Quarta crociata

Quarta Crociata
parte delle Crociate
Conquista di Costantinopoli nel 1204.
Data12021204
LuogoBalcani
Casus belliFallimento della Terza crociata
Esito
  • Vittoria crociata sui bizantini
  • Si sciolse prima di arrivare in Terra Santa
Modifiche territorialiCreazione dell'Impero Latino
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
42000 crociati
13000 veneziani
40-70 navi tonde
60 galee
100-110 uscieri
numerose navi minori
Totale: 200-230 navi maggiori
Sconosciuti, 20000-30000 (in maggioranza cittadini armati, i soldati di professione erano quasi esclusivamente le 5000 guardie variaghe)
20 navi
Perdite
sconosciutesconosciute
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La quarta crociata (1202-1204) fu una spedizione armata indetta da papa Innocenzo III all'indomani della propria elezione al soglio pontificio nel 1198 e che coinvolse la cristianità occidentale. L'obiettivo ufficiale della crociata era di riconquistare la città di Gerusalemme, allora controllata dai musulmani, sconfiggendo il potente sultanato egiziano degli Ayyubidi. Tuttavia, una serie di eventi di natura economica e politica portarono invece all'assedio di Zara nel 1202 e al successivo sacco di Costantinopoli nel 1204, anziché raggiungere gli obiettivi iniziali. Queste azioni condussero alla divisione dell'Impero bizantino tra i Crociati e i loro alleati veneziani, noto come Partitio terrarum imperii Romaniae, e all'instaurazione della francocrazia, ovvero il "dominio dei franchi".

Gli eventi ebbero origine quando la Repubblica di Venezia stipulò un accordo con i capi crociati, impegnandosi a fornire una flotta per trasportare i loro eserciti in Egitto in cambio di denaro. Tuttavia, al momento della partenza si presentarono meno soldati rispetto alle previsioni e quindi non si riuscì pagare il prezzo concordato. A fronte di ciò, il doge veneziano Enrico Dandolo propose ai crociati di attaccare la città ribelle di Zara sull'Adriatico orientale come pagamento. Così, nel novembre 1202, i crociati assediarono e saccheggiarono la città dalmata, nonostante il divieto posto da papa Innocenzo III di attaccare altri cristiani. Zara passò sotto il controllo di Venezia, e quando il papa ne venne a conoscenza di ciò, temporaneamente scomunicò l'esercito crociato.

Nel gennaio 1203, mentre la spedizione finalmente prendeva la via verso Gerusalemme, i capi conclusero un nuovo accordo con il principe bizantino Alessio Angelo, che prevedeva il loro supporto per restaurare come imperatore il padre deposto Isacco II Angelo. Questo avrebbe garantito il suo sostegno per l'attacco successivo in Terra Santa. Il 23 giugno 1203, la maggior parte dell'esercito crociato raggiunse Costantinopoli, mentre altri, contrari alla diversione, proseguirono verso Acri.

Durante l'assedio della capitale bizantina nell'agosto del 1203, Alessio fu incoronato co-imperatore. Tuttavia, nel gennaio 1204, fu deposto da una rivolta popolare, privando così i crociati degli aiuti promessi. Dopo l'assassinio di Alessio il 8 febbraio, i crociati decisero di conquistare definitivamente la città. Nell'aprile dello stesso anno, presero la città e saccheggiarono le sue immense ricchezze. Da quel momento, solo pochi crociati proseguirono verso la Terra Santa.

La conquista di Costantinopoli portò alla frammentazione dell'Impero bizantino in tre stati: l'Impero di Nicea, il Despotato dell'Epiro e l'Impero di Trebisonda. I crociati stabilirono diversi nuovi stati crociati, principalmente basati sull'Impero latino di Costantinopoli. La presenza di questi stati latini portò presto alla guerra con i rimanenti territori bizantini e con l'impero bulgaro. L'Impero di Nicea alla fine riconquistò Costantinopoli e ripristinò l'Impero bizantino nel luglio 1261.

Si ritiene che la Quarta Crociata abbia accentuato lo Scisma tra cristianità orientale e occidentale formalizzatosi già nel 1054. Inoltre, la crociata inflisse un duro colpo all'Impero bizantino, contribuendo al suo declino e alla sua successiva caduta a opera del Sultanato ottomano.

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Terrasanta[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Terza crociata e Crociata del 1197.
Assedio di San Giovanni d'Acri durante la terza crociata

Tra il 1176 e il 1187, il sultanato ayyubide guidato da Saladino aveva conquistato la maggior parte degli stati crociati in Terrasanta (nel Levante). Restavano in mano occidentale poco più di tre città lungo la costa del Mar Mediterraneo: Tiro, Tripoli e Antiochia. Gerusalemme era caduta dopo l'assedio del 1187.

In risposta alla perdita della Città Santa, nel 1189 era stata proclamata una nuova crociata, comunemente conosciuta come la terza, con l'obiettivo dichiarato di riconquistarla. La spedizione permise sì ai cristiani di recuperare un vasto territorio, e in particolare le città costiere di Acri e Giaffa, ma Gerusalemme rimase in mani musulmane. Il 2 settembre 1192 i crociati firmarono con Saladino la pace di Ramla, la quale pose fine alla guerra stabilendo una tregua di tre anni e otto mesi.

La terza crociata fu segnata anche da un significativo inasprimento delle tensioni, già esistenti da tempo, tra gli occidentali e l'Impero bizantino. Durante il viaggio verso la Terra Santa, l'esercito dell'imperatore Federico I Barbarossa era quasi arrivato ad attaccare Costantinopoli dopo che l'imperatore Isacco II Angelo gli aveva negato un passaggio sicuro attraverso i Dardanelli. Da parte loro, i bizantini sospettavano che Federico cospirasse con le province separatiste di Serbia e Bulgaria. Riccardo Cuor di Leone re d'Inghilterra, anch'egli impegnato nella crociata, aveva conquistato Cipro, da poco resasi indipendente dal governo di Costantinopoli, e, piuttosto di restituirla all'Impero, preferì consegnarla a Guido di Lusignano, l'ex re di Gerusalemme che aveva perso la corona a favore di Corrado di Monferrato in passato alleato bizantino.

Il Vicino Oriente alla fine del XII secolo

Saladino morì il 4 marzo 1193, prima della scadenza della tregua, e il suo impero fu diviso tra tre dei suoi figli e due dei suoi fratelli. Il nuovo sovrano del Regno di Gerusalemme, Enrico II di Champagne, si affrettò quindi a firmare un'estensione della tregua con il sultano egiziano al-'Aziz Uthman. La pace venne però interrotta cinque anni più tardi, nel 1198, dall'arrivo di una crociata tedesca che, senza il permesso di Enrico, attaccò i possedimenti di al-'Adil I, re di Damasco, il quale rispose aggredendo Giaffa. L'improvvisa morte di Enrico ne impedì il soccorso e l'importante città portuale venne persa. I tedeschi, tuttavia, riuscirono a conquistare Beirut nel nord.

A Enrico successe Amalrico II di Lusignano, che a sua volta, il 1° luglio 1198, firmò una tregua con al-Adil della durata di cinque anni e otto mesi. con questa venne mantenuto lo status quo: Giaffa rimaneva nelle mani degli Ayyubidi ma le sue fortificazioni distrutte non potevano essere ricostruite; Beirut venne lasciata ai crociati; Sidone fu posta sotto un dominio condiviso con una suddivisione delle entrate monetarie. Prima che la tregua finisse, al-Adil riuscì a unire le regioni dell'ex impero di Saladino, prendendo l'Egitto nel 1200 e Aleppo nel 1202. In questo modo, con i suoi domini arrivò a circondare quasi completamente i territori dei cristiani mettendoli così in una situazione di grave pericolo.

Costantinopoli[modifica | modifica wikitesto]

Isacco II Angelo e Alessio III Angelo

Al tempo della Quarta Crociata, Costantinopoli esisteva da 874 anni ed era la città più grande e sofisticata della cristianità, quasi l'unico tra i principali centri urbani medievali ad aver mantenuto funzionanti le strutture civiche, i bagni pubblici, i fori, i monumenti e gli acquedotti dell'età romana classica. Nel momento del suo massimo splendore era arrivata ad ospitare una popolazione di circa mezzo milione di individui protetti da 20 chilometri di triplici mura. La sua posizione strategica, frutto di un'attenta pianificazione, l'aveva resa non solo la capitale dell'impero romano d'Oriente ma anche un importantissimo centro commerciale in grado di dominare le rotte commerciali che dal Mediterraneo proseguivano verso il Mar Nero, la Cina, l'India e la Persia. Di conseguenza, Costantinopoli era vista, sia come una città rivale e sia come un obiettivo allettante per i nuovi aggressivi stati occidentali, in particolare per la Repubblica di Venezia.

Nel 1195, a seguito di trame di palazzo, l'imperatore bizantino Isacco II Angelo era stato deposto in favore del fratello. Incoronato come Alessio III Angelo, il nuovo imperatore aveva fatto subito accecare il deposto imperatore (una punizione consuetudinaria per il tradimento e considerata più umana dell'esecuzione) per poi mandarlo in esilio. Incapace sul campo di battaglia, Isacco si era anche dimostrato un sovrano incompetente che aveva depauperato le casse dello stato. Le sue azioni nel distribuire in modo dispendioso armi e rifornimenti militari in dono ai suoi sostenitori avevano minato le difese dell'impero. Il nuovo imperatore, tuttavia, non si dimostrò migliore. Ansioso di rafforzare la sua posizione, Alessio mandò in bancarotta i conti pubblici. I suoi tentativi di assicurarsi il sostegno dei comandanti di frontiera minarono l'autorità centrale mentre la sua trascuratezza aveva compromesso i settori cruciali della difesa e della diplomazia. Secondo quanto riferito, l'ammiraglio capo dell'imperatore (cognato di sua moglie), Michele Strifno, aveva venduto fino alle unghie l'equipaggiamento della flotta per arricchirsi.

Preliminari[modifica | modifica wikitesto]

Papa Innocenzo III

Dopo il sostanziale fallimento della terza crociata, in Europa ben poco interesse sussisteva per una ripetizione dell'avventura. Le cose cambiarono con la salita al soglio pontificio di papa Innocenzo III, al secolo Lotario conte di Segni, eletto all'età di 36 anni l'8 gennaio del 1198. Pochi mesi dopo, il 15 agosto, il nuovo pontefice emanò l'enciclica Post miserabile con la quale incitava il mondo cattolico alla riconquista di Gerusalemme. La reazione degli Stati europei non si dimostrò tuttavia proprio entusiasta: i tedeschi erano in polemica con il papa, l'Inghilterra era impegnata in una delle solite guerre con la Francia e le città marinare erano più attente a tutelare i propri interessi commerciali con l'Oriente più che a imbarcarsi in rischiose spedizioni. Per evitare una scomunica, la Repubblica di Venezia chiese al papa addirittura una dispensa alla partecipazione, perché affermava di non poter sopravvivere se fossero cessati i traffici con l'Egitto.[1][2] Inoltre, la prematura morte di Riccardo Cuor di Leone, uno dei grandi protagonisti della terza crociata, aveva lasciato i cristiani d'Occidente senza una possibile valida guida.[3]

Qualche riscontro positivo si ottenne però in Francia, grazie soprattutto alla fervente predicazione del taumaturgo e curato Folco di Neuilly. Importante fu anche il ruolo del cardinale Pietro Capuano, che in un sinodo tenutosi a Digione il 6 dicembre 1199, riuscì a convincere molti vescovi ad offrire un trentesimo delle entrate delle rispettive diocesi alla causa crociata.[1]

Folco di Neuilly predica per la crociata, De la Conquête de Constantinople di Goffredo di Villehardouin

La svolta decisiva si ebbe però nel novembre del 1199 quando, il poco più che ventenne conte Tebaldo III di Champagne, organizzò un torneo nel suo castello di Écry-sur-Aisne (l'attuale Asfeld). All'evento parteciparono i maggiori esponenti della nobiltà francese tra cui Luigi di Blois, Simone IV di Montfort, Giovanni di Brienne e Goffredo di Villehardouin. Tra i presenti a Écry vi fu anche Folco che ebbe l'occasione di rivolgere l'appello a tutta la giovane nobiltà francese riunita; non abbiamo testimonianze riguardo a cosa Folco disse ma riuscì nell'intento di accedere gli animi tanto che, secondo le cronache, tutti «i cavalieri si tolsero gli elmi e corsero alle croci». Lo stesso predicatore cucì sulle loro vesti la croce, segno del voto a partecipare alla spedizione. Tebaldo III venne nominato capo della crociata con l'assenso di papa Innocenzo.[4][5]

Il fervore per la crociata, nato durante il torneo, dilagò rapidamente per tutta l'Europa. Folco continuò a fare proseliti in Francia mentre l'abate Martino di Pairis reclutava uomini in Germania. Il mercoledì delle ceneri del 1200 si erano aggiunti, tra gli altri, Baldovino IX di Hainault, conte di Fiandra e cognato di Tebaldo, insieme al fratello Enrico, seguiti poco dopo dal conte Ugo IV di Saint-Pol con i propri vassalli.[4][5][6]

Nel frattempo, il 31 dicembre 1199 il papa emanò nuova bolla, Graves Orientalis terrae, con la quale imponeva alla Chiesa, «dal momento che lo esige la massima necessità», una nuova tassa del 2,5% sulle entrate allo scopo di sostenere le spese per partecipare alla crociata ai soldati che non erano in grado di pagarsi il viaggio. Venne, inoltre, ordinato di collocare nelle chiese delle cassette per raccogliere le offerte da parte del popolo laico.[7] I preparativi per la crociata procedevano spediti ma il 24 maggio del 1201 vennero funestati dalla precoce morte di Tebaldo. Il conte venne sostituito come capo della spedizione da Bonifacio I del Monferrato, fratello dell'ex re di Gerusalemme, Corrado, morto a Tiro 9 anni prima.[8]

Trattative con Venezia[modifica | modifica wikitesto]

Il doge Enrico Dandolo annuncia la partecipazione alla crociata nella Basilica di San Marco, incisione di Gustave Doré

Reclutati gli uomini e nominati i capi, ora ai crociati restava da pianificare la strategia della spedizione. Memori delle problematiche occorse nelle precedenti campagne in Terra Santa, i cristiani decisero di prendere la via del mare per raggiungere l'Egitto la cui conquista era ritenuta strategicamente fondamentale per poi muovere verso Gerusalemme. Per fare ciò ai crociati era necessario disporre di una flotta notevole per attraversare il Mediterraneo e solo poche città erano in grado di aiutarli. Così, in un incontro tenutosi a Compiègne, vennero nominati sei plenipotenziari (tra cui Conone di Béthune) incaricati di occuparsi delle trattative. Dopo avere dovuto scartare Marsiglia e Genova, ai crociati non rimase che chiedere alla potente Repubblica di Venezia.[2][5]

I sei plenipotenziari raggiunsero Venezia all'inizio di febbraio 1201 dove vennero accolti dal doge Enrico Dandolo. Ascoltate le richieste della delegazione crociata, il doge rispose che prima di poter dare una risposta avrebbe dovuto consultare le diverse assemblee politiche della Repubblica. Tra i plenipotenziari vi era anche il maresciallo Goffredo di Villehardouin che nella sua cronaca della crociata riportò fedelmente le trattative descrivendo minuziosamente il processo decisionale del governo veneziano. Fu lo stesso Goffredo a prendere la parola durante la solenne assemblea popolare convocata nella basilica di San Marco; nel suo discorso invocò l'aiuto dei veneziani, scelti in quanto «nessuna gente che sia sul mare ha sul mare potere così grande». Le sue parole suscitarono un forte entusiasmo e in aprile, finalmente, si arrivò alla stipula del contratto di trasporto e rifornimento.[9]

L'accordo prevedeva l'impegno dei veneziani a mettere in mare entro giugno 1202 di una flotta sufficiente per il trasporto di 4500 cavalieri con i loro cavalli, 9000 scudieri, 20000 fanti oltre a viveri e foraggio per la traversata; oltre a ciò, Venezia s'impegnò ad armare 50 galere che avrebbero accompagnato la crociata in cambio della metà delle conquiste effettuate dal momento della partenza. Come contropartita, i crociati avrebbero corrisposto la cifra di 85000 marche imperiali d'argento.[8][10][11] Le condizioni furono ritenute soddisfacenti dagli ambasciatori dei crociati e tre giorni dopo vennero ratificate da parte veneziana dal Maggior Consiglio e dall'assemblea popolare. Seguì anche una messa solenne nella basilica di San Marco con la presenza di ben 10000 persone.

Marina veneziana arriva a Costantinopoli, miniatura del XV secolo

Sottoscritto il contratto, i crociati, in gran parte provenienti dalle regioni francesi di Blois, Champagne, Amiens, Saint-Pol, Île-de-France e Borgogna, ma anche dalle Fiandre, dal Monferrato e dalla Germania, iniziarono a confluire a Venezia stabilendosi a San Niccolò sull'isola del Lido. Tuttavia, ben presto fu evidente che il numero dei soldati accorsi fosse assai inferiore rispetto alle ambiziose previsioni di 33500 uomini.[12] Riley-Smith ha sottolineato di come, molto probabilmente, i capi crociati contassero di poter reclutare anche un sostanziale numero di mercenari. Inoltre, molti baroni, scontenti della scelta di prendere il mare con la flotta veneziana, avevano preferito partire per la Terra Santa attraverso altre vie.[13] Ma con meno partecipanti giunsero anche meno risorse economiche che si rivelarono insufficienti per ottemperare all'accordo con Venezia: l'ammanco era di ben 34000 marche d'argento.[12][14]

Con queste condizioni la situazione entrò in stallo. I veneziani avevano rispettato i patti mettendo in mare una flotta tanto imponente che Goffredo di Villehardouin ne loda la «tanta bellezza ed eccellenza, che mai cristiano ne vide una più bella ed eccellente»,[10] ma per far questo avevano dovuto sacrificare parzialmente i loro commerci e investito capitali. Inoltre, erano costretti a dover sfamare i crociati relegati «come appestati» al Lido in attesa di partire.[15] Mentre una parte di essi abbandonò l'impresa, oppure decise di tentare la via di terra, il capo dei crociati, Bonifacio I del Monferrato, negoziò un compromesso con il doge: la flotta avrebbe preso il mare e i veneziani stessi avrebbero preso parte alla spedizione la cui guida passava al doge Dandalo; i proventi e le perdite sarebbero poi stati equamente divisi. In pratica, nelle parole dello storico Alvise Zorzi, il «contratto di trasporto si trasformava in un contratto di compartecipazione totale».[15] I termini del compromesso vennero ratificati da Papa Innocenzo che aggiunse il divieto solenne di attaccare Stati cristiani

Deviazione[modifica | modifica wikitesto]

Saccheggio di Zara[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Zara (1202).
L'assedio di Zara, di Andrea Vicentino (1539-1614)

Nonostante il monito di Innocenzo II, i veneziani chiesero ai crociati di muovere verso la città Zara, sulle coste della Dalmazia, prima di proseguire per la destinazione pianificata, ovvero l'Egitto. La città dalmatina era stata sotto il dominio della Serenissima fino al 1183 quando si era ribellata e alla vigilia della partenza della flotta crociata si trovava sotto la protezione di Emerico d'Ungheria. Alvise Zorzi afferma che l'idea di riconquistare la città non fu pattuita fin già dall'inizio, ma che era, per così dire, solo latente. Il proposito di riprendere Zara prese concreta forma durante il viaggio, come logica necessità per una flotta così "pesante".[16] Per lo storico Jonathan Riley-Smith le cose andarono diversamente: la diversione su Zara sarebbe stata parte dell'accordo stipulato tra veneziani e crociati per ovviare al parziale pagamento di quanto inizialmente promesso. In ogni caso, l'idea di attaccare una città cristiana non fu accolta molto positivamente nel campo crociato e le defezioni furono molte. Il cardinale Pietro Capuano, che accompagnava la spedizione, prima si oppose ma poi riconobbe che quello fosse l'unico modo per proseguire benché dovette faticare non poco a convincere gli altri ecclesiastici presenti a proseguire. Lo stesso Bonifacio del Monferrato preferì abbandonare momentaneamente il gruppo recandosi a Roma.[17]

Nei primi giorni di ottobre la grande flotta si mise in rotta. Goffredo di Villehardouin racconta che «mai flotta più bella partì da alcun porto»; secondo stime attendibili, essa era composta da 202 navi di vario tipo con imbarcati 17000 veneziani e 32000 crociati provenienti da tutta Europa. A bordo si trovavano anche macchine d'assedio come petriere e mangani.[16] Il convoglio navale fece tappa prima a Trieste e poi a Muggia, dove i veneziani chiesero alle popolazioni locali un atto di sottomissione.[18]

Arrivati a Zara il 10 novembre, i crociati non vennero però accolti a braccia aperte come i capi si aspettavano, anzi la popolazione fece resistenza. Dopo un assedio di cinque giorni avvenne l'assalto alla città, che venne presa e saccheggiata. Ormai l'inverno era alle soglie e perciò venne deciso di svernare a Zara. Quando venne a conoscenza della presa della città e del suo saccheggio, il papa inorridì: contro il suo ordine i crociati avevano osato aggredire una città cristiana cattolica per giunta posta sotto la protezione di un re, Emerico d'Ungheria, che aveva egli stesso preso la croce. Per tale ragione decise di scomunicare la crociata.[12][18]

I diversi baroni si giustificarono dichiarando di essere stati ricattati e costretti da Venezia alla sciagurata azione; il papa allora tolse loro la scomunica, che andò completamente a carico dei veneziani, a patto che Zara fosse riconsegnata a Emerico e che non fossero state mai più attaccate città cristiane. La scomunica venne tolta ma gli ordini papali vennero disattesi; addirittura Bonifacio del Monferrato non rese pubblica la bolla di condanna papale poiché riteneva che questa avrebbe potuto pregiudicare i rapporti con i veneziani mettendo a repentaglio il prosieguo della crociata.[19]

Decisione di andare a Costantinopoli[modifica | modifica wikitesto]

Tragitto della quarta crociata

In dicembre l'esercito crociato, mentre si trovava a Zara per trascorre l'inverno, venne raggiunto da Bonifacio del Monferrato seguito a breve da un'ambasciata dell'imperatore Filippo di Svevia mandata per conto del principe bizantino Alessio IV Angelo, figlio dell'imperatore Isacco II, detronizzato, accecato e tenuto in prigione da suo fratello Alessio III Angelo. Alessio era riuscito a fuggire dalla prigionia nel 1202 e si era rifugiato in Germania presso sua sorella, moglie dell'imperatore. In precedenza Alessio aveva già contattato Venezia da Verona e alcuni colloqui con Bonifacio erano già intercorsi. La proposta del principe bizantino era quella di ottenere la collaborazione dei crociati per riappropriarsi del trono in cambio di aiuti militari pari a 10000 soldati, 200000 marche d'argento e generi di consumo ai crociati utili per il prosieguo della spedizione. Inoltre, si sarebbe impegnato per una riunificazione della chiesa di Roma con quella di Costantinopoli, formalmente divise dal Grande Scisma dell'XI secolo, una questione che stava particolarmente a cuore del papa. A Venezia promise anche che avrebbe garantito favorevoli accordi mercantili.[20]

La proposta suscitò molte discussioni nel campo crociato: chi la riteneva necessaria per la continuazione dell'impresa, chi era sospettoso riguardo a tutte le offerte di Alessio, chi considerava contrario agli obiettivi della crociata attaccare Costantinopoli. Alcuni crociati, tra cui Simone IV di Montfort e Werner di Boladen, cui non piaceva la prospettiva di assalire un'altra città cristiana in luogo di combattere i musulmani, si separarono dal resto dei crociati e fecero vela in direzione della Siria.[21] Il legato papale, Pietro Capuano, dette invece il proprio assenso e alla fine lo stesso papa Innocenzo III, effettivamente allettato dalla prospettiva della riunione con la chiesa ortodossa, si fece convincere. Il doge Dandolo vide invece la possibilità di assicurare a Venezia enormi vantaggi nei commerci con l'oriente intronizzando a Costantinopoli un proprio alleato.[22] Così la proposta venne accettata e i messaggeri di Alessio fecero ritorno in Germania per avvisarlo così che potesse raggiungere i crociati a Zara.[4][23]

Alla fine di aprile 1203 i crociati salparono facendo tappa a Corfù dove proseguirono le trattative per poi giungere alla stipula ufficiale dell'accordo con Alessio IV. Una volta che questo venne rese informalmente pubblico, altri crociati si dissociarono decidendo di restare sull'isola in attesa di altre navi che li avrebbero portati in Terra Santa.[4] Il 24 maggio la flotta spiegò le vele in direzione di Costantinopoli.[19][24]

Prima presa di Costantinopoli[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Costantinopoli (1203).
Le mura di Costantinopoli al tempo della quarta crociata

Il 24 giugno la flotta giunse in vista di Costantinopoli e, a quanto raccontano le cronache, i crociati rimasero stupiti "non potendo pesare che potesse esservi così ricca città in tutto il mondo, quando videro quelle alte mura e quelle ricche torri che la racchiudevano tutt'intorno". Alessio aveva fatto capire ai crociati e ai Veneziani che sarebbero stati accolti con gioia dalla popolazione. Invece trovarono le porte sbarrate e le mura folte di difensori che li insultavano e li deridevano.[19][24]

Fallita la possibilità di contare su di una sollevazione popolare a favore di Alessio, ai crociati non rimase che ricorrere alla forza militare. Così, dopo alcuni giorni di aspra battaglia, il 17 luglio l'esercito latino assaltò le mura della città. Da una parte la flotta veneziana attaccò le torri dal mare riuscendo a conquistarne una parte, dall'altra le truppe di terra dettero battaglia campale nei pressi del palazzo delle Blacherne.[19][25] I cronisti di entrambi i fronti non mancarono di annotare l'effetto che ebbero i cavalieri crociati con le loro lucenti armature sugli abitanti di Costantinopoli: da una parte il crociato Roberto de Clari racconta di come le dame e damigelle li ammirassero come sembrassero angeli, dall'altra il cronista greco Niceta Coniata li descrive invece come fossero "angeli sterminatori".[26] L'attacco venne parzialmente respinto ma Alessio III, messo oramai alle strette, preferì arraffare quanto più poté del tesoro imperiale e darsi alla fuga, portando con sé la figlia.[27]

Gustave Doré: Enrico Dandolo parlamenta con Alessio V

Isacco II venne liberato dal carcere e si dichiarò pronto a confermare le promesse fatte ai crociati dal figlio, che nominò coreggente il 1º agosto 1203, con appropriata cerimonia nella chiesa di Santa Sofia alla presenza di tutti i baroni della crociata. Ma non fu facile rispettare gli impegni presi: le casse del regno erano vuote e l'unione delle due chiese era fortemente osteggiata sia dal clero sia dal popolo. Nonostante vi fosse la volontà, soprattutto da parte dei veneziani, di mettersi finalmente in rotta per l'Egitto, i crociati dovettero decidere di passare l'inverno accampati fuori delle mura; Alessio, dal canto suo, ritenne strategicamente fondamentale la presenza dell'esercito alleato nei primi mesi del suo regno per garantire la stabilità del suo potere. Nel frattempo il papa, informato di quanto era avvenuto a Costantinopoli, espresse parole di biasimo intimando alla spedizione crociata di proseguire immediatamente per gli obiettivi prefissati invitando i vescovi che la accompagnavano a obbligare i comandanti a compiere atti di penitenza.[28][29]

Nei mesi seguenti la situazione precipitò. La scontentezza degli abitanti di Costantinopoli crebbe sempre di più nel dover sopportare la presenza dei cavalieri crociati che scorrazzavano in città manifestandosi in veri e propri atteggiamenti xenofobi nei confronti dei latini che vennero talvolta aggrediti nelle strade. Sempre più in difficoltà nel mantenere l'esercito crociato, Alessio dovette imporre nuove tasse inimicandosi ancora di più la popolazione. Una spedizione alla ricerca del fuggiasco ex imperatore e del tesoro reale si rivelò infruttuosa. Alla ricerca di viveri, i crociati fecero scorribande per conto proprio. Alcuni di essi, responsabili del saccheggio di una moschea, vennero aggrediti dai “greci” e per difendersi appiccarono il fuoco ad alcune case. L'incendio si propagò e per giorni una parte di Costantinopoli fu preda delle fiamme; venne fatto anche un tentativo di incendiare le navi veneziane, che però non ebbe successo. Alessio prese sempre più le distanze da loro iniziando per giunta a non onorare più i pagamenti concordati.[4][30]

Alla fine di gennaio 1204 vi fu un colpo di stato: Alessio Ducas depose e fece strangolare il cugino Alessio IV mentre Isacco II morì misteriosamente poco dopo. Salito al trono con il nome di Alessio V, il nuovo imperatore rifiutò qualsiasi pagamento ai crociati e ai Veneziani, imponendo a loro di lasciare la città.[31][32] L'esercito latino si trovò così in un territorio ostile, a corto di viveri e senza la possibilità né di fare ritorno in patria né di proseguire per la Terra Santa. Messi alle strette e fallito un ultimo tentativo di mediazione con il nuovo imperatore bizantino, ai crociati non rimaneva che la possibilità di mettere al sacco Costantinopoli.[31][33]

Sacco di Costantinopoli[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Sacco di Costantinopoli.
Presa di Costantinopoli da parte dei crociati, dipinto di Palma il Giovane

Mentre i religiosi al seguito della crociata discutevano sulle possibili giustificazioni riguardo a quello che si stava preparando, i capi crociati stipularono a marzo 1204 un trattato riguardo a come avrebbero spartito il bottino una volta presa la città. I proventi del saccheggio sarebbero andati ai veneziani per i tre quarti fino a ripagare il debito per la costituzione della flotta per poi essere diviso in parti uguali con i crociati; a Venezia, inoltre, sarebbero stati confermati i privilegi commerciali già in essere. Una volta che l'Impero bizantino fosse stato nelle loro mani sarebbe stata nominata una commissione che avrebbe eletto il nuovo imperatore e un nuovo patriarca cattolico mentre la Chiesa ortodossa sarebbe stata sottomessa a quella di Roma.[34] Infine venne deciso che l'esercito crociato sarebbe rimasto nei pressi di Costantinopoli per garantire la stabilità al nuovo impero che sarebbe sorto fondato sul sistema feudale occidentale.[33][35]

Il primo attacco dei crociati venne sferrato il 9 aprile 1204, ma fu respinto e procurò solo forti perdite. Il 12 aprile fu fatto un nuovo tentativo e questa volta i Veneziani ricorsero a uno stratagemma. Avevano costruito piattaforme sulle cime degli alberi delle navi, poi avevano inclinato le imbarcazioni fino a che le piattaforme andavano a toccare le mura. Il veneziano Pietro Alberti fu il primo a saltare sulle mura di una torre nemica, ma fu subito ucciso. Venne seguito da un francese, André Dureboise, che riuscì a resistere all'attacco dei difensori, permettendo ad altri Veneziani e crociati di occupare le mura. Poco tempo dopo le porte della città furono aperte dagli attaccanti penetrati all'interno; per Costantinopoli, "la Seconda Roma", non ci fu più scampo.[36][37]

L'entrata dei crociati a Costantinopoli in un'incisione di Gustave Doré

Alessio V s'era rifugiato con alcune truppe nel suo palazzo imperiale. Nella notte, forse perché temevano un attacco di sorpresa, alcuni crociati tedeschi appiccarono il fuoco a delle case e nuovamente l'incendio divampò in città. Vista l'impossibile situazione, Alessio V si dette alla fuga. Mentre regnava il caos fu eletto imperatore Costantino XI Lascaris che ordinò una sortita contro i crociati, guidata dal fratello, il generale bizantino Teodoro Lascaris (futuro imperatore di Nicea), che tuttavia non ebbe successo alcuno.[38][39][40]

Il giorno dopo, esaurita la resistenza bizantina, ebbe inizio il grande ed efferato saccheggio. Mentre Bonifacio del Monferrato occupava il palazzo imperiale del Boukoleon che, secondo Roberto de Clari aveva ben 500 stanze tutte riccamente addobbate e ben trenta cappelle, i crociati entravano nelle case e asportavano qualsiasi cosa di valore avessero trovato. Tutte le chiese vennero spogliate dei vasi sacri, delle icone, dei candelabri e di qualsiasi oggetto di valore. Anche la basilica di Santa Sofia venne completamente saccheggiata, l'altare venne spezzato, gli arazzi fatti a pezzi. Un cronista dell'epoca, testimone oculare, tramanda che una prostituta, seduta sul trono del Patriarca, cantava strofe oscene in lingua francese.[41]

Copia dei cavalli di bronzo sulla facciata della Basilica di San Marco a Venezia

Dopo tre giorni, i comandanti degli assalitori intervennero dando ordine di cessare il saccheggio e che il bottino doveva essere portato in tre chiese e sorvegliato da fidatissimi crociati e veneziani per poi essere spartiti secondo i patti. Fra l'altro i veneziani portarono a Venezia i quattro cavalli di bronzo che ornano (attualmente in copia) la basilica di San Marco, l'icona della Madonna Nicopeia e molte preziose reliquie che ancora sono serbate nel tesoro di San Marco.[42]

Durante la notte del 9 maggio seguente, una commissione composta da dodici crociati e dodici veneziani annunciò di avere scelto Baldovino di Fiandra come nuovo imperatore. E' stato osservato di come tale onore non fosse stato concesso, come poteva sembrare ovvio, al capo dei crociati Bonifacio del Monferrato per via dell'opposizione dei veneziani che lo consideravano, tra l'altro, troppo vicino ai rivali genovesi. Il 16 maggio Baldovino venne incoronato dai vescovi cattolici, poiché ancora doveva essere nominato un patriarca.[39][43]

Immediatamente dopo il saccheggio, o secondo altre fonti alcuni mesi dopo, venne sottoscritto dai crociati il trattato Partitio terrarum imperii Romaniae tramite il quale venne fondato l'impero latino in luogo dell'impero greco, stabilendo la divisione del territorio dell'ex-impero tra i partecipanti alla crociata. La repubblica di Venezia ne trasse, sulla carta, i maggiori benefici costituendo una pietra miliare nella formazione del suo impero coloniale.[33][43]

In Terra Santa[modifica | modifica wikitesto]

Come visto, tra coloro che presero la croce rispondendo all'appello di papa Innocenzo III, non tutti seguirono il gruppo principale che giunse a saccheggiare Costantinopoli. Alcuni già anni prima partirono per la Terra Santa da porti diversi da Venezia mentre altri abbandonarono la spedizione guidata da Goffredo del Monferrato scontenti delle deviazioni a Zara o a Costantinopoli preferendo, quindi, proseguire autonomamente per adempiere ai loro voti. Secondo il cronista dell'epoca Goffredo di Villehardouin, la maggioranza di coloro che avevano preso parte alla Quarta Crociata si recarono effettivamente in Terra Santa, mentre solo una minoranza partecipò all'attacco a Costantinopoli. Tuttavia, lo stesso Goffredo riteneva che i capi dei crociati impegnati a Costantinopoli potessero aver esagerato il numero di coloro che consideravano come disertori per amplificare il successo del loro assedio della capitale bizantina.[44][45]

Gli storici moderni tendenzialmente ignorano le affermazioni di Goffredo di Villehardouin. Steven Runciman ritiene che solo una «piccola proporzione» dei crociati raggiunse la Terra Santa mentre Joshua Prawer parla di solo alcuni «miseri resti» dell'esercito originale. Studi recenti suggeriscono che il numero fosse consistente ma tuttavia lontano dalla maggioranza. Delle 92 personalità nominate da Goffredo che presero il voto di crociato, si stima che tra 23 e le 26 andarono effettivamente in Terra Santa. Sembra che il tasso di "diserzione" fosse stato più alto tra i francesi.[45] Solo circa un decimo dei cavalieri che avevano preso la croce nelle Fiandre giunse a rinforzare i restanti stati cristiani in Terra Santa, ma più della metà di quelli originari dell'Île-de-France lo fecero. Nel complesso, circa 300 cavalieri provenienti dal nord della Francia, con il loro seguito, arrivarono in Palestina.[46] Dei contingenti provenienti dalla Borgogna, dall'Occitania, dall'Italia e dalla Germania si hanno meno notizie, ma sicuramente vi furono defezioni tra i contingenti occitani e tedeschi.[44]

I due principali itinerari seguiti da coloro che scelsero di non imbarcarsi a Venezia o che abbandonarono la spedizione principale, partirono dalla Puglia o da Marsiglia.

Dalla Puglia ad Acri[modifica | modifica wikitesto]

Il nobile Simone IV di Montfort. Disgustato dell'assedio di Zara e contrario alla diversione per Costantinopoli abbandonò la spedizione crociata per recarsi in Terra Santa da Barletta in Puglia

Ancora nell'estate del 1202, diversi crociati invece di dirigersi a Venezia deviarono verso sud in direzione di Piacenza, con l'intenzione di recarsi direttamente in Terra Santa dai porti dell'Italia meridionale. Tra loro c'erano Vilain di Nully, Enrico di Arzillières, Renardo II di Dampierre, Enrico di Longchamp e Giles di Trasignies con i rispettivi seguiti. Non sembra che questi abbiamo pianificato la spedizione insieme o che abbiano viaggiato insieme. Alla fine, i cavalieri e i fanti che giunsero a destinazione partendo dai porti dell'Apulia furono solo alcune centinaia, un numero tanto esiguo che il re Amalrico II di Gerusalemme si rifiutò di rompere la tregua con gli Ayyubidi per consentire loro di muovere guerra. A nulla servirono le suppliche e gli ingenti fondi di Renardo che stava adempiendo al voto crociato del defunto conte Teobaldo III di Champagne. Di conseguenza, ottanta crociati guidati dallo stesso Renardo decisero di recarsi nel Principato di Antiochia il quale non partecipava alla tregua. Nonostante fossero stati consigliati di evitare una mossa del genere, essi caddero in un'imboscata lungo la strada e tutti furono uccisi o catturati. Renardo rimase in prigionia per trent'anni.[45]

Quando la crociata venne dirottata su Zara, molti crociati tornarono in patria oppure rimasero in Italia. Alcuni trovarono altri mezzi alternativi alla flotta veneziana per recarsi in Terra Santa. Goffredo di Villehardouin, nipote dello storico, fu uno di loro. Stefano di Perche non poté partire con il grosso dell'esercito a causa di una malattia e dopo essersi ristabilito nel marzo 1203, si imbarcò nell'Italia meridionale e viaggiò direttamente in Terra Santa con altri crociati. Stefano si unì nuovamente all'esercito principale dopo la caduta di Costantinopoli.[45]

Dopo l'assedio di Zara, altri contingenti abbandonarono la spedizione principale. I crociati avevano mandato Roberto di Boves dal Papa come ambasciatore, ma dopo aver compiuto la sua missione si recò direttamente in Terra Santa. L'abate Martino di Pairis lo raggiunse nel viaggio verso Roma e poi si imbarcò per la Palestina a Siponto. Martino arrivò ad Acri il 25 aprile 1203 nel bel mezzo di un'epidemia di peste. Secondo la Devastatio Constantinopolitana, dopo che a Zara venne presa la decisione di porre Alessio IV sul trono di Costantinopoli, i capi della crociata concessero a circa 1000 uomini di partire autonomamente verso la Terra Santa. La maggior parte di loro erano tra i crociati più poveri e due navi che li trasportavano affondarono con considerevoli perdite di vite umane.[45]

Da Zara fu inviata in Terra Santa un'ambasciata ufficiale, guidata da Rinaldo di Montmirail e comprendente anche Erveo di Châtel, Guglielmo di Ferrières, Goffredo di Beaumont e i fratelli Giovanni e Pietro di Frouville. Secondo gli accordi questi avrebbero dovuto tornare nell'esercito principale entro quindici giorni dal completamento della loro missione ma rimasero in Terra Santa e fecero ritorno solo dopo la caduta di Costantinopoli.[45]

Nell'inverno tra il 1203 e il 1204, Simone IV di Montfort guidò un sostanzioso contingente di disertori disgustati dall'attacco a Zara e contrari all'impresa di Costantinopoli.[47] Il gruppo marciò lungo la costa da Zara verso l'Italia e poi lungo la costa italiana dove poi trovarono il modo per imbarcarsi per la Palestina.[45]

Flotta fiamminga da Marsiglia[modifica | modifica wikitesto]

Per ragioni sconosciute, Baldovino di Fiandra divise le sue forze, conducendone metà a Venezia e inviando l'altra metà via mare verso la Terra Santa. La flotta fiamminga lasciò le Fiandre nell'estate del 1202 sotto il comando di Giovanni II di Nesle, Teodorico di Fiandra e Nicola di Mailly. Dopo aver navigato nel Mediterraneo, secondo il cronista Ernoul, attaccò e conquistò una cittadina musulmana sulla costa africana di cui non si conosce il nome. La città fu poi consegnata nelle mani dei Cavalieri portaspada e la flotta proseguì per Marsiglia dove trascorse l'inverno tra il 1202 e il 1203. Lì alla flotta si unirono numerosi crociati francesi, tra cui il vescovo Gualtiero II di Autun, il conte Ghigo III di Forez, Bernardo IV di Moreuil, Enrico d'Arraines, Ugo di Chaumont, Giovanni di Villers, Pietro Bromont e i fratelli Gualtiero e Ugo di Saint-Denis insieme ai rispettivi seguiti.[45]

I marinai di Marsiglia possedevano maggiore esperienza di navigazione in acque aperte rispetto a quelli di qualsiasi altro porto del Mediterraneo e questo gli permetteva in estate di raggiungere Acri in soli quindici giorni. Inoltre Marsiglia era anche un porto economico e facilmente accessibile per il contingente francese.[45]

Baldovino inviò l'ordine ai suoi uomini Marsiglia di salpare alla fine di marzo 1203 e incontrarsi con la flotta veneziana al largo di Modone.I suoi messaggeri portarono anche la notizia della decisione di deviare verso Costantinopoli prima di proseguire per la Terra Santa. Per questo motivo i capi fiamminghi potrebbero aver deciso di ignorare l'ordine di appuntamento e di salpare direttamente per Acri. È anche possibile che avessero deciso di rispettare la disposizione ma poi, non trovando la flotta veneziana (che non arrivò a Modone prima di maggio), proseguirono autonomamente verso Acri. In ogni caso, giunsero a destinazione il 25 aprile 1203 prima di Martino di Paris.[45] Prima però, almeno una parte della flotta, si fermò a Cipro, dove Teodorico di Fiandra rivendicò l'isola a nome di sua moglie, la figlia di Isacco Comneno ex re di Cipro. Aimery tuttavia ordinò a Teodorico di lasciare l'isola e quindi proseguirono per il Regno di Armenia, patria della suocera di Teodorico.[48]

I crociati fiamminghi ad Acri incontrarono le stesse difficoltà incontrate da Renardo di Dampierre. Re Aimery, infatti, non era disposto a rompere la tregua soltanto per il desiderio di un esercito così piccolo. I crociati, quindi, si divisero. Alcuni entrarono al servizio del Principato di Antiochia ed altri a quello della Contea di Tripoli. Bernardo di Moreuil e Giovanni di Villers si unirono a Renardo di Dampierre e furono catturati insieme a lui. Giovanni di Nesle andò in aiuto dell'Armenia e si ritrovò così a combattere alcuni dei suoi ex compagni, poiché l'Armenia e l'Antiochia erano allora in guerra. Prima del 5 novembre 1203, tuttavia, la tregua fu rotta. I musulmani sequestrarono due navi cristiane e, per rappresaglia, i cristiani presero a loro volta sei navi musulmane. I crociati fiamminghi tornarono nel Regno di Gerusalemme per combattere.[45]

L'8 novembre, Martino di Pairis e Corrado di Swartzenberg furono inviati all'esercito principale, che allora assediava Costantinopoli, per convincerlo a proseguire verso la Terra Santa ora che la tregua era stata rotta. Giunti il 1° gennaio 1204 nel mentre di pesanti combattimenti e la loro ambasciata finì in un nulla di fatto.[45]

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Impero latino di Costantinopoli e Francocrazia.
Monumento dedicato a Baldovino I di Costantinopoli a Mons in Hainaut

Alla notizia de sacco di Costantinopoli, papa Innocenzo III scrisse lettere ai crociati, deplorando le loro azioni ma ciò non cambiò la situazione[49] La crociata da lui predicata e indetta si era tramutata in una guerra tra stati cristiani peggiorando, contrariamente a quanto auspicato dallo stesso pontefice, i rapporti fra la Chiesa ortodossa e quella cattolica di Roma già formalmente separate dal Grande Scisma del 1054; separazione che permane tuttora nonostante alcuni tentativi di riconciliazione.

Secondo quanto previsto dall'accordo Partitio terrarum imperii Romaniae sottoscritto dopo il sacco, parte del territorio bizantino andò a Venezia. Per ampliare la propria potenza marittima la Serenissima reclamò e ottenne la costa occidentale della Grecia, tutto il Peloponneso (Morea), Nasso, Andro, Eubea (oggi Negroponte), Gallipoli, Adrianopoli e i porti della Tracia sul Mar di Marmara. Da allora il Doge assunse il titolo di “Dominus quartae partis et dimidiae totius Imperii Romaniae”, cioè Signore di un quarto e mezzo dell'Impero Romano d'Oriente. I veneziani pretesero anche tre ottavi della città di Costantinopoli e occuparono il quartiere dove è oggi ubicata l'Hagia Sophia, ex basilica di Santa Sofia[50]

L'impero bizantino si trovò smembrato in tre nuove entità politiche sorrette dagli esuli: l'Impero di Nicea, il Despotato di Epiro e l'Impero di Trebisonda, mentre a Costantinopoli venne fondato il cattolico impero latino guidato da Baldovino I. Nei territori controllati dagli occidentali si instaurò un sistema di tipo feudale, con a capo nobili francesi e italiani, che segnò il periodo noto come "Francocrazia".

Tale situazione durò fino al 1261 quando l'imperatore di Nicea, Michele VIII Paleologo, riuscì a riprendere Costantinopoli sconfiggendo i latini ripristando l'impero Bizantino. Tuttavia l'Impero si trovava in forte decadenza e la sua capitale, da anni considerata un bastione del cristianesimo a difesa dell'Europa dall'avanzata delle forze musulmane, aveva ricevuto un colpo irreparabile dal sacco conseguente alla Quarta Crociata. Così, la nuova dinastia imperiale dei paleologi nulla poté fare nei decenni successivi per contrastare efficacemente le continue pressioni degli ottomani che, nel 1453, conquisteranno Costantinopoli ponendo fine a quello che fu l'Impero Romano d'Oriente 1058 anni dopo la sua fondazione.

Reazioni[modifica | modifica wikitesto]

Gli eventi legati alla Quarta Crociata suscitarono forti reazioni ancora oggi non del tutto sopite. Diversi eminenti crociati, tra cui Enguerrand III, Simone IV di Montfort e Guido di Vaux-de-Cernay, contestarono la scelta di attaccare Zara e Costantinopoli, rifiutando di prendervi parte e abbandonando la spedizione.[51] Il bizantinista Jonathan Harris scrisse che quando fu presa la decisione di dirottare verso Costantinopoli "Una parte considerevole [di crociati] lasciò l'esercito e si diresse verso la Terra Santa. Coloro che rimasero accettarono solo con riluttanza la diversione quando furono sottoposti a un misto di ricatto finanziario ed emotivo. Già allora molti esitarono prima dell'attacco finale dell'aprile 1204, e nutrirono seri dubbi sulla legittimità di attaccare in questo modo una città cristiana".[52]

Il monaco e poeta Guiot de Provins scrisse un'opera satirica in risposta alla crociata accusando il papato di avarizia.[53] Un po' più tardi, il Guilhem Figueira scrisse un sirventes e ripeté queste accuse, affermando che l'avidità era il fattore principale dietro la crociata. Egli dichiarò:[53]

«Roma ingannatrice, l'avarizia ti prende in trappola, sì che tosi troppo la lana delle tue pecore. Lo Spirito Santo, che assume carne umana, ascolti la mia preghiera e ti spezzi il becco, o Roma! Non avrai mai tregua con me perché sei falso e perfido con noi e con i Greci [...] Roma, fai poco male ai Saraceni, ma massacri Greci e Latini. Nel fuoco dell'inferno e nella rovina hai il tuo posto, Roma.»

Nel 1954 l'eminente medievalista Sir Steven Runciman affermò che "non c'è mai stato un crimine contro l'umanità più grande della Quarta Crociata".[54] Lo storico Martin Arbagi osservò invece che "la deviazione della Quarta Crociata nel 1204 fu una delle più grandi atrocità della storia medievale, e Papa Innocenzo III attribuì la maggior parte della colpa a Venezia".[55]

Ottocento anni dopo la Quarta Crociata, Papa Giovanni Paolo II espresse due volte dolore per tali eventi. Nel 2001 scrisse a Cristodulo, arcivescovo di Atene: "È tragico che gli assalitori, che volevano garantire il libero accesso ai cristiani in Terra Santa, si siano rivoltati contro i loro fratelli nella fede. Il fatto che fossero cristiani latini riempie Cattolici con profondo rammarico."[56] Nel 2004, mentre Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, si trovava in visita in Vaticano, Giovanni Paolo II si chiese: "Come non condividere, a distanza di otto secoli, il dolore e il disgusto".[57] Ciò è stato considerato come scuse verso la Chiesa greco-ortodossa per i massacri perpetrati durante la Quarta Crociata.[58]

Nell'aprile 2004, in un discorso in occasione dell'800° anniversario della presa della città, il Patriarca ecumenico Bartolomeo I accettò formalmente le scuse. "Lo spirito di riconciliazione è più forte dell'odio", ha detto durante una liturgia alla quale ha partecipato l'arcivescovo cattolico romano Philippe Barbarin di Lione. "Riceviamo con gratitudine e rispetto il vostro gesto cordiale per i tragici eventi della Quarta Crociata. È un dato di fatto che qui in città fu commesso un crimine 800 anni fa." Bartolomeo ha detto che la sua accettazione è avvenuta nello spirito della Pasqua. "Lo spirito di riconciliazione della risurrezione... ci incita alla riconciliazione delle nostre Chiese".[59]

Analisi storica[modifica | modifica wikitesto]

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

Lo storico bizantino Niceta Coniate

Le principali fonti storiografiche grazie alle quali è stato possibile ricostruire la pianificazione e lo svolgimento della quarta crociata sono tre cronache scritte dai protagonisti di questi eventi. La più importante è sicuramente la Histoire de la conquête de Constantinople di Goffredo di Villehardouin, siniscalco della Champagne, che oltre ad aver partecipato alla spedizione è stato anche uno degli artefici delle trattative iniziali e quindi fu un prezioso testimone di tutte le fasi della crociata. Della cronaca di Villehardouin è stato comunque osservato di come l'autore probabilmente abbia evitato di riportare alcuni aspetti giudicati non positivi per la causa crociata. Anche il cavaliere Roberto de Clari lasciò una cronaca, tuttavia sostanzialmente descrittiva e priva di considerazioni e di dettagli. Lo storico bizantino Niceta Coniate fu testimone oculare dei gravi disordini che avvennero con la presa di Costantinopoli da parte dei Crociati che raccontò nei suoi scritti senza però poter avere una visione di insieme e certamente influenzata dall'odio verso gli invasori occidentali.[4]

Un'altra fonte molto importante sono gli atti di papa Innocenzo III e la sua numerosa corrispondenza che intrattenne con i capi crociati al fine di cercare di mantenere il controllo sulla spedizione che gli sembrò spesso non aver appieno. Poco o nulla abbiamo di provenienza veneziana, gli storici della Serenissima «per caso o per intenzione coprirono ogni traccia non lasciando nulla di scritto, e i cronisti posteriori videro assai più gloria che non vituperio nelle imprese del grande doge Dandolo».[4]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Zorzi, 2001, p. 99.
  2. ^ a b Riley-Smith, 2017, p. 233.
  3. ^ Riccardo I, cuor di leone, Re di Inghilterra, in Enciclopedia fridericiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2005.
  4. ^ a b c d e f g La quarta crociata, in Storia di Venezia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1992-2012.
  5. ^ a b c Zorzi, 2001, p. 100.
  6. ^ Riley-Smith, 2017, p. 237.
  7. ^ Riley-Smith, 2017, p. 234.
  8. ^ a b Zorzi, 2001, p. 101.
  9. ^ Zorzi, 2001, pp. 100-101.
  10. ^ a b Lane, 1978, p. 44.
  11. ^ Riley-Smith, 2017, p. 235.
  12. ^ a b c Riley-Smith, 2017, p. 240.
  13. ^ Riley-Smith, 2017, pp. 235-236.
  14. ^ Zorzi, 2001, pp 101-102.
  15. ^ a b Zorzi, 2001, p. 102.
  16. ^ a b Zorzi, 2001, pp. 102-103.
  17. ^ Riley-Smith, 2017, pp. 240-241.
  18. ^ a b Zorzi, 2001, p. 103.
  19. ^ a b c d Riley-Smith, 2017, p. 243.
  20. ^ Riley-Smith, 2017, pp. 241-242.
  21. ^ Zorzi, 2001, p. 104.
  22. ^ Riley-Smith, 2017, pp. 242-243.
  23. ^ Alessio IV Angelo, imperatore di Bisanzio, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  24. ^ a b Zorzi, 2001, p. 105.
  25. ^ Zorzi, 2001, p. 106.
  26. ^ Zorzi, 2001, pp. 106-107.
  27. ^ Riley-Smith, 2017, pp. 243-244.
  28. ^ Riley-Smith, 2017, p. 244.
  29. ^ Zorzi, 2001, p. 107.
  30. ^ Zorzi, 2001, pp. 108-109.
  31. ^ a b Riley-Smith, 2017, p. 245.
  32. ^ Zorzi, 2001, p. 109.
  33. ^ a b c Zorzi, 2001, p. 110.
  34. ^ Riley-Smith, 2017, pp. 245.
  35. ^ Riley-Smith, 2017, pp. 246.
  36. ^ Zorzi, 2001, pp. 110-111.
  37. ^ Riley-Smith, 2017, pp. 246-247.
  38. ^ Zorzi, 2001, p. 111.
  39. ^ a b Riley-Smith, 2017, p. 247.
  40. ^ Teodorio I Lascaris, imperatore di Nicea, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  41. ^ Zorzi, 2001, pp. 111-112.
  42. ^ Zorzi, 2001, p. 113.
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  57. ^ Pope sorrow over Constantinople, in BBC News, 29 giugno 2004.
  58. ^ Phillips, The Fourth Crusade, p. xiii.
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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  • (EN) Kedar, 2005 Benjamin Z. Kedar, The Fourth Crusade's Second Front, in Angeliki Laiou (a cura di), Urbs Capta: The Fourth Crusade and its Consequences, Parigi, Lethielleux, 2005, ISBN 978-2-283-60464-9.
  • (EN) David Nicolle, The Fourth Crusade 1202–04: The Betrayal of Byzantium, Oxford, Osprey Publishing, 2011, ISBN 978-1-84908-319-5.

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