Su Iside e Osiride

Su Iside e Osiride
Titolo originaleΠερὶ Ἴσιδος καὶ Ὀσίριδος
Altro titoloDe Iside et Osiride
Busto moderno di Plutarco nella sua Cheronea.
AutorePlutarco
PeriodoII secolo
1ª ed. italiana1841
GenereSaggio
Sottogenerecritica letteraria
Lingua originalegreco antico
Preceduto daVite dei X oratori
Seguito daSulla malignità di Erodoto

Su Iside e Osiride. (Περὶ Ἴσιδος καὶ Ὀσίριδος - De Iside et Osiride) è un'opera[1] di Plutarco tramandata nei suoi Moralia[2]

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

Il lavoro è dedicato a Clea, una donna colta e intelligente, sacerdotessa di Delfi, ai quali Plutarco aveva dedicato anche il suo De mulierum virtutibus[3]. Si tratta, senza dubbio, di un'opera nata dalle discussioni con Clea in materia di religione e sull'atteggiamento giusto con cui avvicinarvisi.

Partendo dall'atteggiamento con cui accostarsi al dio da uomini saggi, Plutarco passa a trattare di Iside che, secondo lui, è «dea eletta per sapienza e amante di sapienza»[4], cui è avverso Tifone, mostro e simbolo di malvagità. Su questo sfondo, Plutarco racconta a lungo[5] i costumi del sacerdozio egizio, del quale Plutarco descrive abiti, usi, riti, regole di vita, collocandolo sempre, alla maniera greca, in una luce di razionalità. I capitoli 12-76, invece, sono dedicati all'esposizione allegorica del mito di amore e rinascita rappresentato, appunto, da Iside e suo marito Osiride.

Analisi critica[modifica | modifica wikitesto]

La conoscenza che Plutarco aveva dell'Egitto non era profondaː anche se, infatti, lo aveva visitato[6], non è possibile dire quanto tempo vi fosse rimasto e quanto avesse imparato da libri e sacerdoti.

In effetti, una notevole fonte di informazioni a disposizione di Plutarco per questo testo erano i libri, a partire da Erodoto, dal quale, tuttavia, il nostro trae poco, probabilmente concentrando le sue ricerche su testi ritenuti più fededegni come Manetone e Ecateo di Abdera - quest'ultimo, fonte anche di Diodoro Siculo, con cui le informazioni plutarchee spesso concordano -. Una questione notevole nel trattato è data dai tentativi di Plutarco per spiegare la derivazione di varie parole, in particolare il suo tentativo di derivare parole egiziane da radici greche; ma in questo senso pecca non più di Platone, che ci ha dato alcune etimologie fantasiose, soprattutto nel Cratilo, o di Erodoto.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ 351c-384c.
  2. ^ Traduzione italiana in: Plutarco, Diatriba isiaca e dialoghi delfici, a cura di Vincenzo Cilento e Paola Volpe Cacciatore, Napoli, D'Auria, 2005, ISBN 88-7092-254-5.
  3. ^ Moralia, 242E-263C.
  4. ^ Cap. 2.
  5. ^ Cc. 4-11; 77-80.
  6. ^ Moralia, 678C.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Plutarco, Diatriba isiaca e dialoghi delfici, a cura di Vincenzo Cilento e Paola Volpe Cacciatore, Napoli, D'Auria, 2005, ISBN 88-7092-254-5..

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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