Teofilo di Alessandria

Teofilo di Alessandria
Papa della Chiesa copta
Elezione384
Fine patriarcato15 ottobre 412
PredecessoreTimoteo I
SuccessoreCirillo
 
NascitaEgitto
Morte15 ottobre 412
San Teofilo di Alessandria
Teofilo distrugge il Serapeo, dalla Cronaca universale alessandrina
 

Papa della Chiesa copta

 
NascitaEgitto
Morte15 ottobre 412
Venerato daChiesa copta
Ricorrenza18 paopi (calendario copto)
15 ottobre (calendario giuliano)
28 ottobre (calendario gregoriano)

Teofilo di Alessandria (Egitto, ... – 15 ottobre 412) fu il quattordicesimo Papa della Chiesa copta (massima carica del Patriarcato di Alessandria d'Egitto) dal 385 alla sua morte. È venerato come santo dalla Chiesa ortodossa copta e dalla Chiesa ortodossa siriaca[1].

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Aderente al credo niceno, Teofilo divenne patriarca nel momento del conflitto tra i cristiani e la società ancora pagana di Alessandria. Nel 391 distrusse vari templi pagani, tra cui il Mitreo e il tempio di Dioniso, macchiandosi di crimini orrendi ed efferati.[2] Egli e i suoi seguaci sfilarono per le strade della città con gli oggetti sacri prelevati nei templi, compiendo atti di dileggio e provocando l'ira dei pagani, che aggredirono i cristiani. La reazione della fazione cristiana costrinse i pagani a rinchiudersi nel Serapeo. L'imperatore Teodosio inviò una lettera a Teofilo, in cui gli chiedeva di concedere il perdono ai pagani che avevano aggredito i cristiani. In risposta Teofilo fece abbattere il tempio del Serapeo. La distruzione del Serapeo è stata vista da molti autori sia antichi che moderni come rappresentativa del trionfo del cristianesimo sulle altre religioni; quando i cristiani linciarono Ipazia, essi acclamarono il successore di Teofilo, Cirillo (suo nipote), come un "nuovo Teofilo" per cui distruggere gli ultimi idoli della città,[3] a dimostrazione della famigerata crudeltà di Teofilo.

Teofilo fu dapprima un seguace delle idee di Origene e appoggiò i monaci origenisti del deserto di Nitria in opposizione agli antropomorfisti; tra i monaci origenisti che inizialmente godettero del suo favore erano anche i "fratelli lunghi" (così chiamati a motivo della loro altezza): Dioscoro, che Teofilo stesso consacrò vescovo di Ermopoli, Ammone, Eusebio ed Eutimio, che Teofilo ordinò presbiteri e incaricò di amministrare insieme a lui la chiesa di Alessandria.[4] Tuttavia a partire dal 399 Teofilo divenne avversario dell'origenismo e nel 401 convocò un sinodo ad Alessandria che lo condannò;[5] fece quindi perseguitare i monaci origenisti del deserto, tra cui i "fratelli lunghi", che scapparono dall'Egitto.[2][6] Quando seppe che i quattro fratelli si erano rifugiati a Costantinopoli presso il vescovo Giovanni Crisostomo, Teofilo iniziò a macchinare anche contro Giovanni, che egli stesso aveva consacrato nel 398.[5] L'imperatore Arcadio convocò a Costantinopoli un sinodo nel quale Teofilo era chiamato a discolparsi dalle accuse mossegli dagli origenisti, ma riuscì a coalizzare i vescovi nemici di Giovanni e in un successivo sinodo del 403, noto come sinodo della Quercia (tenutosi nei pressi di Calcedonia), riuscì a deporre Giovanni e lo costrinse all'esilio.[7] Giovanni si rivolse al vescovo di Roma, Innocenzo I, che scomunicò Teofilo.[1]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Della produzione letteraria di Teofilo, che dovette essere molto ampia, rimangono:[8]

  • Canone pasquale
  • Epistole a vescovi, a Girolamo e all'imperatore Teodosio
  • Lettere pasquali
  • Omelie sulla crocifissione, sulla penitenza, in mysticam coenam
  • un'opera contro Giovanni Crisostomo
  • un'opera contro Origene[9]

Sotto il nome di Teofilo sono stati tramandati alcuni apoftegmi[1] e varie opere apocrife, tra cui la Visione di Teofilo che parla della fuga in Egitto della Sacra Famiglia, un sermone che tratta della vita di Maria e il trattato Sulla visione di Isaia.[10]

La sua tabella pasquale di 100 anni[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c De Nicola, col. 5278.
  2. ^ a b Quasten, p. 102.
  3. ^ Giovanni di Nikiu, Cronaca, LXXXIV, 103.
  4. ^ Socrate, Storia ecclesiastica, VI, 7, secondo il quale sia Dioscoro che Eusebio ed Eutimio furono ordinati rispettivamente vescovo e presbiteri contro la loro volontà, poiché avrebbero voluto continuare a vivere ritirati nel deserto.
  5. ^ a b De Nicola, col. 5277.
  6. ^ Secondo Socrate, Storia ecclesiastica, VI, 7, Teofilo si irritò molto con i fratelli quando capì che abbandonarono Alessandria per tornare nel deserto a causa della sua condotta di vita, poiché era eccessivamente intento al guadagno e all'accumulo di ricchezze. Secondo Palladio, Dialogo sulla vita di Giovanni Crisostomo, VII, Teofilo accusò i monaci anche di aver dato rifugio a Isidoro, un presbitero che il vescovo aveva scomunicato (ingiustamente secondo Palladio) a seguito di una questione sorta a proposito dell'eredità lasciata a Isidoro da una vedova di Alessandria (Palladio, Dialogo sulla vita di Giovanni Crisostomo, VI; cfr. Sozomeno, Storia ecclesiastica, VIII, 12).
  7. ^ Quasten, p. 103; De Nicola, coll. 5277-5278.
  8. ^ Quasten, pp. 103-106.
  9. ^ Forse una raccolta di lettere pasquali (Quasten, p. 106).
  10. ^ Quasten, pp. 107-108.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Johannes Quasten, Patrologia, vol. 2, Marietti, 1969.
  • Angelo De Nicola, Teofilo, in Nuovo dizionario patristico e di antichità cristiane, vol. 3, Genova-Milano, Marietti 1820, 2008.
  • Alden A. Mosshammer (2008) The Easter Computus and the Origins of the Christian Era: Oxford (ISBN 9780199543120).
  • Jan Zuidhoek (2019) Reconstructing Metonic 19-year Lunar Cycles (on the basis of NASA’s Six Millennium Catalog of Phases of the Moon): Zwolle (ISBN 9789090324678).

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Papa e Patriarca di Alessandria Successore
Timoteo 385412 Cirillo
Controllo di autoritàVIAF (EN15565199 · ISNI (EN0000 0003 7407 5120 · BAV 495/53585 · CERL cnp00587675 · LCCN (ENno96005068 · GND (DE118756915 · BNF (FRcb12345072v (data) · J9U (ENHE987007302523305171 · WorldCat Identities (ENlccn-no96005068