Sull'amore per le ricchezze

De cupiditate divitiarum
Titolo originaleΠερὶ φιλοπλουτίας
Altri titoliSull'amore per le ricchezze
Busto moderno di Plutarco nella sua Cheronea.
AutorePlutarco
PeriodoI-II secolo
Generesaggio
Sottogenereoratoria
Lingua originalegreco antico
SerieMoralia

Sull'amore per le ricchezze (Περὶ φιλοπλουτίας - De cupiditate divitiarum) è il titolo di una declamazione, probabilmente giovanile, di Plutarco nei suoi Moralia[1].

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

Dopo un'introduzione in cui Plutarco dice che la ricchezza non può acquistare la felicità, passa agli avari e ai prodighi comuni e mostra gli svantaggi della loro condizione: in entrambi il desiderio di beni e denaro è insaziabile, mentre negli avari è in conflitto con la sua soddisfazione. Da questi passa ai rapaci avari e prodighi, e dichiara questi ultimi meno offensivi. La scusa per cui gli avari risparmiano i soldi per i loro figli si dimostra assurda. Un'altra scusa per i ricchi, che alcuni (a differenza degli avari) fanno un uso generoso della loro ricchezza, viene confutata esaminando cosa si intende per "uso". Se l'uso è solo per ottenere la sufficienza, i ricchi non stanno meglio degli uomini con mezzi moderati. Se "uso" è spendere ricchezza in lussi, la ricchezza è solo spettacolo e spettacolo.

Analisi critica[modifica | modifica wikitesto]

Le idee guida del saggio sono aristoteliche, sebbene la fonte in ultima analisi sia Platone. Così Plutarco cita frammenti di Aristotele[2] e di Teofrasto[3]. Nella Politica, comunque[4], Aristotele distingue la ricchezza naturale, che consiste in ciò che è necessario alla vita o utile per la società di una città o famiglia, dalla ricchezza non naturale, che è costituita dal denaro ed è illimitata. È su questa distinzione tra l'utile o il necessario da un lato e il superfluo dall'altra che Plutarco costruisce la sua argomentazione, influenzato, nella discussione sulla liberalità, dall'Etica Nicomachea[5], sia direttamente che per mezzo di qualche altro scritto peripatetico.

Plutarco non si limita ovviamente alle osservazioni platoniche e aristoteliche sull'argomento, ma si avvale anche di spunti cinici e di altri filosofi.

L'opera è il N. 211 nel catalogo di Lampria.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ 523C-528B.
  2. ^ 527A.
  3. ^ 527B.
  4. ^ I, 8-9, 1256b 26-1257a 14.
  5. ^ IV, 1‑3, 1119b 21-1122a 17.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Plutarco, L'avidità di ricchezze, introduzione, versione e note a cura di Emidio Pettine, Salerno, Palladio, 1986.
  • Plutarco, La bramosia di ricchezza, a cura di Jolanda C. Capriglione e Luigi Torraca, Napoli, D'Auria, 1996, ISBN 88-7092-128-X.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN311115114 · BAV 492/58522 · LCCN (ENn97001579 · GND (DE4406572-3