle conversazioni telefoniche per riferirsi agli stupefacenti che trafficava, non presenta un significato chiaramente afferente ai traffici illeciti nei quali il Mangano era in quel periodo coinvolto e costituisce il solo contatto evidenziato, nel corso di quelle indagini, tra Marcello Dell'Utri e i diversi personaggi all'attenzione degli investigatori.»

La versione della penultima intervista a Borsellino venne mandata in onda da Rai News 24 nel 2000 era di trenta minuti, quella originale era invece di cinquantacinque minuti. La trascrizione dell'intervista integrale è stata pubblicata sul sito web 19luglio1992.org.[98]

Il dibattito sulla "strage di Stato"[modifica | modifica wikitesto]

Via D'Amelio: l'albero che ricorda il luogo dell'uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta.

Diversi autori hanno parlato della strage di via D'Amelio come strage di stato:

«Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo.»

Nell'introduzione del libro L'agenda rossa di Paolo Borsellino Marco Travaglio scrive:

«Oggi, quindici anni dopo, non è cambiato nulla. L'impressione è che, ai piani alti del potere, quelle verità indicibili le conoscano in tanti, ma siano d'accordo nel tenerle coperte da una spessa coltre di omissis. Per sempre. L'agenda rossa è la scatola nera della Seconda Repubblica. Grazie a questo libro cominciamo a capire qualcosa anche noi.»

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, parla esplicitamente di "strage di Stato":

«Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l'assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D'Amelio come una strage di mafia. [...] Hanno messo in galera un po' di persone - tra l'altro condannate per altri motivi e per altre stragi - e in questa maniera ritengono di avere messo una pietra tombale sull'argomento. Devo dire che purtroppo una buona parte dell'opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa - televisione e giornali - è caduta in questa, chiamiamola, “trappola” [...] Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente [...] è che questa è una strage di Stato, nient'altro che una strage di Stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell'opinione pubblica questa verità, una verità tragica perché mina i fondamenti di questa nostra repubblica. Oggi questa nostra Seconda Repubblica è una diretta conseguenza delle stragi del '92»

Il Gip di Caltanissetta, Alessandra Bonaventura Giunta, ritiene che la trattativa Stato-mafia ci sia stata e che Paolo Borsellino fu ucciso perché, secondo il boss Salvatore Riina, ostacolava questa trattativa:[103]

«"deve ritenersi un dato acquisito quello secondo cui a partire dai primi giorni del mese di giugno del 1992 fu avviata la cosiddetta 'trattativa' tra appartenenti alle istituzioni e l'organizzazione criminale Cosa nostra".»

dopo aver interrogato Salvino Madonia, il capomafia che ha partecipato alla riunione di Cosa Nostra nella quale i mafiosi decisero l'avvio della strategia stragista[104].

In occasione della ricorrenza dei venticinque anni dalla strage di via D'Amelio, Fiammetta Borsellino, ultimogenita del magistrato Paolo, in un'intervista dice:

«Ai magistrati in servizio dopo la strage di Capaci rimprovero di non aver sentito mio padre, nonostante avesse detto di voler parlare con loro. Dopo via D'Amelio riconsegnata dal questore La Barbera la borsa di mio padre pur senza l'agenda rossa, non hanno nemmeno disposto l'esame del DNA. Non furono adottate le più elementari procedure sulla scena del crimine. Il dovere di chi investigava era di non alterare i luoghi del delitto. Ma su via D'Amelio passò la mandria di bufali.[105]»

La zia Rita Borsellino ribadisce l'autorevolezza di queste affermazioni dicendo:

«Fiammetta ha l'autorevolezza per dire queste cose, anche perché fino adesso non ha mai detto niente, per cui quello che dice è Vangelo. La ricerca della verità si fa sempre.[105]»

Riconoscimenti e influenza[modifica | modifica wikitesto]

Francobollo commemorativo.

«Io accetto la… ho sempre accettato il… più che il rischio, la… condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli.
Il… la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in… in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me.
E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare… dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro.»

2 euro commemorativi
Lenzuola dedicate a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Alla memoria del magistrato italiano furono intitolate numerose scuole e associazioni, nonché (insieme all'amico e collega) l'aeroporto internazionale "Falcone e Borsellino" (ex "Punta Raisi", Palermo), l'aula principale (aula I) della facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza - Università di Roma e l'aula del consiglio comunale della città di Castellammare di Stabia.

La facoltà universitaria di giurisprudenza dell'Università degli Studi di Brescia intestò una delle sue aule più suggestive di Palazzo dei Mercanti ai giudici Falcone e Borsellino. Dal 2011, l'aula delle udienze della Corte d’Appello di Trento è dedicata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.[106][107]. A Torino il Palazzo di Giustizia si trova tra via Giovanni Falcone e via Paolo Borsellino.

«Un giudice vero fa quello che ha fatto Borsellino, uno che si trova solo occasionalmente a fare quel mestiere e non ha la vocazione può scappare, chiedere un trasferimento se ne ha il tempo e se gli viene concesso. Borsellino, invece, era di un'altra tempra, andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibili.»

La foto di Falcone e Borsellino che tutti conoscono e che è diventata un'icona, stampata su manifesti, magliette, edita nel 1992 nel volume fotografico dal suo autore, che all'epoca nessuno conosceva, Tony Gentile, dalla casa editrice Silvana Editoriale continua ad essere largamente diffusa dopo trent'anni dalla morte dei due magistrati[108].

Nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

Anche il teatro, il cinema la televisione e la letteratura hanno onorato la memoria del magistrato palermitano. Tra i più rilevanti:

Nella musica, il magistrato è ricordato nelle seguenti composizioni originali a lui ispirate:

Nella letteratura e nella poesia, il magistrato è ricordato nei seguenti componimenti e libri:

  • Chiuso per lutto, Gesualdo Bufalino (poesia per Falcone e Borsellino), (1992);
  • Giudice Paolo, una poesia di Marilena Monti per Paolo Borsellino, recitata ogni 19 luglio dalla stessa autrice o dall'attivista Salvatore Borsellino.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Medaglia d'oro al valor civile - nastrino per uniforme ordinaria
«Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, esercitava la propria missione con profondo impegno e grande coraggio, dedicando ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la proterva sfida lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Nonostante le continue e gravi minacce, proseguiva con zelo ed eroica determinazione il suo duro lavoro di investigatore, ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di giustizia e delle Istituzioni.[109]»
— Palermo, 5 agosto 1992

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Nicola Gratteri, Antonio Nicaso, La mafia fa schifo, Mondadori, 2011, ISBN 88-520-2117-5
    Visualizzazione limitata su Google Libri: La mafia fa schifo, su books.google.it, Edizioni Mondadori. URL consultato il 15 febbraio 2019 (archiviato il 15 febbraio 2019).
  2. ^ Pier Giorgio Pinna, Storia di Emanuela morta in divisa a ventiquattro anni, su ricerca.repubblica.it, la Repubblica, 21 luglio 1992. URL consultato il 5 febbraio 2019 (archiviato il 12 giugno 2018).
  3. ^ a b Italia: Ministero dell'educazione nazionale, Bollettino ufficiale, 1935, p. 871.
  4. ^ Il valore di una vita
  5. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia N. 227 del 29 Settembre 1933, su augusto.agid.gov.it. URL consultato il 13 marzo 2020 (archiviato il 15 marzo 2017).
  6. ^ È morta la madre di Borsellino, il giudice ucciso in via D'Amelio, su archiviostorico.corriere.it. URL consultato il 22 agosto 2012 (archiviato il 10 novembre 2012).
  7. ^ Palermo, Paolo Borsellino, su partecipiamo.it. URL consultato il 13 marzo 2020 (archiviato il 9 agosto 2017).
  8. ^ Redazione, Strada degli Scrittori, don Ciotti: "Una bestemmia chiedere a Dio di benedire i porti chiusi", in Agrigento Notizie.it, 13 luglio 2019. URL consultato il 19 novembre 2020.
  9. ^ Umberto Lucentini, Il mio mal d'Africa, in Paolo Borsellino, 3ª ed., Druento, Edizioni San Paolo, 2006 [2004], p. 37, ISBN 88-215-4968-2.
  10. ^ Umberto Lucentini, Paolo Borsellino, 2003, Edizioni San Paolo
  11. ^ Paolo Borsellino, Il fine dell'azione delittuosa. Tesi di laurea di Paolo Emanuele Borsellino. Anno accademico 1961-1962, Milano, Giuffrè Editore, 2011, ISBN 978-88-14-15759-2, OCLC 848924710. URL consultato il 19 luglio 2016 (archiviato il 17 agosto 2016).
  12. ^ Il valore di una vita, pag. 35. Corrispondenti a 1.647 € sessant’anni dopo (https://rivaluta.istat.it/Rivaluta/).
  13. ^ È morta Agnese Borsellino, su fanpage.it, 5 maggio 2013. URL consultato il 13 marzo 2020.
  14. ^ Morta Agnese, moglie di Paolo Borsellino, su corriere.it, 5 maggio 2013. URL consultato il 13 marzo 2020 (archiviato il 30 aprile 2020).
  15. ^ Archivio biografico comunale Palermo Archiviato il 4 novembre 2012 in Internet Archive.
  16. ^ Ciro Pellegrino, È morta Agnese Borsellino, su fanpage.it, 5 maggio 2013. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato il 4 marzo 2016).
  17. ^ I monarchici ricordano Paolo Borsellino 28 anni dopo la strage di via D'Amelio, su italiareale.it. URL consultato il 31 ottobre 2023.
  18. ^ Temi assegnati - Saranno Magistrati, su sarannomagistrati.it. URL consultato il 18 dicembre 2010 (archiviato il 23 dicembre 2010).
  19. ^ La Storia siamo noi - Paolo Borsellino Archiviato il 27 novembre 2007 in Internet Archive.
  20. ^ Paolo Borsellino fu ucciso dalla mafia con 5 agenti della sua scorta nella strage di via D'Amelio, su ilsole24ore.com, Il Sole 24 Ore, 16 luglio 2015. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato il 22 luglio 2015).
  21. ^ a b Paolo Borsellino in Enciclopedia Treccani, su treccani.it. URL consultato il 26 gennaio 2014 (archiviato il 2 febbraio 2014).
  22. ^ a b c d e f g h i j Alexander Stille, Nella terra degli infedeli. Mafia e politica nella Prima Repubblica, Mondadori, 1995, ISBN 88-04-38802-1.
  23. ^ ' UCCISE IL CAPITANO BASILE' PER RIINA È IL CARCERE A VITA - La Repubblica.it, su ricerca.repubblica.it. URL consultato il 26 gennaio 2014 (archiviato il 9 dicembre 2019).
  24. ^ Umberto Lucentini, Hanno ucciso il capitano, in Paolo Borsellino, 3ª ed., Druento, Edizioni San Paolo, 2006 [2004], p. 57, ISBN 88-215-4968-2.
  25. ^ a b c La Storia siamo noi - Paolo Borsellino, su rai.tv. URL consultato il 20 luglio 2009 (archiviato il 28 settembre 2011).
  26. ^ BASILE, SCANDALO INFINITO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 16 maggio 2021.
  27. ^ ' UCCISE IL CAPITANO BASILE' PER RIINA E' IL CARCERE A VITA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 16 maggio 2021.
  28. ^ UCCIDENDO CHINNICI LA MAFIA CI HA SFIDATO E ORA DOVRA PAGARE - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 23 marzo 2022.
  29. ^ Giuseppe Cerasa, Un altro pentito parla, 56 arresti, su ricerca.repubblica.it, la Repubblica, 26 ottobre 1984. URL consultato il 5 febbraio 2019 (archiviato il 15 luglio 2018).
  30. ^ Riassunto dal relato di Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, Feltrinelli, 1993 - ISBN 88-07-12010-0
  31. ^ Falcone sfuggiva ai mafiosi, lo Stato presentava il conto Archiviato il 2 febbraio 2014 in Internet Archive. Corriere della Sera, 17 giugno 1992
  32. ^ Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l'assassinio di G. Falcone e P. Borsellino, pag. 121
  33. ^ Palermo è una città blindata, i giudici temono l'isolamento - La Repubblica.it, su ricerca.repubblica.it. URL consultato il 26 gennaio 2014 (archiviato il 6 gennaio 2014).
  34. ^ I giudici hanno creduto a Buscetta - La Repubblica.it, su ricerca.repubblica.it. URL consultato il 26 gennaio 2014 (archiviato il 6 gennaio 2014).
  35. ^ "Notiziario straordinario" n. 17 del 10 settembre 1986 del Consiglio superiore della magistratura:

    «Rilevato, per altro, che per quanto concerne i candidati che in ordine di graduatoria precedono il dottor Borsellino, si impongono oggettive valutazioni che conducono a ritenere, sempre in considerazione della specificità del posto da ricoprire e alla conseguente esigenza che il prescelto possegga una specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare, che gli stessi non siano, seppure in misura diversa, in possesso di tali requisiti con la conseguenza che, nonostante la diversa anzianità di carriera, se ne impone il "superamento" da parte del più giovane aspirante.»

  36. ^ Giacomo Conte (procuratore a Gela), Lo sdegno e la speranza: la lezione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in (a cura di) Franco Occhiogrosso, Ragazzi della mafia: storie di criminalità e contesti minorili, voci dal carcere, le reazioni e i sentimenti, i ruoli e le proposte, FrancoAngeli, 1993 - ISBN 88-204-7972-9
  37. ^ Leonardo Sciascia, I professionisti dell'antimafia, su italialibri.net, ItaliaLibri, 2 luglio 2007. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato il 15 gennaio 2018).
  38. ^ Una fra le numerose fonti online, su societacivile.it. URL consultato il 20 luglio 2009 (archiviato il 25 marzo 2009).
  39. ^ Trascrizione intervento Archiviato il 17 luglio 2010 in Internet Archive.
  40. ^ LA PRIMA PENTITA DI MAFIA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 7 maggio 2021.
  41. ^ a b c Audizione dei magistrati Massimo Russo e Alessandra Camassa dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere - XVII Legislatura, su documenti.camera.it. URL consultato il 7 maggio 2021.
  42. ^ SUI POLITICI NON DECIDERA' TAURISANO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 4 maggio 2021.
  43. ^ Il supplizio della gogna, su ilfoglio.it. URL consultato il 4 maggio 2021.
  44. ^ MANNINO NON E' MAFIOSO E IL CASO VIENE ARCHIVIATO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 4 maggio 2021.
  45. ^ E SU GUNNELLA S' INDAGA PER MAFIA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 4 maggio 2021.
  46. ^ ' ERO NEL POOL ANTIMAFIA ORA ME LA FANNO PAGARE' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 4 maggio 2021.
  47. ^ TUTTE LE VERITA' DI TAURISANO DAVANTI AI MEMBRI DEL CSM - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 4 maggio 2021.
  48. ^ LE PROCURE LAVORANO MA L'INCHIESTA NON C' E' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 4 maggio 2021.
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  50. ^ SUICIDA UNA CONFIDENTE DI BORSELLINO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 7 maggio 2021.
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  52. ^ Disse lo stesso Borsellino durante la serata alla Biblioteca Comunale di Palermo il 25 giugno 1992: "per aver denunciato questa verità io rischiai conseguenze professionali gravissime, e forse questo lo avevo pure messo nel conto, ma quel che è peggio il Consiglio superiore immediatamente scoprì quale era il suo vero obiettivo: proprio approfittando del problema che io avevo sollevato, doveva essere eliminato al più presto Giovanni Falcone. E forse questo io lo avevo pure messo nel conto perché ero convinto che lo avrebbero eliminato comunque; almeno, dissi, se deve essere eliminato, l'opinione pubblica lo deve sapere, lo deve conoscere, il pool antimafia deve morire davanti a tutti, non deve morire in silenzio. L'opinione pubblica fece il miracolo, perché ricordo quella caldissima estate dell'agosto 1988, l'opinione pubblica si mobilitò e costrinse il Consiglio superiore della magistratura a rimangiarsi in parte la sua precedente decisione dei primi di agosto, tant'è che il 15 settembre, se pur zoppicante, il pool antimafia fu rimesso in piedi.". Nello stesso intervento commentò la mancata nomina di Falcone: "Si aprì la corsa alla successione all'ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli."
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    «Dice Subranni: «Le notizie di stampa sulla strage Borsellino, con riferimento alle accuse a me rivolte, sono totalmente false e in sede giudiziaria, ove necessario, fornirò ampie e incontrovertibili prove in tal senso»»
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Procuratore della Repubblica di Marsala Successore
19 dicembre 1986- 5 marzo 1992
Predecessore Procuratore aggiunto di Palermo Successore
6 marzo 1992 - 19 luglio 1992
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