Sit-in

Il sit-in, o sit-down, è una forma di protesta basata sull'occupazione di un'area allo scopo di attirare l'attenzione sulle istanze dei contestatori. Strade, piazze e prossimità di uffici governativi o di società private contestate sono i tipici luoghi di un sit-in, proposto dai suoi praticanti come forma di lotta nonviolenta. Il sit-in è stato utilizzato dai movimenti studenteschi del Sessantotto ed è una forma di protesta diffusa anche in Italia.

Una remota attestazione di questa pratica risale alla tarda antichità e vide protagonista sant'Ambrogio, allora vescovo nella città di Milano, nei suoi dissidi con l'imperatrice Giustina, seguace dell'Arianismo: essendo venuto a conoscenza dell'intenzione di Giustina di destinare una chiesa al culto ariano, Ambrogio occupò il luogo di culto notte e giorno fino a ottenere la desistenza dell'imperatrice[1].

Il Sitting Dharna secondo Gandhi[modifica | modifica wikitesto]

È un'antica pratica della tradizione giainista in risposta a un'ingiustizia subita, che consiste nel sedersi a terra a gambe incrociate, iniziando un digiuno fino alla morte. Nel caso l'offesa non venga riparata e la vittima muoia, il colpevole è condannato a reincarnarsi in forme di vita inferiori. Quando Gandhi venne a sapere che alcuni studenti avevano fatto rivivere questa antica forma di protesta scrisse su Young India del 2 febbraio 1921 una dura reprimenda:

«Alcuni studenti di Calcutta hanno rimesso in uso un’antica forma di barbarie: il sitting dharna. Fortunatamente la pratica è cessata appena iniziata. Essi bloccavano il passaggio dei colleghi che volevano raggiungere gli uffici dell’Università per pagare le tasse o per incontrare i funzionari del dipartimento dell’educazione. Tale pratica la chiamo barbara in quanto essa è una forma brutale di coercizione. È anche espressione di vigliaccheria, in quanto chi partecipa ai sit dharna sa che non verrà travolto. È difficile definirla una pratica violenta, ma certamente è peggiore. Se noi combattiamo il nostro avversario, lo mettiamo nella condizione di restituirci i colpi. Ma quando lo sfidiamo a calpestarci, sapendo che egli non lo farà, lo poniamo in una posizione quanto mai imbarazzante e umiliante. So che i troppo zelanti studenti che ricorrono al sit dharna non hanno mai pensato alla barbarie presente in tale atto. Ma colui che si propone di seguire la voce della coscienza e sta anche da solo di fronte al conflitto non può permettersi di non riflettere. La non cooperazione, se fallisce, fallirà solo per una nostra debolezza interiore. Non esiste la parola sconfitta nella non cooperazione. Essa mai fallisce. I cosiddetti “rappresentanti” possono così malamente rappresentare la loro causa che questa può apparire agli spettatori di aver fallito. I non cooperanti, perciò, devono essere attenti a ogni cosa che fanno. Non ci devono essere impazienza, né barbarie, né insolenza, né indebita pressione. Se vogliamo coltivare un vero spirito democratico, non possiamo permetterci di essere intolleranti. L’intolleranza tradisce la mancanza di fede in una causa.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Alberto Manguel, Una storia della lettura, Mondadori, Milano, 1997 (p. 51)

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