Strage di Ciaculli

Strage di Ciaculli
Tipoautobomba
Data30 giugno 1963
LuogoCiaculli, Palermo
StatoBandiera dell'Italia Italia
Responsabiliignoti (tuttavia Buscetta indica come responsabile il boss Cavataio)
Conseguenze
Morti7

La strage di Ciaculli fu un attentato effettuato da Cosa Nostra in Italia nel 1963 in cui persero la vita 4 uomini dell'Arma dei Carabinieri, 2 dell'Esercito Italiano, e un sottufficiale del Corpo delle Guardie di P.S. (attuale Polizia di Stato).

Avvenne nella borgata agricola di Ciaculli a Palermo il 30 giugno 1963 con un'Alfa Romeo Giulietta imbottita di esplosivo. Le vittime furono il tenente dei carabinieri Mario Malausa, il maresciallo di P.S. Silvio Corrao, il maresciallo dei CC Calogero Vaccaro, gli appuntati Eugenio Altomare e Marino Fardelli, il maresciallo dell'esercito Pasquale Nuccio, il soldato Giorgio Ciacci[1]. L'episodio fu uno dei più sanguinosi durante gli anni sessanta che concluse la prima guerra di mafia della Sicilia del dopoguerra, che vide le uccisioni di numerosi mafiosi.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Eventi preliminari[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra di mafia.

Nel 1963, la guerra tra Angelo La Barbera (capo della "famiglia" di Palermo centro) e il resto della "Commissione provinciale" di Cosa nostra capeggiata da Salvatore Greco detto "Cicchiteddu" (capo della "famiglia" di Ciaculli) aveva toccato il suo apice di violenza con l'esplosione delle prime autobombe: il 12 febbraio una Fiat 1100 risultata rubata era esplosa nella proprietà di Greco a Ciaculli, ferendo la sorella, mentre il 26 aprile successivo, a Cinisi, nei pressi di Palermo, un'Alfa Romeo Giulietta esplose ed uccise il boss locale Cesare Manzella (legato ai Greco) e il suo fattore che lo accompagnava[2].

Durante la notte del 30 giugno 1963, a Villabate, paese alle porte di Palermo, una Giulietta imbottita di esplosivo che era stata abbandonata davanti all'autorimessa di Giovanni Di Peri (ritenuto il capomafia della zona) esplose ed uccise il custode Pietro Cannizzaro e il fornaio Giuseppe Tesauro[3][2].

La strage[modifica | modifica wikitesto]

Nella mattinata del 30 giugno, a seguito di una telefonata alla stazione dei carabinieri di Roccella (borgata a est di Palermo) avvisante della presenza sospetta di un'autovettura, una pattuglia dell'Arma dei Carabinieri, unitamente a un sottufficiale di Polizia in forza alla Squadra Mobile della Questura di Palermo, si recò tra Ciaculli e Gibilrossa, in una trazzera presso il fondo Sirena di proprietà del boss mafioso Giovanni Prestifilippo (legato alla cosca dei Greco), rinvenendo un'altra Giulietta abbandonata con le portiere aperte e i pneumatici bucati[4]. Sospettando che si trattasse dell'ennesima autobomba, venne chiamata una squadra di artificieri. Questi ispezionarono l'auto e tagliarono la miccia di una bombola di gas trovata all'interno e quindi dichiararono il cessato allarme[5]. Tuttavia l'apertura del bagagliaio da parte del tenente Mario Malausa, comandante della tenenza di Roccella, causò l'esplosione della grande quantità di tritolo ivi contenuta, che dilaniò tutti i presenti[3][2].

Le esequie[modifica | modifica wikitesto]

Le esequie di stato delle vittime della strage furono celebrate il successivo 2 luglio nella cattedrale di Palermo dal vescovo ausiliare monsignor Filippo Aglialoro, in sostituzione dell'arcivescovo di Palermo monsignor Ernesto Ruffini. Parteciparono circa un milione di persone, compreso il ministro dell'Interno Mariano Rumor e il capo della polizia Angelo Vicari.[6] Al termine delle cerimonia, le bare di Malausa, Altomare, Fardelli e Ciacci furono condotte per le vie del centro storico fino alla Stazione Centrale, da dove partirono per tornare ai rispettivi paesi d'origine.[4]

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

La notte del 2 luglio 1963 Villabate e Ciaculli vennero circondate dalla polizia: furono arrestate quaranta persone sospette e venne sequestrata un'ingente quantità di armi[7][6]. Questo fu il primo di una serie di rastrellamenti come non si vedevano dai tempi del "prefetto di ferro" Cesare Mori ed infatti, nei mesi successivi, furono arrestate circa duemila persone sospette di legami con Cosa Nostra (finirono in manette boss mafiosi del calibro di Paolino Bontate[8], Michele Cavataio[9], Pietro Torretta[10], Luciano Liggio e tanti altri), altre 600 diffidate e 300 proposte per il soggiorno obbligato, come annunciato dall'allora ministro dell'Interno Mariano Rumor alla Camera dei deputati durante la seduta del 19 settembre 1963[4]. Fu addirittura allertata l'Interpol per la ricerca all'estero dei latitanti mafiosi.[11] Contemporaneamente, la prima Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, presieduta dal senatore democristiano Donato Pafundi, iniziò i suoi lavori[12][13]. Secondo il racconto di Tommaso Buscetta e Antonino Calderone, a causa di questa repressione, la "Commissione" di Cosa Nostra venne sciolta e molte cosche mafiose decisero di sospendere le proprie attività illecite[12].

Le indagini e il processo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Processo dei 117.

Basandosi soprattutto su fonti confidenziali e ricostruzioni indiziarie, le indagini dell'epoca ipotizzarono un mancato attentato preparato dai mafiosi Pietro Torretta, Michele Cavataio, Tommaso Buscetta e Gerlando Alberti contro il rivale boss di Ciaculli Salvatore Greco oppure contro il suo associato Giovanni Prestifilippo, che non avrebbe centrato l'obiettivo perché la Giulietta imbottita di esplosivo bucò i pneumatici e perciò venne abbandonata.[14][15] Si ipotizzò anche che il vero obiettivo dell'attentato fosse il tenente Mario Malausa a causa delle indagini fatte sui rapporti tra mafia e politica.[16][17]

Torretta e Buscetta (nel frattempo resosi latitante) vennero rinviati a giudizio per le autobombe di Villabate e Ciaculli ma nel processo di Catanzaro contro i protagonisti della prima guerra di mafia (il famoso “processo dei 117") vennero assolti per insufficienza di prove, anche se nello stesso processo Torretta venne condannato a 27 anni di carcere per un altro duplice omicidio mentre Buscetta (giudicato in contumacia) a dieci anni per associazione a delinquere[7][18].

Nel 1984 Tommaso Buscetta, divenuto un collaboratore di giustizia, si discolperà e dichiarerà al giudice Giovanni Falcone che Michele Cavataio era l'unico responsabile delle autobombe di Villabate e Ciaculli.[7]

Tuttavia, ad oggi, rimangono ignoti i responsabili e il movente della strage[12].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ https://vittimemafia.it/30-giugno-1963-palermo-strage-di-ciaculli-dilaniati-da-unauto-bomba-mario-malausa-silvio-corrao-calogero-vaccaro-eugenio-altomare-marino-fardelli-pasquale-nuccio-e-giorgio-ciacci/
  2. ^ a b c Cattanei.
  3. ^ a b Sen. Michele Zuccalà, Allegato n. 1. Sintesi delle conclusioni del comitato per le indagini sui singoli mafiosi, sul traffico di stupefacenti e sul legame tra fenomeno mafioso e gangsterismo americano (PDF), in Documenti della Commissione Parlamentare Antimafia VI LEGISLATURA.
  4. ^ a b c Saverio Lodato, Un'autobomba lunga trenta anni (PDF), su archivio.unita.news, L'Unità, 1º agosto 1993.
  5. ^ Giovanni Venezia Ciaculli, La strage dimenticata in Il pungolo Archiviato il 28 settembre 2007 in Internet Archive.
  6. ^ a b Giorgio Frasca Polara, Dietro l'orrenda strage di Ciaculli la guerra dei mercati (PDF), su archivio.unita.news, L'Unità, 2 luglio 1963.
  7. ^ a b c Tratto da "ASud'Europa", settimanale realizzato dal Centro di Studi e iniziative culturali “Pio La Torre”
  8. ^ Giorgio Frasca Polara, Come "don Paolo" è stato pescato (PDF), su archivio.unita.news, L'Unità, 17 luglio 1963.
  9. ^ Giorgio Frasca Polara, Raffica di mitra snida i due killer nella botola (PDF), su archivio.unita.news, L'Unità, 6 ottobre 1963.
  10. ^ Giorgio Frasca Polara, La sfida della mafia (PDF), su archivio.unita.news, L'Unità, 9 febbraio 1964.
  11. ^ Giorgio Frasca Polara, Sono volati all'estero i «boss» delle cosche (PDF), su archivio.unita.news, L'Unità, 23 luglio 1963.
  12. ^ a b c John Dickie, Cosa Nostra, Bari, Laterza, 2005.
  13. ^ LA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA, su legislature.camera.it. URL consultato il 16 maggio 2023.
  14. ^ Cenni biografici su Gerlando Alberti- Documenti della Commissione Parlamentare Antimafia VI LEGISLATURA (PDF).
  15. ^ Il Viandante - Sicilia 1963
  16. ^ Lino Jannuzzi, I grandi protettori, su L'Espresso, 11 aprile 1965. URL consultato il 28 marzo 2023.
  17. ^ Le mani della mafia su Palermo (PDF), su archivio.unita.news, L'Unità, 15 maggio 1971.
  18. ^ Il Viandante - Sicilia 1968

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]