Renato Curcio

Renato Curcio durante un processo alle Brigate Rosse

Renato Curcio (Monterotondo, 23 settembre 1941) è un ex terrorista italiano, tra i fondatori delle Brigate Rosse[1][2][3][4][5][6].

Formatosi all'Università di Trento, dove fu iscritto a Sociologia senza arrivare a conseguire la laurea, e nelle lotte del Movimento Studentesco, nel 1969 fondò, con altri, come la moglie Margherita Cagol e Alberto Franceschini, il Collettivo Politico Metropolitano, che avrebbe dato origine, passando per l'esperienza di Sinistra Proletaria, al primo nucleo delle Brigate Rosse, il principale gruppo di lotta armata dell'estrema sinistra attivo negli anni di piombo.

Arrestato nel 1974 ed evaso l'anno dopo, rimase nuovamente latitante per un breve periodo, e fu in seguito arrestato e condannato a 28 anni di reclusione per concorso morale in omicidio, in seguito all'attacco alla sede del Movimento Sociale Italiano di Padova (Curcio non vi partecipò e non uccise mai nessuno di persona, ma fu fra gli ispiratori dell'azione e ne scrisse il proclama di rivendicazione), per la costituzione di associazione sovversiva e altri reati. Pur non essendosi mai dissociato, ha dichiarato la fine della lotta delle BR e ha criticato alcune delle sue scelte. Nel 1998 è stato quindi scarcerato con quattro anni di anticipo e dopo quattro anni di semilibertà; in tutto, ha scontato circa 25 anni di reclusione, di cui 21 in carcere (12 in regime di carcere duro).[7]

Da allora è tornato all'attività di intellettuale e saggista nella cooperativa editoriale e sociale Sensibili alle foglie, da lui fondata, la quale si occupa di tematiche legate alla disabilità, nonché a istituzioni totali (come carceri e manicomi), immigrazione e studi sulle nuove forme di controllo sociale nella società di massa.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Infanzia e adolescenza (1941-1960)[modifica | modifica wikitesto]

Curcio nasce a Monterotondo, in provincia di Roma, il 23 settembre 1941. La madre, Jolanda Curcio, era una ragazza-madre originaria di Orsara di Puglia (FG), stabilitasi per lavoro nella provincia romana, dove intrattenne una relazione clandestina con il romano Renato Zampa, fratello del celebre regista cinematografico Luigi Zampa, che la abbandonò a seguito della scoperta della gravidanza della giovane. I primi anni della sua vita sono molto difficili, sia per le difficoltà scolastiche, sia per la precarietà dei lavori della madre. Fino ai 10 anni d'età vive nel paese natìo della madre, con la famiglia materna, di religione valdese. In seguito lo zio Luigi Zampa si farà carico di provvedere ai suoi bisogni.

Nella sua autobiografia, A viso aperto, racconta che la morte dello zio materno Armando (da non confondere con l'omonimo editore Armando Curcio), operaio della FIAT, ucciso la sera della Liberazione, di ritorno da Torino, da un gruppo di nazisti, lo segna profondamente, dal punto di vista affettivo ma non da quello politico: rispondendo alla domanda di Mario Scialoja se l'immagine della morte dello zio avesse contato molto per lui, Curcio rispose "Moltissimo dal punto di vista umano e affettivo. Sul piano politico non direi. Per tanti anni non ho attribuito nessuna valenza politica al dolore di quel ricordo. Solo molto più tardi quando ero già a Trento, ho scoperto il significato della morte di zio Armando".[8] Il suo primo "nome di battaglia" da brigatista fu proprio "Armando".

Dopo le scuole elementari, viene iscritto al collegio cattolico "Don Bosco" di Centocelle, a Roma, dove viene bocciato. Dopo questo insuccesso scolastico viene mandato a Imperia e affidato a una nuova famiglia di amici della madre.[9] Finita la scuola di avviamento, a quindici anni, il padre gli trova un posto come ascensorista all'Hotel Cavalieri di Milano. Dopo un anno di lavoro come ascensorista, si ricongiunge alla madre, che nel frattempo ha rilevato una pensione a Sanremo. S'iscrive e poi si diploma come perito chimico all'istituto tecnico industriale "Contardo Ferrini" di Albenga.

Foto di Curcio dal documento d'identità

Primi approcci politici (1961-1964)[modifica | modifica wikitesto]

I suoi primi approcci politici vanno in direzione dell'estrema destra, secondo quanto contenuto in alcuni opuscoli riconducibili a quest'area.[10][11] Ad Albenga milita dapprima nel gruppo "Giovane nazione", quindi in "Giovane Europa", due piccole organizzazioni che riprendono le tesi nazional-socialiste di Jean Thiriart.[12] Curcio viene anche citato come capo della sezione di Albenga e celebrato il suo zelo militante nella rivista Giovane Nazione:[13] bisogna notare, tuttavia, che nell'autunno 1963 Curcio già frequenta l'Università di Trento - città in cui si è trasferito nel giugno 1962 dopo un anno trascorso a Genova - e i suoi studenti. Curcio non ha mai fatto riferimento a questa sua militanza nell'estrema destra, affermando anzi di aver cominciato a occuparsi di politica quando era già all'Università di Trento, "e neanche subito".[14]

Mara Cagol e Renato Curcio

Dopo un anno trascorso in condizioni precarie a Genova, dove vive di piccoli espedienti, nel 1963 si iscrive all'Istituto Superiore di Scienze Sociali (poi Università) di Trento, al corso di laurea in sociologia. Lì le cronache raccontano che, tra i vari corsi, Curcio seguisse con particolare interesse le lezioni di un allora giovanissimo Romano Prodi[15], all'epoca assistente universitario del professor Beniamino Andreatta. A Trento, intorno al 1964, lavora come portaborse del vicesindaco di Trento Iginio Lorenzi, socialista, scomparso nel 2004. Viene poi coinvolto dalla mobilitazione studentesca, che a Trento inizia prima di altrove con l'occupazione dell'università. Nel 1965 entra a far parte del G.D.I.U.T., il gruppo trentino dell'Intesa Universitaria, fondato da Marco Boato, in cui si ritrovavano giovani di ispirazione cristiana, ma politicamente laici. In tale contesto conosce Margherita Cagol, studentessa cattolica che sarà la sua compagna fino alla morte di lei. Matura il proprio credo ideologico all'interno delle lotte universitarie e aderisce ad alcuni piccoli gruppi d'estrema sinistra.

Per un certo periodo condivide l'abitazione con Mauro Rostagno, soprannominato il "Che" di Trento, che sarà uno dei fondatori di Lotta Continua (Curcio sarà chiamato negli anni 2000 a testimoniare anche nel processo per l'omicidio di Rostagno per mano della mafia siciliana). Nel 1967 forma un gruppo di studio denominato Università Negativa, in cui viene svolto un lavoro di formazione teorica con una rilettura di testi ignorati dai corsi universitari tra i quali Mao Zedong, Herbert Marcuse, Che Guevara, Raniero Panzieri, Amílcar Cabral. Entra a far parte della redazione della rivista Lavoro Politico, d'ispirazione marxista-leninista: dai suoi articoli traspare una critica verso il "filocastrismo" e verso l'avventurismo di chi arrivava a proporre azioni armate in Italia; come si legge testualmente in chi queste azioni proponeva[non chiaro] "è solo un piccolo borghese in cerca di emozioni e non un vero rivoluzionario", poiché la presa del potere da parte del proletariato è un processo lungo che non può essere ridotto alla sola parola d'ordine della guerriglia. Pur avendo completato tutti gli esami, fa la scelta "politica" di non laurearsi. Il 1º agosto 1969 sposa Margherita Cagol, nel santuario di San Romedio in Val di Non, con rito misto cattolico-valdese.[16]

La lotta armata e le Brigate Rosse (1969-1973)[modifica | modifica wikitesto]

L'8 settembre 1969 Curcio, Cagol e altri fondano il Collettivo Politico Metropolitano (CPM): è questo il periodo in cui vengono introdotti nelle fabbriche e in cui conoscono i giovani che faranno parte delle future Brigate Rosse. Nel clima dell'"Autunno caldo", nel novembre 1969, Curcio partecipa al convegno di Chiavari.

Bandiera delle Brigate Rosse

Stando a quanto riportato da Giorgio Galli,[17] all'Hotel Stella Maris di Chiavari, di proprietà di un istituto religioso, si riuniscono una settantina di appartenenti al Collettivo Politico Metropolitano di Milano. Tra di loro ci sono molti di coloro che - nell'anno successivo - fondano le Brigate Rosse. Secondo Curcio «quando il movimento trovò la "strada sbarrata", di fronte all'alternativa se "vivere o no in democrazia tutelata" alcuni come lui "dissero no". E nacque la lotta armata, quasi per necessità.»[18]

Nel maggio 1974 vennero diffuse dagli inquirenti le foto di alcuni dei presunti capi delle Brigate Rosse: il secondo da destra è Renato Curcio. Gli altri tre sono: Piero Morlacchi, Mario Moretti e Alfredo Bonavita.

Nella sua relazione a Chiavari, Curcio cita un noto rivoluzionario brasiliano, Marcelo de Andrade, il quale asseriva che "Ogni alternativa proletaria al potere è - fin dall'inizio - politico-militare, nel senso che la lotta armata cittadina costituisce la via principale alla lotta di classe". Dunque, in questa occasione, Curcio si mostra favorevole alla presa delle armi da parte dell'avanguardia proletaria. Ma la sua posizione e quella di qualche altro oratore rimane, al momento, minoritaria. Il CPM, però, si trasforma in un gruppo più centralizzato, Sinistra Proletaria, che stampa anche due numeri di una rivista. Le posizioni di molti di coloro che avevano rifiutato la lotta armata cominciano a mutare con la strage di piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre dello stesso 1969.

Nel settembre 1970 si tiene il Convegno di Pecorile, con il quale ha fine l'esperienza di Sinistra Proletaria: alcuni, tra cui Curcio, Cagol, Alberto Franceschini, decidono di passare alla lotta armata. Il 17 settembre 1970 si ha la prima azione politico-militare firmata "Brigate Rosse": viene incendiata l'automobile di un dirigente della Sit Siemens, Giuseppe Leoni nel quartiere Lorenteggio di Milano. Sui volantini distribuiti si legge che quello era l'esempio da dare ai crumiri e ai "dirigenti-bastardi". Sit-Siemens, Pirelli, Alfa Romeo: queste sono le prime industrie ove si insedia il partito armato.

Da questo momento la storia di Curcio coincide con quella delle Brigate Rosse, anche se la sua partecipazione alle azioni, inizialmente attentati incendiari ai danni di automobili di dirigenti di fabbrica e di avversari politici, è nei primi tempi molto limitata. Curcio, infatti, si connota come "ideologo" dell'organizzazione e si occupa principalmente della stesura di documenti e dell'elaborazione teorica dell'organizzazione. Nell'estate del 1972, dopo una prima ondata di arresti, si trasferisce con sua moglie Margherita a Torino, dove fondano una nuova colonna dell'organizzazione e passano alla clandestinità completa.

L'arresto e la carcerazione (1974-1998)[modifica | modifica wikitesto]

Curcio fa parte del primo Comitato esecutivo dell'organizzazione costituito nel 1972, insieme ad Alberto Franceschini, Mario Moretti e Piero Morlacchi. Tra le azioni rivendicate dalle BR l'omicidio di Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola, militanti del Movimento Sociale Italiano il 17 giugno 1974, uccisi nella sede del MSI in via Zabarella a Padova. Curcio, condannato come mandante di quegli omicidi, scrisse il volantino di rivendicazione insieme agli altri dirigenti delle BR non senza titubanza, specificando come l'evento non fosse stato pianificato dall'organizzazione.

Silvano Girotto, che fu per ragioni ideologiche il principale artefice del primo arresto di Curcio, interrogato il 26 settembre 1974 da Gian Carlo Caselli riferisce alcune parole di Curcio relative alla pratica di lotta armata, dove specificava che "bisognava anche sapere che, se necessario, le BR uccidevano". Circa vent'anni dopo il fatto invece (nel 1993), il duplice omicidio viene ricordato da Curcio nella sua autobiografia/intervista con Mario Scialoja come un "incidente di percorso, un episodio non voluto". Curcio parla apertamente di "disastro politico" e di "errore grave", in quanto l'azione dei militanti padovani compromise l'immagine delle BR.

«L'azione non aveva niente a che vedere con ciò che le BR stavano facendo. Non vedevamo nei fascisti un reale pericolo. Mi preoccupai moltissimo. C'era il rischio di stravolgere l'immagine delle BR, riducendola a quella di un gruppo di scalmanati che davano ordine di andare ad ammazzare la gente nelle sedi missine.[19]»

8 settembre 1974, l'arresto di Renato Curcio a Pinerolo: a sinistra, Curcio alla guida della Fiat 128 mentre Alberto Franceschini (l'uomo con i baffi fuori dall'auto) è bloccato dai carabinieri in borghese del Nucleo Speciale Antiterrorismo; a destra, primo piano di Curcio fotografato al momento dell'arresto.

Senza curarsi del fatto che dopo quegli omicidi le BR avevano emesso un volantino di rivendicazione di cui lui stesso era stato ritenuto autore, Curcio nell'intervista spiega che a quel tempo l'eventualità che l'organizzazione commettesse degli omicidi e ne subisse era un principio accettato nella logica della pratica rivoluzionaria, ma afferma che "uccidere consapevolmente in quel periodo lo escludevo: ritenevo che per il nostro tipo di organizzazione sarebbe stato un passo controproducente e negativo". Risulta però chiaro che susseguentemente al duplice omicidio, Curcio e il direttorio BR agiscono con il fine di professionalizzare la preparazione militare dei brigatisti. Infatti, attraverso il dottor Enrico Levati e l'avvocato Giambattista Lazagna, giungono in contatto con Silvano Girotto detto "Frate Mitra" che, d'accordo con i carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, cercava il contatto con le BR e queste, affascinate dalla sua fama di frate guerrigliero gli propongono di divenire loro addestratore militare.

Rispondendo alle domande della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo, Girotto ricorda le parole dei brigatisti nel corso dei tre incontri succedutisi tra luglio e settembre 1974. «Moretti disse: "Siamo così carichi di odio che le nostre pistole sparano da sole". E Curcio aggiunse: "Sì, però per il momento ci spariamo sui piedi, abbiamo bisogno di lui"».[20] L'8 settembre 1974, data fissata per il terzo incontro con Silvano Girotto, Renato Curcio e Franceschini vengono arrestati a Pinerolo mentre a bordo di una Fiat 128 si recano al luogo convenuto per l'incontro. Mario Moretti, secondo Girotto, fu misteriosamente avvisato da qualcuno di non presentarsi, e scampò all'arresto.[21] Nel 2002, in procinto di partire come volontario con la sua compagna in una missione cattolica al servizio dei poveri in Etiopia, Girotto volle riprendere contatto con coloro che aveva fatto arrestare e che erano ormai liberi dopo aver scontato pesanti condanne. L'incontro fu reso possibile da suor Teresilla Barillà. Renato Curcio, pur non manifestando rancore, declinò l'invito, mentre Alberto Franceschini accettò l'incontro, stabilendo con lui un rapporto amichevole.[21]

Evasione e nuovo arresto[modifica | modifica wikitesto]

Il secondo arresto di Renato Curcio (1976)

Come conseguenza di un'azione diretta e guidata da Margherita Cagol, Curcio evade dal carcere il 18 febbraio 1975 e rientra nelle Brigate Rosse, dove però ormai le sue posizioni sono marginali. Sua moglie Margherita Cagol, conosciuta con il "nome di battaglia" di "Mara", viene uccisa in un conflitto a fuoco con i Carabinieri nel giugno del 1975, in cui rimane ucciso anche l'appuntato Giovanni D'Alfonso e ferito gravemente il tenente Umberto Rocca, durante la liberazione dell'industriale Gancia, sequestrato a scopo di autofinanziamento del gruppo. Curcio redigerà un comunicato celebrativo della memoria della moglie:

«È caduta combattendo Margherita Cagol, "Mara", dirigente comunista e membro del Comitato esecutivo delle Brigate Rosse. La sua vita e la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà più dimenticare. (...) Comandante politico-militare di colonna, "Mara" ha saputo guidare vittoriosamente alcune tra le più importanti operazioni dell’organizzazione. Valga per tutte la liberazione di un nostro compagno dal carcere di Casale Monferrato.[Lo stesso Curcio, NDR] Non possiamo permetterci di versare lacrime sui nostri caduti, ma dobbiamo impararne la lezione di lealtà, coerenza, coraggio ed eroismo! (...) Che mille braccia si protendano per raccogliere il suo fucile! Noi come ultimo saluto le diciamo: "Mara" un fiore è sbocciato, e questo fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria! Lotta armata per il comunismo!»

Il 18 gennaio 1976 Curcio viene riarrestato insieme a Nadia Mantovani (nuova compagna di Curcio dopo la morte di "Mara") in un appartamento in Via Maderno, a Milano.

Con la morte di Margherita Cagol e la nuova carcerazione di Curcio e di Franceschini, la direzione del movimento passa in mano a esponenti della cosiddetta "ala militarista" con a capo Mario Moretti. Nel giugno del 1976 vengono uccisi il Procuratore Generale Francesco Coco e la sua scorta: si tratta del primo omicidio premeditato delle Brigate Rosse, anche se le prime due vittime delle BR erano state Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola.

Il 10 maggio 1978, il giorno dopo l'omicidio seguito al rapimento dell'onorevole Aldo Moro, alla caserma Lamarmora a Torino, dove si celebra il processo ad alcuni dei capi storici delle BR, Renato Curcio prende la parola e attraverso un comunicato, condiviso con altri imputati, celebra così la morte del presidente della D.C.: « [...] Ecco perché noi sosteniamo che l'atto di giustizia rivoluzionaria esercitato dalle Brigate Rosse nei confronti del criminale politico Aldo Moro, (...), è il più alto atto di umanità possibile per i proletari comunisti e rivoluzionari, in questa società divisa in classi».[22][23]

Curcio viene espulso dall'aula così come il coimputato Alberto Franceschini che cerca, subito dopo di lui, di ripetere le parole del comunicato, presto interrotto dall'intervento della forza pubblica. Curcio, che non ha mai sparato personalmente, viene condannato a trent'anni per associazione sovversiva, banda armata e come mandante dell'omicidio di Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, venendo riconosciuto come autore del proclama delle BR rivendicante gli omicidi.

Egli, come Prospero Gallinari e Barbara Balzerani, non si è mai dissociato né pentito. Ha rivendicato tutte le azioni brigatiste fino alla metà degli anni ottanta, criticando però davanti ai giudici le sue vecchie scelte e dichiarando finita la lotta armata.[24] Nel 1987, infatti, con una lettera aperta firmata insieme a Mario Moretti e altri, dichiara chiusa l'esperienza delle Brigate Rosse, rilevandone l'inattualità, specie in riferimento agli ultimi gruppi brigatisti e neo-brigatisti da allora operanti, che vengono però disconosciuti da Curcio e dall'intero nucleo storico.[25] Passò un periodo al carcere di Pianosa, infine venne trasferito nel 1988 a Rebibbia, nell'area omogenea con altri ex terroristi reclusi, non più in regime di carcere duro.

Nel 1980 le edizioni Gammalibri pubblicano Fuori dai denti, il cui testo in origine circolava come ciclostile, scritto nel 1968 a due mani da Curcio e Mauro Rostagno (a quel tempo leader del Movimento Studentesco Antiautoritario trentino) rifacentisi all'esperienza comune di studenti presso la facoltà di sociologia dell'Università di Trento, con la prefazione di Giorgio Bocca e una postfazione di Aldo Ricci, un dissidente del Movimento Studentesco trentino[26].

Dibattito sulla grazia a Curcio (Cossiga, 1991)[modifica | modifica wikitesto]

Renato Curcio con Barbara Balzerani durante uno dei processi

Nell'agosto 1991, Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica, propone di concedere la grazia a Renato Curcio. È un atto inusuale perché Cossiga propone la grazia pubblicamente, condizionandola però al riconoscimento da parte delle forze politiche, e soprattutto del Governo e del Parlamento, di un valore politico più generale della stessa. Inizia un dibattito che vede coinvolto il mondo politico e la stampa[27][28].

Marco Pannella inserisce questa vicenda (settimo paragrafo del documento), nella sua denuncia nei confronti del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga per attentato alla Costituzione il 26 novembre 1991. Sotto accusa sono le modalità della proposta di grazia (non la possibilità della grazia in sé) e il presunto stravolgimento della prassi costituzionale consolidata[29].

Anche Indro Montanelli, gambizzato dalle BR nel 1977, si dichiara favorevole alla scarcerazione di Curcio[30].

La figlia di Giralucci, Silvia, scrive invece quanto segue allo stesso presidente Cossiga in una lettera pubblica: «La grazia è un'ingiustizia che ci offende, sia come familiari delle vittime del terrorismo, che come privati cittadini. Mia madre ed io avevamo già espresso parere negativo alla grazia [...] La nostra vita è stata profondamente segnata da quell'episodio, è una vita non completa, non normale. Perché dobbiamo concedere una vita normale a chi non ha permesso che la nostra fosse tale? Hanno stroncato e segnato irreversibilmente troppe vite per avere il diritto di godersi la loro. Constatatone il fallimento, vorrebbero, e lei con loro, considerare la loro esperienza storicamente sorpassata, ma il dolore mio e della mia famiglia non è ancora storia, è vita».

Il figlio di Giuseppe Mazzola, alla proposta di grazia a Curcio richiede la sospensione dello status di cittadinanza italiana suo, dei fratelli e della madre fino allo scadere del mandato presidenziale di Cossiga. Di fronte alla esplicita iniziativa del Presidente Cossiga sulla concessione della grazia a Renato Curcio, tra parecchie polemiche, il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti concorda, fatto che spinge il Ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli, a rivendicare le proprie prerogative in materia presentando infatti un ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti della Presidenza della Repubblica e della Presidenza del Consiglio. Il processo costituzionale fu poi dichiarato estinto (ord. n. 379 del 1991), senza che la Corte si esprimesse, in quanto lo stesso Ministro Martelli rinunciò al ricorso e, dall'altra parte, il Presidente Cossiga non tornò sull'argomento grazia a Curcio.

Nel 1990 fonda, insieme a Stefano Petrella e Nicola Valentino, la casa editrice Sensibili alle foglie, una cooperativa di cui è l'attuale direttore editoriale.

Anni recenti (1993-oggi)[modifica | modifica wikitesto]

Appena ottenuta la semilibertà 7 aprile 1993, l'allora direttore de Il Giorno, Paolo Liguori, gli offrì un posto da giornalista ma lui declinò l'offerta perché prematura.[31]

Renato Curcio nel 2008

Nel 1993 e negli anni 2000 fu convocato a rendere la sua testimonianza nel processo per la morte del suo amico Mauro Rostagno, assassinato da Cosa nostra:

«In tanti cercheranno di dire che è morto perché la mafia lo ha ucciso, perché qualche spacciatore lo ha ucciso, perché qualche amante deluso lo ha ucciso. Ma niente di tutto ciò ci racconterà la storia di Mauro perché Mauro non è morto per nessuna di queste ragioni. E la ragione per cui è morto resterà inconfessabile, impossibile da raccontare.»

Nel 1994 la sua cooperativa pubblica l'importante Princesa, l'autobiografia di Fernanda Farias De Albuquerque[32] (scritta con l'ex brigatista Maurizio Iannelli conosciuto da lei in carcere), donna transgender brasiliana (suicida nel 2000) su cui Fabrizio De André scriverà una canzone (Prinçesa, dall'album Anime salve del 1996). La presentazione del libro al Torino GLBT Film Festival - Da Sodoma a Hollywood viene contrastata dai parenti delle vittime delle Brigate Rosse che protestano proprio contro la presenza di Curcio. Princesa, quindi, preferisce non presentarsi; alla prima presentazione del libro, invece, avvenuta a Genova all'Osteria della Lanterna dopo che il comune aveva negato la sala comunale precedentemente concessa per protesta contro Curcio (regolarmente autorizzato dal giudice di sorveglianza), partecipano sia il fondatore delle BR sia Fernanda, e il comune amico don Andrea Gallo, celebre prete di strada genovese.[32]

Renato Curcio fu scarcerato definitivamente nell'ottobre del 1998, quattro anni prima della scadenza della pena.[24] I giudici di sorveglianza motivarono così la scelta: «Anche se Curcio non ha mai rinnegato il proprio passato politico a tutti noto, ponendosi come una sorta di interlocutore verso le istituzioni, mirando alla ridefinizione culturale, storica e politica degli anni '60 - '80, è pur vero che la sua attività lavorativa, oggi rivolta soprattutto alla ricerca e comunque coinvolgente le relazioni umane, è sintomatica di una sincera rivisitazione e messa in discussione delle scelte precedentemente operate, e sfociate nei delitti che oggi sta espiando» e nel suo «impegno volto al sociale può cogliersi il ravvedimento che la legge prevede per il beneficio oggi richiesto»[24]. Curcio, inoltre, ha abbandonato il marxismo-leninismo, professandosi altresì un anarco-comunista[33].

Riguardo alle sue nuove attività Curcio ha detto: «Io parlo solo del mio lavoro di ricercatore, il resto non mi interessa. Non salgo in cattedra e non sono un cattivo maestro», rifiutando quasi sempre di commentare argomenti inerenti o correlati agli anni di piombo[34][35].

Curcio si è risposato nel 1995 con Maria Rita Prette detta "Marita" (un'ex terrorista condannata per banda armata e oggi scrittrice e ricercatrice sociale[36][37]), con rito religioso (essendosi riavvicinato nuovamente alla religione cristiana valdese[33]) e con lei ha avuto una figlia. Abita in un casolare a Carrù (in provincia di Cuneo)[38], e scrive e cura libri sul mondo del lavoro, sulla condizione carceraria e su tutte le istituzioni totali: in particolare sugli internati nei manicomi giudiziari (da una prospettiva antipsichiatrica), sui portatori di handicap, sugli stati alterati di coscienza nella reclusione[39], dal 2015, con la pubblicazione del saggio L'impero virtuale, si dedica all'impatto della rivoluzione digitale nei rapporti all'interno della società moderna, studio che ha poi approfondito ulteriormente con le successive pubblicazioni: L'egemonia digitale, La società artificiale e L'algoritmo sovrano; svolge inoltre l'attività di sociologo[40], il campo di studi per cui intraprese il percorso universitario concluso, a fine anni '60, senza tuttavia conseguirne la laurea per scelta politica[33].

Nel 2013, con altri ex brigatisti e membri della sinistra extraparlamentare, ha partecipato ai funerali di Prospero Gallinari, a Coviolo (Reggio Emilia), suscitando accese polemiche e una denuncia archiviata[41]. Spesso è stato invitato a tenere conferenze sugli argomenti del proprio lavoro, causando a volte dure contestazioni e critiche per il suo passato.[42]

Procedimenti giudiziari e condanne[modifica | modifica wikitesto]

Curcio è stato condannato a 30 anni di carcere, ridotti poi a 28 (di cui scontati 24, 4 in semilibertà e 20 in prigione) per concorso morale in omicidio volontario nella morte dei militanti missini Giralucci e Mazzola (in quanto giudicato mandante dell'assalto alla sede del Movimento Sociale Italiano di Padova)[24], per costituzione e direzione di associazione sovversiva, evasione e per partecipazione a banda armata.[24] La pena di 28 anni è cumulativa di:

  • 15 anni, in seguito ridotti a 12, nel processo di Torino al nucleo storico delle BR (1974-78), per i reati di associazione sovversiva, evasione e banda armata[43] (per la stessa costituzione delle BR e per i sequestri e le rapine di finanziamento messi in atto dal gruppo, oltre che per la sua evasione da Casale);
  • 16 anni e 2 mesi per l'assalto alla sede del MSI e il derivante concorso morale in omicidio (sentenza definitiva nel 1991).[44]

Nel 2024 la procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio di Curcio, Mario Moretti, Lauro Azzolini e Pierluigi Zuffada per i fatti del sequestro Gancia (1975).

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • Fuori dai denti, con Mauro Rostagno, Milano, Gammalibri, 1980.
  • Gocce di sole nella città degli spettri, con Alberto Franceschini, Roma, Corrispondenza internazionale, 1982.
  • Wkhy, Roma, Cooperativa Apache, 1984.
  • L'alfabeto di Esté, Roma, Agalevi-Sensibili alle foglie, 1988.
  • Nel bosco di Bistorco, con Nicola Valentino e Stefano Petrella, Roma, Sensibili alle foglie, 1990; 1991; 1993.
  • Shish Mahal, Roma, Sensibili alle foglie, 1991.
  • Curatela di Hassan Itab, La tana della iena, Roma, Sensibili alle foglie, 1991.
  • Prefazione ad Agrippino Costa, Versoperverso, Cavallino di Lecce, Capone, 1991.
  • Introduzione a Francesco Cirillo, Sulla fronte un po' d'acido..., Lamezia Terme, Grisolia, 1992.
  • A viso aperto, Milano, A. Mondadori, 1993. ISBN 88-04-36703-2.
  • La soglia, Roma, Sensibili alle foglie, 1993; Milano, Tropea, 1997. ISBN 88-438-0068-X.
  • Metrò, Roma, Sensibili alle foglie, 1994.
  • Curatela di Primo Vanni, Mi viense allora uno sperimento, Roma, Sensibili alle foglie, 1995. ISBN 88-86323-51-4.
  • Reclusione volontaria, Tivoli, Sensibili alle foglie, 1997. ISBN 88-86323-94-8.
  • Fino alle radici del cuore. Lettere, con Francesco Silvestri, Cosenza, Periferia, 1999. ISBN 88-87080-12-7.
  • Nella città di Erech, con Nicola Valentino, Roma, Sensibili alle foglie, 2001. ISBN 88-86323-88-3.
  • L'azienda totale. Dispositivi totalizzanti e risorse di sopravvivenza nelle grandi aziende della distribuzione, Dogliani, Sensibili alle foglie, 2002. ISBN 88-86323-77-8.
  • Introduzione a Franco Del Moro, Il dubbio necessario. Liberare la coscienza dai limiti della razionalità e del materialismo, Murazzano, Ellin Selae, 2002.
  • Il dominio flessibile. Individualizzazione, precarizzazione e insicurezza nell'azienda totale, a cura di, Dogliani, Sensibili alle foglie, 2003. ISBN 88-86323-93-X.
  • Il consumatore lavorato, a cura di, Dogliani, Sensibili alle foglie, 2005. ISBN 88-86323-99-9.
  • La trappola etica. Ambiguità e suggestioni della responsabilità sociale d'impresa, a cura di, Dogliani, Sensibili alle foglie, 2006. ISBN 88-89883-08-1.
  • I dannati del lavoro. Vita e lavoro dei migranti tra sospensione del diritto e razzismo culturale, a cura di, Dogliani, Sensibili alle foglie, 2006. ISBN 978-88-89883-15-0.
  • Prefazione a Andate e ritorni. Conversazioni tra passato presente e futuro con Loris Tonino Paroli, Paderno Dugnano, Colibrì, 2009. ISBN 978-88-86345-80-4.
  • Respinti sulla strada. La migrazione ipermoderna di minorenni e ragazzi stranieri, a cura di, , Prefazione di Paolo Bellati, Dogliani, Sensibili alle foglie, 2009. ISBN 978-88-89883-31-0.
  • Razzismo e indifferenza, prefazione di don Andrea Gallo, Roma, Sensibili alle foglie, 2010. ISBN 978-88-89883-37-2.
  • La socioanalisi narrativa, con Marita Prette e Nicola Valentino, Roma, Sensibili alle foglie, 2012. ISBN 978-88-89883-57-0.
  • Mal di lavoro. Socioanalisi narrativa della sofferenza nelle attuali condizioni di lavoro, a cura di, Roma, Sensibili alle foglie, 2013
  • Il pane e la morte. Lo scambio salute-lavoro nel polo industriale brindisino, a cura di, Roma, Sensibili alle foglie, 2014
  • La rivolta del riso. Le frontiere del lavoro nelle imprese sociali tra pratiche di controllo e conflitti biopolitici, a cura di, Roma, Sensibili alle foglie, 2014
  • L'impero virtuale. Colonizzazione dell'immaginario e controllo sociale, Roma, Sensibili alle foglie, 2015
  • L'egemonia digitale. L'impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro, Roma, Sensibili alle foglie, 2016
  • La società artificiale. Miti e derive dell'impero virtuale, Roma, Sensibili alle foglie, 2017
  • L'algoritmo sovrano. Metamorfosi identitarie e rischi totalitari nella società artificiale, Roma, Sensibili alle foglie, 2018
  • Ascoltare e narrare. Socioanalisi narrativa di alcune esperienze pedagogiche nella cooperativa sociale Famiglia Nuova, Roma, Sensibili alle foglie, 2018
  • Il futuro colonizzato. Dalla virtualizzazione del futuro al presente addomesticato, Roma, Sensibili alle foglie, 2019
  • Identità cibernetiche. Dissociazioni indotte, contesti obbliganti e comandi furtivi, Roma, Sensibili alle foglie, 2020
  • Capitalismo cibernetico. Dopo il panottico, oltre la sorveglianza, Roma, Sensibili alle foglie, 2022
  • Ombre digitali sul lavoro sociale. Socionalisi narrativa sulle derive del terzo settore, a cura di, Prefazione di Paolo Bellati, Roma, Sensibili alle foglie, 2022
  • Dietro il mito dell'informatica. Socianalisi narrativa del lavoro nelle aziende di tecnologia dell'informazione e della comunicazione, a cura di, Sensibili alle foglie, 2022

Citazioni nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

  • Il cantante Francesco Baccini gli ha dedicato un brano musicale intitolato appunto Renato Curcio, contenuto nell'album Nomi e cognomi.
  • Curcio è citato anche da Fabrizio De André in La domenica delle salme, dall'album Le nuvole, con la strofa: "Nell'assolata galera patria il secondo secondino / disse a “Baffi di Sego” che era il primo / "Si può fare domani sul far del mattino" e furono inviati messi / fanti cavalli cani ed un somaro / ad annunciare l'amputazione della gamba / di Renato Curcio / il carbonaro". Secondo Mauro Pagani, co-autore del disco, l'idea originale era dedicare un intero pezzo a Curcio, con riferimenti a Silvio Pellico e Maroncelli e alla loro prigionia nello Spielberg, ma alla fine fu deciso per una strofa nella canzone citata.[45] Il cantautore genovese trasfigura la figura di Curcio in quella di Piero Maroncelli, esaltandone così la coerenza al di là delle ideologie.[46] In un'intervista De André spiegò il riferimento a Curcio, chiedendone anche indirettamente la liberazione:

«Il riferimento a Curcio è preciso. Io dicevo semplicemente che non si capiva come mai si vedevano circolare per le nostre strade e per le nostre piazze, piazza Fontana compresa, delle persone che avevano sulla schiena assassinii plurimi e, appunto, come mai il signor Renato Curcio, che non ha mai ammazzato nessuno, era in galera da più lustri e nessuno si occupava di tirarlo fuori. Direi solamente per il fatto che non si era pentito, non si era dissociato, non aveva usufruito di quella nuova legge che, certamente, non fa parte del mio mondo morale... Il riferimento poi all'amputazione della gamba, voleva essere anche un richiamo alla condizione sanitaria delle nostre carceri.»

  • L'attrice francese Fanny Ardant durante un'intervista al settimanale «A» definì Curcio "Un eroe"[48].
  • Curcio è citato nel brano Bandito senza tempo e il brano Ombre rosse inizia con uno stralcio di discorso di Curcio, entrambi contenuti nell'album Le radici e le ali del gruppo Gang.
  • Una delle versioni di Quelli che... di Enzo Jannacci cita Curcio ("Quelli che Matarrese dicono che è stato l'ultimo allievo di Renato Curcio, oh yeah").
  • Nel brano Nuove BR, della P38, viene citato Curcio (Renato Curcio, maglia di Gucci).

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ L'Espresso, raccolta 1992, pag. 46
  2. ^ Presentazione con Renato Curcio Archiviato il 17 aprile 2015 in Internet Archive.
  3. ^ Curcio sociologo: "Il razzismo è frutto dell'ignoranza"
  4. ^ Presentazione "La società del controllo e dell'esclusione"
  5. ^ Manifesto di presentazione libri
  6. ^ «Presentazione del libro: "Mal di lavoro. Socioanalisi della sofferenza nelle attuali condizioni di lavoro." Narrativa sulle attuali problematiche relative al rapporto tra lavoro, sfruttamento, precarizzazione e qualità della vita. Incontro/dibattito aperto con: Renato Curcio (sociologo, ricercatore, saggista ed editore); Piero Fumarola (sociologo, docente università di Lecce e ricercatore).»
  7. ^ E adesso si chiude un'epoca storica
  8. ^ Renato Curcio, A viso aperto - Intervista di Mario Scialoja, Arnoldo Mondadori Editore, 1993, p. 17
  9. ^ Renato Curcio, A viso aperto - Intervista di Mario Scialoja, Arnoldo Mondadori Editore, 1993, p. 18
  10. ^ Da Jeune Europe alle Brigate rosse - Antiamericanismo e logica dell'impegno rivoluzionario, Società Editrice Barbarossa, Milano 1992, pp. 45-47 (Edizione francese 1990, Editore ARS, Nantes)
  11. ^ La Nazione Europea #1/2005 p. 43 Vedi
  12. ^ Jean Luc, Giovane Europa, Barbarossa, 1992, pp. 46-47, citato in Sergio Flamigni, La Sfinge delle Brigate Rosse, KAOS Edizioni, 2004, p. 30
  13. ^ Rivista Giovane nazione n. 4, settembre 1963 e n. 5, ottobre 1963
  14. ^ Renato Curcio, A viso aperto - Intervista di Mario Scialoja, Arnoldo Mondadori Editore, 1993, p. 15
  15. ^ quotidiano la Repubblica del 28 maggio 2005, p. 38
  16. ^ L'amore con Margherita che sposò a San Romedio, in Trentino, 14 marzo 2018, p. 15.
  17. ^ Giorgio Galli, Storia del Partito Armato, Edizioni CDE, Milano, 1986
  18. ^ Curcio e Piperno, memoria divisa. Articolo del 17 marzo 1999 nell'archivio storico del Corriere della Sera
  19. ^ da A viso aperto, pp. 94-95
  20. ^ Resoconto stenografico della 62. seduta della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi del 10 febbraio 2000
  21. ^ a b Da Curcio ai poveri dell'Etiopia Frate Mitra: i br? Ora siamo amici
  22. ^ Maria Adelaide Aglietta, Diario di una giurata popolare al processo delle Brigate Rosse, Prefazione di Leonardo Sciascia, Milano Libri Edizioni, 1979, pp. 110-111
  23. ^ Giorgio Bocca, Noi terroristi, Garzanti, 1985
  24. ^ a b c d e Curcio torna libero dopo 24 anni dal Corriere della Sera (8 ottobre 1998)
  25. ^ Renato Curcio invitato a parlare del suo libro alla "Festa Rossa" in provincia di Pisa, su qelsi.it. URL consultato il 22 marzo 2015 (archiviato dall'url originale il 2 aprile 2015).
  26. ^ In ricordo di Mauro Rostagno e curatore del libro
  27. ^ Mario Cervi, "Perché noi siamo per la grazia a Renato Curcio", il Giornale, 6 agosto 1991.
  28. ^ Craxi: la grazia a Curcio onora lo Stato, La Stampa, 11 agosto 1991.
  29. ^ Marco Pannella, Denuncia nei confronti del presidente della repubblica Francesco Cossiga per attentato alla costituzione Archiviato il 30 settembre 2007 in Internet Archive., 26 novembre 1991.
  30. ^ «Non amo i pentiti, ma stimo Renato Curcio, anche se siamo su posizioni opposte. Non ha mai tradito i suoi compagni e non ha ammazzato nessuno. Non capisco perché stia ancora dentro».
  31. ^ Curcio giornalista, lo vuole " Il Giorno " dal Corriere della Sera (10 aprile 1993)
  32. ^ a b Don Andrea Gallo, Ancora in strada. Un prete da marciapiede, Mondadori, 2013, estratto
  33. ^ a b c "Lombroso è morto ma non il razzismo" intervista a Renato Curcio di Lino Patruno
  34. ^ Curcio, Renato - Biografia
  35. ^ Curcio: «Non parlo di terrorismo»
  36. ^ Appartenente ai Comunisti Organizzati per la Liberazione Proletaria; ha scontato 9 anni dal 1983 al 1992 per banda armata e ha conosciuto Curcio quando lui stava per ottenere la semilibertà.
  37. ^ Carlo Chianura Renato Curcio sposa un'ex terrorista, la Repubblica, 12 luglio 1995.
  38. ^ Stefano Zurlo, "Gli ex terroristi rossi? In libertà o all'estero", il Giornale, 27 gennaio 2012.
  39. ^ Renato Curcio, Stati modificati della e nella reclusione
  40. ^ Presentazione libro con Renato Curcio Archiviato il 17 aprile 2015 in Internet Archive.
  41. ^ Funerali di Gallinari, il sindaco di Reggio Emilia: "Hanno offeso la città", il Fatto Quotidiano, 22 gennaio 2013.
  42. ^ Fa una domanda scomoda a Curcio e viene aggredito: ecco il video-choc
  43. ^ Marco Belpoliti, Gianni Canova, Stefano Chiodi, Annisettanta: il decennio lungo del secolo breve, 2007, p. 588
  44. ^ Scheda su Giuseppe Mazzola, su vittimeterrorismo.it. URL consultato il 15 ottobre 2015 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  45. ^ Riccardo Bertoncelli, Belìn, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André, pag. 137
  46. ^ Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 147-148
  47. ^ citato in Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 68-69
  48. ^ Fanny Ardant:«Renato Curcio? Per me è un eroe» dal Corriere della Sera (24 agosto 2007)

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giorgio Bocca, Il terrorismo italiano. 1970/1978, Milano, Rizzoli, 1978.
  • Giorgio Bocca, Noi terroristi. 12 anni di lotta armata ricostruiti e discussi con i protagonisti, Milano, Garzanti, 1985.
  • Renato Curcio e Mario Scialoia, A viso aperto, Mondadori, 1993.
  • Alberto Franceschini, Mara, Renato ed io: storia dei fondatori delle B.R., Mondadori, 1998
  • Sergio Flamigni, Convergenze parallele. Le Brigate Rosse, i servizi e il delitto Moro. Kaos 1998, ISBN 8879530747

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Trascrizioni e audio di conferenze[modifica | modifica wikitesto]

Articoli di Renato Curcio[modifica | modifica wikitesto]

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